Alla fine, si è usciti con il minimo sindacale. La sessione di negoziati che si è tenuta a Parigi, presso le sede dell’Unesco, a cavallo tra maggio e giugno, con l’obiettivo di raggiungere un accordo per un trattato internazionale sulla plastica si è conclusa con pochi avanzamenti e con un auspicio. Quello di riuscire ad avere entro la fine dell’anno, per lo meno, una prima bozza del documento, attraverso il quale si dovrebbe disciplinare l’intero “ciclo di vita” di un materiale che sta letteralmente invadendo il Pianeta.
Here is a look at the proposed global plastics treaty, described by the United Nations as the most significant green deal since the Paris climate accord https://t.co/rzycghViY7pic.twitter.com/Jdc2cFuSMD
Per i produttori di petrolio la plastica resta un “piano B”
I rappresentanti dei 175 paesi presenti nella capitale francese hanno accettato il principio secondo il quale la prima stesura debba essere pronta entro il 31 dicembre. Se l’obiettivo finale è infatti quello di arrivare ad un testo definitivo, accettato da tutti, entro il 2024, è necessario accelerare i tempi.
Anche perché a Parigi le distanze tra i governi sono state confermate. Da una parte coloro che puntano ad una regolamentazione rigida della produzione, utilizzo e smaltimento della plastica; dall’altra coloro che preferiscono una via “soft”. Anche perché per i produttori di petrolio si tratta del principale “piano B” di fronte al necessario, e ormai pressoché ineluttabile, addio alle fonti fossili per la produzione di energia.
Paesi del Golfo, Russia, Cina, India e Brasile frenano
Non a caso, l’Arabia Saudita è stata la più pronta nel tentare di frenare, sostenuta da altri paesi del Golfo e anche da Russia, Cina, India e Brasile. “Il tempo stringe. I negoziati hanno mostrato chiaramente che nazioni e industrie produttrici di petrolio fanno tutto ciò che possono per indebolire il trattato e ritardare il processo”, ha spiegato Joëlle Hérin, di Greenpeace Svizzera, in un comunicato. “Se da una parte gli stati appaiono d’accordo sul principio di ridurre l’inquinamento, il modo in cui farlo li divide ancora. Così come gli impegni volontari per ottimizzare la raccolta e il riciclo”, ha commentato un’altra organizzazione non governativa, la Surfrider Foundation Europe.
Esattamente come accade da anni sul clima, insomma, alle parole incoraggianti non seguono i fatti. E anzi a prevalere paiono essere, continuamente, gli interessi particolari. La speranza è che, invece, si possa ripercorrere la strada del Protocollo di Montreal, che ha permesso di agire in modo efficace e rapido sulla questione del buco dell’ozono.
Un rapporto dell’Unep illustra gli effetti dell’accumulo nel suolo della plastica utilizzata in agricoltura e le possibili soluzioni all’emergenza ambientale.