Dopo un mese di razionamenti, sono stati completati i lavori per la condotta provvisoria che porterà l’acqua dal fiume alla diga di Camastra, ma c’è preoccupazione per i livelli di inquinamento.
Piero Manzoni. Così con Simbiosi migliora la filiera industriale e il territorio
Piero Manzoni, fondatore e ad di Simbiosi: “Con il nostro approccio, nato per passione, miglioriamo la filiera agroalimentare (ma non solo) producendo ambiente”.
La sostenibilità? “Oggi forse è un termine che viene utilizzato un po’ a sproposito”. Perché? Perché chi non agisce contemporaneamente sui tre pilastri fondamentali che la compongono, ovvero “risparmio di risorse, contrasto ai cambiamenti climatici, protezione della biodiversità“, ha poco a che vedere con la vera sostenibilità. Chi, da anni ormai, si impegna nella chiusura completa di questo circolo virtuoso è Piero Manzoni, fondatore e amministratore delegato di Simbiosi, società del pavese la cui mission è lo sviluppo di tecnologie, soluzioni e brevetti finalizzati al risparmio di risorse naturali (aria, acqua, materiali e suolo) ed energetiche nella filiera dell’agrifood.
Dottor Manzoni, perché Simbiosi? Come nasce questo progetto?
Nasce dalla nostra esperienza e dalle nostre competenze. E da un esperimento naturale di ricerca e sviluppo che ormai dura da più di 25 anni, che è partito nel 1995 e che riguarda la rigenerazione di 500 ettari di pianura Padana: l’abbiamo riportata indietro, alla biodiversità che aveva mille anni fa. Ecco, noi vogliamo essere produttori d’ambiente. E questo si può fare solo con un approccio simbiotico.
Avete individuato tre pilastri fondamentali per farlo: come si legano tra loro?
Si legano perfettamente. Il primo pilastro è il risparmio delle risorse. Le risorse sono per definizione finite perché viviamo in un sistema finito, il pianeta Terra: se continuiamo a estrarre risorse e non riusciamo mai a reimmetterle in circolo, prima o poi finiranno. È quello che chiamiamo economia circolare.
Il secondo sono i cambiamenti climatici. Le attività umane, tra cui l’estrazione e l’utilizzo di risorse, producono degli effetti sul clima: parliamo di criticità sulla possibilità del pianeta di esportare calore, a causa delle emissioni di CO2. Questo influisce sul riscaldamento del pianeta.
Infine, la biodiversità, di cui noi esseri umani rappresentiamo solo una piccola parte e non potremmo vivere senza esservene immersi. Ebbene, in condizioni normali cerchiamo di agire su ognuno di questi tre sistemi, ma spesso singolarmente: per esempio si cerca di agire sul risparmio di energia, ma per risparmiare energia non si bada a spese su altre risorse.
Un comportamento che non è sostenibile perché non simbiotico, come suggerisce il vostro nome?
Sì, perché la natura agisce diversamente, come un tutt’uno: tutto nasce dalla stessa energia, un’energia nucleare che proviene dal sole attraverso radiazioni elettromagnetiche. Noi, con il nostro esperimento, abbiamo capito e studiato il modo in cui si comporta la natura, raccogliendo miliardi di dati, creando un’area sensorizzata, e da lì abbiamo capito come la natura utilizza le sue risorse energetiche, come le trasforma, come le distribuisce, come le salvaguarda e come si sviluppa. Da quei dati abbiamo estratto competenze, capacità per sviluppare tecnologie che implementiamo nel ciclo dell’alimentazione e non solo. Questo è quello che facciamo e il motivo per cui lo facciamo.
In che senso tutto nasce da energia nucleare?
L’energia in natura è per lo più energia nucleare, energia dovuta alle reazioni che avvengono all’interno del Sole. Tali reazioni nucleari portano energia sotto forma di radiazioni elettromagnetiche sulla Terra, facendo sì che la vegetazione e le coltivazioni, attraverso la fotosintesi clorofilliana, trasformino questa energia in produzione di frutti; che le acque dei mari evaporino ritornando poi sulla Terra sotto forma di acqua, dando in sostanza vita alla biodiversità e quindi alla sostanza organica tutta che, nei millenni, si è poi trasformata nei giacimenti di combustibili fossili.
