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L’impatto della pista di bob di Cortina sarà notevole, al di là del lariceto: anche per scienziati ed esperti, come Giorgio Vacchiano, l’opera è un errore.
La pista di bob di Cortina d’Ampezzo, i cui lavori sono iniziati con l’abbattimento dei primi alberi del lariceto di Ronco, costerà 2 milioni di euro per ciascuno dei praticanti italiani di bob, skeleton e slittino, le tre discipline per cui verrà realizzata l’opera, che dovrà essere realizzata in fretta e furia per i Giochi invernali di Milano-Cortina 2026. Per fortuna, verrebbe da dire ironizzando, i praticanti sono appena 59: così la pista di bob di Cortina costerà “solo” 118 milioni.
Questa mattina gli attivisti per l’ambiente di Extinction Rebellion, insieme ad altre realtà locali, hanno organizzato un nuovo presidio presso la sede della Regione Veneto, dopo quello dello scorso 10 febbraio, per protestare contro la pista di bob di Cortina. E anche il giudizio di esperti e ricercatori specializzati in gestione e pianificazione forestale, come Giorgio Vacchiano o come il comitato scientifico di L’Altra Montagna, legato al quotidiano “Il Dolomiti”, è molto chiaro: l’opera non è sostenibile, ambientalmente e tantomeno socialmente.
Come evidenziato, la costruzione della pista di bob di Cortina è un enorme investimento pubblico per un impianto sportivo utilizzato da pochissimi praticanti: nessun altro sport arriva a sostenere un simile rapporto costi-benefici. Senza contare che i costi di gestione dell’impianto annuale sono ingentissimi (oltre un milione di euro). Proprio per questo preoccupano anche le prospettive future: “La pista di Cesana – realizzata per i Giochi di Torino del 2006 – è stata abbandonata dopo pochi anni per le eccessive spese di gestione” sottolinea Giorgio Vacchiano, con un evidente sottinteso: non capiterà lo stesso anche a Cortina?
Infine, a sottolineare l’insostenibilità sociale dell’opera, nel proprio manifesto contro la pista di bob il comitato scientifico di L’Altra Montagna suggerisce che una tale mole di risorse pubbliche concentrata su un solo impianto sportivo rafforza la convinzione che la montagna esprima un interesse prevalentemente festivo, attento più ai grandi eventi che alle necessità quotidiane di chi abita e vive in quei luoghi. Tra l’altro, la pista andrà realizzata a tempi da record, almeno per le abitudine italiane: anche oggi il Comitato olimpico ha ribadito che la deadline di marzo 2025 dovrà essere rispettata tassativamente, “col grande rischio”, suggerisce Vacchiano, “che non sia pronta in tempo, quindi doppiamente inutile”.
Ma è la stessa idea di costruire un impianto ex novo di tale portata in un’epoca segnata da problemi di natura ambientale, climatica ed economica e essere “un messaggio socialmente devastante, diseducativo e incoerente”. Secondo gli esperti de L’Altra Montagna: da considerare sono infatti il nuovo consumo di suolo che inciderà fortemente sull’aspetto della conca ampezzana, l’abbattimento del lariceto, e quanto sia poco lungimirante, con un clima che si fa sempre più caldo, investire in infrastrutture che dipendono anche dalle basse temperature (tra l’altro la pista è costruita a sud, quindi esposta al sole per tutto il giorno).
“Gli impatti ambientali ovviamente ci sono, dai 4 ettari di bosco deforestati (uno dei pochi casi di vera deforestazione in Italia), all’energia e alle emissioni prodotte per la costruzione e la demolizione del vecchio impianto”, spiega Giorgio Vacchiano, ricercatore in gestione e pianificazione forestale presso l’Università Statale di Milano e divulgatore scientifico. “Magari in assoluto sono “piccoli”, ma mi sembra più importante il loro valore simbolico, soprattutto se legate a un evento che fa della montagna, e di Cortina, un simbolo nel mondo”.
E soprattutto, aggiunge, “a fronte dell’esistenza di alternative facili e a minore impatto, che non si capisce perché non siano state scelte: in nome dell’”italianità”? Ma di cosa, dei peggiori impatti ambientali?”. In effetti, le soluzioni alternative c’erano. Al punto che lo stesso Comitato olimpico internazionale era contrario a una nuova pista di bob: per esempio, era stata presa in considerazione l’idea di trasferire le gare alle piste della vicina Innsbruck, o di Sankt Moritz: anche secondo L’Altra Montagna sarebbe stato un modo per valorizzare il dialogo transalpino e l’identità transnazionale delle Alpi: un modello di “candidatura di rete” internazionale e non di singola nazione.
L’ultimo tema, dal punto di vista ambientale, è quello relativo alle emissioni: con i soldi spesi per finanziare un’unica grande opera, secondo il comitato scientifico di L’Altra Montagna, si sarebbero potuti sostenere progetti di abbattimento di emissioni di CO2, si sarebbe potuto agire con più forza sul ripristino delle aree devastate da Vaia, la tremenda tempesta del 2018, si sarebbe potuta realizzare una rete di “opere piccole” per contrastare il deficit di manutenzione denunciato nel Rapporto Montagne Italia nel 2016.
Tutte mancanze che hanno portato cittadini e associazioni in piazza a Cortina e a Venezia, ma che (tramite l’immagine simbolo dei larici tagliati) hanno provocato sdegno un po’ in tutta Italia. “Sono contento dell’indignazione che questo singolo caso sta suscitando”, riflette Giorgio Vacchiano. “Anche se vorrei dire un’ultima parola di attenzione: la CO2 che quel bosco non assorbirà più, ogni anno, è verosimilmente intorno a 9-10 tonnellate. Sono le emissioni prodotte da 70mila chilometri percorsi in un’auto a benzina. Se nella classe di mio figlio al nido (21 bimbi) i genitori si mettessero d’accordo per dimezzare tutti l’uso dell’auto, risparmieremmo tre piste di bob di emissioni ogni anno. Se ci mettessimo lo stesso impegno di questa sacrosanta indignazione da bob, forse potrebbe accadere”.
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