Nel 2022, l’Unione europea ha annunciato una roadmap per vietare l’utilizzo e il commercio di migliaia di sostanze chimiche pericolose per l’ambiente e la salute umana.
Dopo un anno è stato fatto molto poco e le lobby della chimica mette i bastoni tra le ruote.
Esattamente un anno fa, l’Unione europea lanciò una tabella di marcia per vietare entro il 2030 oltre settemila sostanze chimiche pericolose per la salute e per l’ambiente attualmente presenti sul mercato. Nonostante l’ampia copertura mediatica della notizia, quel piano sta però, di fatto, fallendo. A sostenerlo sono l’organizzazione ambientale ClientEarth e l’Ufficio europeo per l’ambiente (Eeb), una rete composta da 170 organizzazioni, in un comunicato stampa congiunto. La roadmap europea, infatti, prevedeva di vietare:
i ritardanti di fiamma più dannosi: si tratta di sostanze chimiche spesso legate all’insorgenza del cancro ma che sono presenti nella maggior parte delle case;
tutti i bisfenoli, che possono avere un grave impatto sulla fertilità umana e che quotidianamente vengono maneggiati dalla maggior parte degli europei, essendo presenti in bottiglie, giocattoli e molti altri oggetti;
tutti i Pfas non essenziali: composti chimici considerati “perenni”, conosciuti infatti come forever chemicals, perché impiegano centinaia di anni per degradarsi nell’ambiente e provocano danni al fegato, malattie della tiroide, obesità, problemi di fertilità e cancro. I Pfas sono già dappertutto: negli Stati Uniti, addirittura, sono state rinvenute tracce di Pfas nel sangue di quasi tutti gli americani, mentre un report pubblicato di recente ha dimostrato come oltre 17mila siti in Europa siano ormai contaminati per sempre.
infine, circa duemila sostanze chimiche nocive impiegate in pannolini per bambini, ciucci e prodotti per l’infanzia.
Quali sostanza chimiche non sono ancora state vietate
A un anno di distanza, la review pubblicata da Eeb dimostra che ancora centinaia di tonnellate di sostanze tossiche sfuggono ai divieti. In particolare:
solo cinque dei 148 bisfenoli individuati saranno effettivamente limitati. Di recente, inoltre, i funzionari dell’Echa (Agenzia europea delle sostanze chimiche) hanno annunciato che il cittadino medio è esposto a livelli non sicuri di Bpa, cioè di bisfenolo A, chiedendo una riduzione del limite di assunzione giornaliera di ben 20mila unità;
i pallini di piombo, comunemente usati nei proiettili da caccia e negli sport di tiro oltre che nell’attrezzatura da pesca. Si stima che ogni anno, a causa di tali impieghi, vengano disperse nell’ambiente europeo circa 44mila tonnellate di tale metallo, che comportano l’avvelenamento di specie selvatiche, come gli uccelli (il piombo può anche compromettere la salute delle persone, se presente come residuo nella selvaggina cacciata). L’Echa ha proposto una riduzione dei pallini di piombo, ma la Commissione per ora li ha banditi solamente dalle zone umide;
le sostanze chimiche con livelli di rischio “molto gravi” presenti nei pannolini per bambini: un allarme che riguarda il 90 per cento dei bebè europei e nonostante l’Echa abbia riconosciuto l’esistenza di queste sostanze, la Commissione non le ha ancora vietate.
Più in generale, le associazioni criticano i lenti progressi fatti finora, tanto che si sono creati dei “vuoti normativi” e diverse scadenze sono state infrante. Per esempio, ci sono voluti due anni e mezzo per limitare i Pfas nelle sostanze sensibilizzanti per la pelle e più di un anno ci è voluto per regolamentare le microplastiche aggiunte nelle creme esfolianti. Lo studio sottolinea inoltre le scarse risorse messe a disposizione dei funzionari che lavorano su questi processi di regolamentazione e la mancanza di condivisione dei dati da parte delle aziende.
Is this 'great detox' a hoax? 🃏
Last year, we all hailed the largest ever toxic chemicals ban announced by the 🇪🇺 😍🥳
But the EEB and @ClientEarth one-year assessment shows that it comes spectacularly short of its promise 📏🫤
Per quanto riguarda i Pfas i ritardi sono ancora più evidenti. Ci sono voluti, infatti, 20 anni per arrivare a una bozza di lista per limitare l’uso di questi composti chimici. La Convenzione di Stoccolma, pubblicata nel 2001, regolamenta l’uso di alcuni inquinanti organici persistenti, compresi numerosi composti chimici della famiglia degli Pfas. Negli anni successivi sono stati introdotti diversi divieti che vanno dall’utilizzo dell’acido perfluoroottansolfonico (Pfos), impiegato soprattutto per tessuti, tappeti e carta, al divieto di produrre, importare ed esportare gli acidi perfluoroottanoici (Pfoa), usati come rivestimenti impermeabilizzanti.
Eppure a livello europeo, si sta ancora lavorando per integrare la Convenzione di Stoccolma: al momento sono solo cinque i paesi che hanno avanzato una proposta di restrizione più stringente sugli Pfas: Svezia, Norvegia, Danimarca, Paesi Bassi e Germania. Il motivo di tali ritardi, per gli attivisti è da ricercare all’interno delle lobby industriali e del settore chimico, che stanno investendo molto per correggere il tiro e mantenere i propri interessi. Già diverso tempo fa, le imprese avevano levato gli scudi contro la revisione del Reach, il regolamento di Registration, evaluation, authorisation and restriction of chemicals adottato dall’Ue nel 2006.
Per le lobby le sostanze chimiche sono necessarie per la transizione
Eppure le sostanze chimiche alle quali sono esposti i cittadini europei sono in costante aumento e nel 2050 la loro produzione sarà più che triplicata rispetto ai livelli del 1950. Secondo Hélène Duguy, consulente legale e politico di ClientEarth, l’Europa sta mostrando “il fallimento di un approccio frammentario dell’Ue sui divieti chimici”. Ciò significa che “le persone e il nostro ambiente non sono protetti dalle sostanze chimiche più dannose. Le autorità europee e la Commissione hanno tutti gli strumenti legali per intervenire”.
E ora le industrie stanno usando la transizione come giustificazione: la società chimica americana Chemours ha dichiarato al Financial Times che le sostanze chimiche sono necessarie nella produzione di batterie elettriche e di idrogeno verde. L’azienda sta affrontando una causa legale in California, dove è accusata di aver prodotto Pfas per decenni nonostante fossero a conoscenza che tali sostanze causassero problemi di sviluppo, tumori e altre patologie. I procuratori chiedono un indennizzo da centinaia di milioni di dollari per bonificare le aree inquinate.
Ma su una cosa la Chemours ha ragione, sostiene l’Eeb: se non verranno trovate delle alternative ai Pfas usati nelle batterie elettriche è molto probabile che queste sostanze non verranno mai bandite. Continuando a inquinare per sempre.
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