E qui arriva l’intoppo a questo meccanismo perfetto…
Sì, perché ora abbiamo scoperto che l’energia fossile, che abbiamo usato per tanti anni, ha delle criticità: sia per il fatto che non è infinita, sia per il fatto che produce CO2 che crea una barriera all’esportazione di calore dalla terra all’atmosfera. Oggi è diventato un problema usare combustibili fossili. Per questo stiamo cercando, in attesa di produrre energia nucleare sicura che oggi non sappiamo ancora gestire, di utilizzare altri tipi di energia rinnovabile che cerchino di non danneggiare l’ambiente e la biodiversità. Ma noi abbiamo preso l’esempio naturale, lo abbiamo disaggregato, sensorizzato e da lì abbiamo estratto nostre tecnologie che portiamo al mercato per recuperare risorse, lottare contro i cambiamenti climatici, non distruggere o danneggiare la biodiversità. Tutto insieme. In una visione olistica…
Come si declina questa vostra mission a livello pratico, nel rapporto con i vostri partner?
Abbiamo una visione ecosistemica, ma poi il nostro focus è la filiera dell’alimentazione, “dal campo alla tavola e di nuovo indietro al campo” ma non solo, come dicevamo. Con l’obiettivo trasversale di seguire le logiche dell’economia circolare, in cui un obiettivo ha tante connessioni. Attraverso queste connessioni, noi recuperiamo risorse: riutilizzando scarti dalle varie attività umane, recuperando l’acqua per l’irrigazione, minimizzando l’uso di combustibili fossili utilizzati dai trattori o dai macchinari industriali, producendo energia rinnovabile pulita e innovativa. E poi gestiamo il risparmio di energia, di acqua, di materiali. Ci occupiamo di favorire la produzione del ciclo industriale, recuperando risorse per poi arrivare nelle aziende di trasformazione e processo, per concludere il ciclo con gli scarti e quindi le utilities e i territori.
Partite dunque dal campo e poi vi estendete in tutta la filiera industriale, giusto?
Diciamo al contrario: partiamo dalle fabbriche, che sono sempre in zone rurali, e da queste mettiamo in comunicazione il territorio con le aziende stesse. Lavoriamo moltissimo con aziende di trasformazione e processo di vari settori: lattiero-caseario, carne, salumifici, vino, pasta, cioccolato e molte altre filiere industriali, ma anche con le utilities. Con loro andiamo a recuperare risorse, a efficientare i processi, ma sempre mettendo in comunicazione l’azienda con il territorio circostante e facendo in modo l’uno usufruisca dei benefici influssi dell’altra, in una logica appunto di Simbiosi. Nel fare questo, intorno alle aziende costruiamo e valorizziamo anche i territori, creando paesaggi ambientali, bellissimi ma anche efficienti, dove si produce anche un servizio ecosistemico. Come abbiamo fatto all’inizio con i nostri 500 ettari. Oltre che per le aziende agroalimentari, lo stesso vale anche per le aziende che recuperano gli scarti organici che diventano sottoprodotti per altre attività, oltre a produrre energia rinnovabile di diverse forme.
L’ultima parte della vostra mission è quella di chiudere il cerchio tra campagne e città: come è possibile trasformarlo in un percorso, per così dire, di andata e ritorno?
Le zone rurali periurbane non devono solamente produrre un servizio alimentare per le grandi città, che da qui al 2050 diventeranno sempre più grandi e sempre più affollate, ma devono diventare zone che collaborano con le città per aiutarle a superare certe criticità che sono intrinseche al loro futuro. Pensiamo agli scarti e all’inquinamento. Consumando tutto quel cibo in zone così concentrate, abbiamo un problema logistico di trasporto e stoccaggio e un problema di scarti, oltre a rendere le zone periurbane solo come zone sempre più disabitate ed emarginate solo per la produzione alimentare, a tal punto che fuori dalle città non troviamo più zone ambientali, ma solo zone coltivate quasi sempre intensivamente. Queste però perdono la loro qualità ecosistemica, di polmone verde che riequilibra la concentrazione di CO2 nell’aria, perdono la loro natura di riciclare la sostanza organica di scarto e perdono, comunque, anche fertilità e soprattutto capacità di conservare acqua nei terreni attraverso la presenza di sostanza organica. Inoltre, le città hanno bisogno di energia e non possono produrla, per la densità di consumo al loro interno.
Le stesse cose possiamo dire delle aree circostanti ai distretti industriali…
Le zone rurali periurbane diventano gioco forza indispensabili anche per la produzione di energia verde pulita. La Terra è circondata di satelliti che ci danno immagini e dati binari decriptati dei terreni, delle zone rurali, dell’orografia delle città: da queste immagini noi possiamo trarre indicazioni sul vigore vegetativo delle piante, capire se hanno bisogno di acqua, di fertilizzanti, di terreni da dissodare, se manca sostanza organica.
Un altro dei grandi problemi delle città, così come delle aziende industriali, oggi sono i rifiuti..
