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Da Platone a Hillman. Alla ricerca del proprio daimon
Da Platone a Hillman vi sono filosofi e psicologi che sostengono che siamo chiamati a decifrare il codice della nostra anima, affinché possiamo cogliere con nitore il senso compiuto della nostra presenza nel mondo.
“Prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi
sceglie un’immagine o disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve
un compagno che ci guidi quassù, un daimon, che è
unico e tipico nostro. Tuttavia, nel venire al mondo, dimentichiamo
tutto questo e crediamo di essere venuti vuoti. È il daimon
che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del
disegno prescelto, è lui dunque il portatore del nostro
destino”.
J. Hillman, Il codice
dell’anima
James Hillman, uno dei massimi allievi di Jung, chiama il
pensare per immagini “fare anima”, dimenticando, però, o
fingendo di dimenticare, che il pensare per immagini è
originariamente, come notano a ragione Sini e Galimberti,
operazione filosofica; il filosofo
attua la sua ideazione nell’assenza, e l’assenza dell’oggetto, dice
Galimberti, “è il tratto peculiare dell’immagine”.
E i filosofi non solo stanno al mondo per rintracciare il senso
che collega le cose tra loro anche in loro assenza, ossia facendo
riferimento solo alla loro immagine, ma creano, in senso lato, a
loro volta, immagini di straordinaria plasticità con cui
disegnare la
realtà, soprattutto là ove la ragione
si arena e urge l’ausilio del
mito.
Lo riconosce lo stesso Hillman, nel ricordare come Platone nel
celebre mito di Er rinvii, tramite suggestive immagini, a concetti
quali vocazione, disegno dell’immagine, allineamento della nostra
vita sul daimon, cioè quel qualcosa che esiste in ciascuno
di noi, che ci rende unici e irripetibili, e che contrassegna i
nostri vissuti e i nostri agiti in modo irriducibile.
Insomma, ognuno di noi ha una sua
personalità, una sua vocazione, una sua
immagine che lo contraddistingue in modo radicale e che, di
conseguenza, va ricercata e alimentata senza posa, per rendere
davvero autentica
la nostra esistenza.
Per dirla con Platone: noi siamo ciò che abbiamo scelto di
essere.
In questo senso siamo chiamati a decifrare il codice della
nostra anima…
In questo senso siamo chiamati a decifrare il codice della
nostra anima, affinché possiamo cogliere con nitore il senso
compiuto della nostra presenza nel mondo.
Ma ecco, in sintesi, il celebre mito platonico di Er, descritto
nel X libro della Repubblica, a suggello della libera scelta con
cui ognuno di noi sceglie il proprio destino:
Er, morto in battaglia e risuscitato dopo dodici giorni, racconta
agli uomini il destino che li attende dopo la morte, sottolineando
come non sarà il dèmone a scegliere le anime, ma le
anime a scegliere il dèmone, per cui la
responsabilità etica non è del dio, bensì
degli stessi uomini che hanno liberamente scelto tra i vari
paradigmi o modelli di vita loro proposti nell’aldilà.
Ecco perché il nostro modello di vita è da sempre
inscritto nella nostra anima: scegliere la virtù, coltivare
la parte migliore di noi stessi
o attuare ogni giorno, con coerenza e coraggio, la nostra vocazione
dipende, quindi, solo da noi.
Ascoltiamo direttamente Platone: “Non sarà il
dèmone a scegliere voi, ma voi il dèmone […]. La
virtù non ha padroni; quanto più ciascuno di voi la
onora, tanto più ne avrà; quanto meno la onora, tanto
meno ne avrà. La responsabilità, pertanto, è
di chi sceglie. Il dio non ne ha colpa”.
Questo daimon, che possiamo chiamare anche “genio”, componente
ineludibile del nostro io, a volte può essere perso di
vista, non coltivato, accantonato, ma prima o poi tornerà
per possederci totalmente, per definire la nostra immagine, per far
emergere quello che chiamiamo il “me”.
C’è un punto su cui lo stesso Hillman insiste con passione:
se l’uomo si vede solamente come”un impercettibile palleggio tra
forze ereditarie e forze sociali”, si riduce a statistica, a “mero
risultato”, a “vittima” di un codice genetico.
In questo senso il Nostro “vuole smascherare la mentalità
della vittima, da cui nessuno di noi può liberarsi,
finché non riusciremo a vedere in trasparenza i paradigmi
teorici che a quella mentalità danno origine e ad
accantonarli”.
Insomma, sempre secondo Hillman, si tratta di andare oltre il
gioco deterministico tra ambiente e genetica e
rimetterci sulle tracce del daimon, “di questo compagno
segreto”, e delle sue modalità di operare nella nostra
vita.
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