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Le piante sono nostre alleate perché assorbono CO2 dall’atmosfera, ma anche questa preziosa funzione è in bilico. Proprio a causa dei cambiamenti climatici.
Sappiamo da tempo che le piante sono nostre preziose alleate nella mitigazione dei cambiamenti climatici. Assorbendo l’anidride carbonica (CO2) per la fotosintesi clorofilliana, infatti, rimuovono almeno in parte quella che viene riversata in eccesso nell’atmosfera a causa delle attività umane. Un nuovo studio scientifico pubblicato su Science a dicembre, però, mette in bilico anche quella che finora era apparsa come una certezza. Proprio il riscaldamento globale, infatti, avrebbe compromesso questa capacità di assorbimento da parte dell’86 per cento degli ecosistemi terrestri. In una sorta di circolo vizioso che mette fortemente a repentaglio il futuro del clima.
La ricerca si focalizza sul cosiddetto effetto di fertilizzazione della CO2 (abbreviato con la sigla Cfe). Si tratta di un fenomeno per cui, all’aumentare della CO2 in atmosfera, le piante – che di fatto se ne “nutrono” – incrementano il loro processo di fotosintesi e dunque crescono di più. Analizzando una serie di dati satellitari e modelli scientifici, però, il team ha scoperto che a partire dal 1982 l’effetto di fertilizzazione della CO2 è sceso dal 21 al 12 per cento ogni 100 parti per milione di CO2 presenti nell’atmosfera. “In altre parole, gli ecosistemi terrestri stanno diventando sempre meno affidabili come mitigatori temporanei dei cambiamenti climatici”, spiega Ben Poulter, co-autore dello studio e ricercatore per il Goddard Space Flight Center della Nasa.
Ma a cosa si deve questa inversione di rotta? “Secondo i nostri dati, sembra che stia entrando in gioco una diminuzione tanto dell’umidità dei terreni quanto delle loro sostanze nutritive”, continua Poulter. Ai tropici, per esempio, il suolo è spesso carente di azoto e fosforo. Nelle zone temperate dell’emisfero settentrionale, invece, è meno umido a causa dell’aumento delle temperature medie. Tutti questi fattori sono determinati anche e soprattutto dai cambiamenti climatici.
Anche il calo della fertilizzazione della CO2 – avvertono gli scienziati – dovrebbe essere tenuto in considerazione quando si calcola il carbon budget, cioè della quantità di emissioni che possiamo ancora generare senza sfondare la barriera dei 2 gradi centigradi in più rispetto ai livelli preindustriali (o meglio ancora degli 1,5 gradi, come auspica l’Accordo di Parigi). In caso contrario, questo computo rischia di risultare inevitabilmente parziale.
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