Ne vediamo gli effetti a Roma, a Napoli fino a qualche anno fa. Risolvere il problema non significa mandare i rifiuti all’estero, cosa che tra l’altro ha un grande impatto ambientale, ma prendere gli scarti, trasformarli in sottoprodotto di qualsiasi tipo (anche energetico) e riportarli in circolo nelle aree periurbane o nelle filiere industriali, secondo quei tre pilastri di cui sopra. Gli scarti organici contengono grandissime quantità di nutrienti, per esempio fosforo, azoto e potassio, che devono essere riportati in agricoltura.
Viviamo una fase di allarme per la mancanza di acqua, soprattutto nella zona della pianura Padana, ed è urgente un piano per l’accumulo e contro la dispersione: avete soluzioni anche per questo?
Sì. Le nostre tecnologie, le nostre analisi satellitari, i nostri sensori nei campi riescono a salvaguardare l’acqua. Le aziende che si rivolgono a noi, grazie ai nostri sistemi di fertilizzazione organica, alla ricostruzione di barriere naturali ecosistemiche e all’agricoltura di precisione all’interno delle stesse, hanno meno necessità di acqua aggiuntiva. E da quella che abbiamo disponibile estraiamo il valore termico così, oltre all’acqua, diamo alle aziende anche caldo e freddo. Come vede, sono tutte opere simbiotiche tra territorio, azienda e ambiente secondo il concetto di economia circolare applicato al ciclo dell’alimentazione.
A proposito di energia, siamo proprio in quella fase di transizione di cui parlava all’inizio. A che punto siamo e come contribuisce Simbiosi?
Siamo in una fase di transizione energetica, ma non possono bastare i pannelli fotovoltaici sui tetti delle città; abbiamo bisogno di produrre energia fuori dai centri abitati se non vogliamo usare i combustibili fossili. Per fare un esempio, per produrre i 1.200 megawatt di una centrale vicino a Milano, abbiamo bisogno di 1.200 ettari di fotovoltaico. Ma se lo facessi con un fotovoltaico a terra ovviamente toglierei suolo all’agricoltura e quindi non avrei la possibilità di produrre cibo. Noi invece siamo in grado di produrre energia nelle aziende agricole continuando a produrre derrate alimentari, intervenendo con l’intelligenza artificiale per ottimizzare sia la produzione agricola sia quella energetica, da fornire sia alle comunità che alle aziende, grazie a una delle nostre tecnologie, e portarla agevolmente in città.
La pandemia tra l’altro ha rivalutato l’importanza e la salubrità di una campagna viva.
Sì, se consideriamo anche la parte sociale della questione, dobbiamo dirlo: in città la qualità della vita spesso non è il massimo dal punto di vista ambientale e psicologico, spesso la gente ha bisogno di evadere e di trovare tranquillità nella campagna, al di fuori dei centri di consumo, almeno per alcuni periodi. Insomma, di ricercare un ‘distanziamento’. Ecco, anche la ricettività è un servizio importante che offrono le zone periurbane.
Le possibilità fornite dalle nuove tecnologie sono fondamentali, ma la bontà di un approccio simbiotico alla sostenibilità è quasi intuitivo. Perché la società, l’economia e la politica ci stanno arrivando soltanto adesso?
Perché la ricchezza dei paesi viene misurata in prodotto interno lordo. Fino ad ora si è pensato solo a ricavare valore da quanto prodotto, esternalizzando tutti gli effetti negativi di quella produzione. Faccio un esempio, alcune rinomate località turistiche: saranno pure bellissime ma, dopo averci costruito resort e mega alberghi, dopo averle riempite di pullman, iniziano a diventare meno attraenti per il caos. Bene, se chi ha costruito lì avesse considerato che prima o poi ci sarebbe stato bisogno di mettere nel conto economico anche il costo della ricostruzione, forse quella iniziativa economica non sarebbe stata così vantaggiosa. Se chiunque produce qualcosa fosse chiamato a pagarne anche gli eventuali effetti negativi, cambierebbe tutto. Ora forse qualcosa si sta muovendo, noi ci abbiamo pensato prima, con quell’esperimento che abbiamo fatto per passione.
Quella passione di allora, come si è evoluta?
È rimasta. Quei 500 ettari dell’esperimento sono rimasti così, perché quello è un progetto europeo dove non possiamo produrre. Nei 1.700 ettari della nostra proprietà, tra Simbiosi e le altre aziende della capogruppo, abbiamo creato l’Innovation Center Giulio Natta in cui ospitiamo alcune delle nostre startup, aziende in cui investiamo finanziariamente e nelle quali partecipiamo alla costruzione del business. Intanto, sviluppiamo tecnologie e soluzioni e, insieme, produciamo ambiente.
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