Il Po in secca più che a Ferragosto, l’agricoltura a corto d’acqua, l’allarme incendi a gennaio. L’inverno nel nord Italia al tempo della crisi climatica.
Il Po è in secca. In una stagione anomala, cioè tra le fine di gennaio e l’inizio di febbraio. Dal monitoraggio dell’Aipo (Agenzia interregionale per il fiume Po) si scopre che il suo livello idrometrico presso il ponte della Becca, in provincia di Pavia, è a meno 3 metri; più basso rispetto a quello di Ferragosto. E non è un’eccezione. In tutto il nord Italia i fiumi e i laghi sono in sofferenza, proprio mentre la neve scarseggia sull’arco alpino. Messi insieme, questi fattori determinano “condizioni di estrema mancanza di risorse idriche”, come scrive l’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Consiglio superiore delle ricerche (Irpi-Cnr).
Quantità di #acqua disponibile nel Nord Italia nel suolo (umidità del suolo a sx) e come neve (a dx @sgascoin) al 30 gennaio 2022 Le mappe sono molto rosse ad indicare condizioni di estrema mancanza di risorse idriche, sia nel suolo che come neve@DPCgov@Giulio_Firenzepic.twitter.com/Hx4gtiq718
Perché i fiumi italiani sono in secca, a partire dal Po
“Il Po è un simbolo. In passato il suo andamento era lineare, ora non più. Da qualche anno a questa parte è diventato erratico, con periodi di secca e di piena fuori stagione”, spiega Stefano Liberti, giornalista che proprio al fiume ha dedicato un capitolo del suo libro Terra bruciata. Come la crisi ambientale sta cambiando l’Italia e la nostra vita, edito da Rizzoli. Una volta passati i lunghi periodi di siccità, “capita che piova in modo molto più dirompente e intenso di prima, causando esondazioni”, spiega Liberti. “Più a valle, il livello del fiume si abbassa e il mare risale, danneggiando i territori, la produzione agricole e le risorse di acqua potabile”.
L’Italia resta un paese piovoso, con circa 300 miliardi di metri cubi d’acqua che cadono ogni anno, ma i cambiamenti climatici hanno inciso sulla distribuzione stagionale e geografica delle precipitazioni. L’inverno tra il 2021 e il 2022 è stato proprio così, mite e poco piovoso. Nelle stesse ore in cui il Po toccava i suoi minimi, Piemonte e Lombardia erano spazzati da un forte vento che, unito alla siccità che perdura ormai da mesi, ha spinto le autorità piemontesi a deliberare lo stato di massima pericolosità per gli incendi boschivi. Un rischio che ci si aspetta durante le torride giornate agostane, non certo nei giorni della merla, tradizionalmente considerati come i più freddi dell’anno.
Le conseguenze per l’agricoltura
Già a fine gennaio sono fioriti i mandorli in Sicilia e le mimose nelle campagne, fa notare Coldiretti, ma questa non è una buona notizia per l’agricoltura. Perché le coltivazioni avranno bisogno di acqua per crescere al loro risveglio vegetativo. E si rischia di replicare lo stesso copione del 2021, quando le repentine gelate notturne di marzo e aprile hanno distrutto i raccolti: solo in Emilia-Romagna si è parlato di danni per 230 milioni di euro.
Il fiume Po è in secca come d'estate e anomalie si vedono anche nei grandi laghi che hanno percentuali di riempimento che vanno dal 18% di quello di Como al 22% del Maggiore. #ANSAhttps://t.co/QcdoTH02oY
L’agricoltura, sottolinea inoltre Liberti, “nel medio termine entrerà in collisione con gli altri portatori di interesse attorno al fiume Po: l’industria, l’energia idroelettrica, il turismo che gravita attorno ai laghi”. Insomma, se tanti soggetti diversi hanno bisogno dell’acqua ma non ce n’è più abbastanza, alcuni equilibri dovranno essere ripensati. “Al contempo, è necessario cambiare alcuni meccanismi produttivi. Attorno al Po per esempio abbiamo enormi coltivazionidi mais che consumano molta acqua e non sono funzionali al consumo umano, bensì agli allevamenti intensivi di maiali e ai biocarburanti. In un momento in cui non c’è abbastanza acqua, ha senso produrre ancora tutto questo mais?”.
Gli interventi di adattamento ai cambiamenti climatici
Un maggiore dialogo tra i portatori d’interesse è una delle risposte possibili a quella che, ormai, non può più essere ritenuta come un’emergenza. La seconda è l’adattamento. “La sfida di oggi è quella di gestire una risorsa, l’acqua, che è scarsa. E, quando cade, viene dispersa. Questo si può fare con una serie di interventi umani come la costruzione di invasi”, conclude Liberti. Attualmente, si legge nella nota di Coldiretti, soltanto l’11 per cento dell’acqua piovana viene trattenuto. Il resto viene lasciato scorrere e quindi, di fatto, sprecato.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) stanzia 880 milioni di euro per migliorare la gestione delle risorse idriche, aumentando la resilienza del sistema agricolo alla siccità e agli eventi meteo estremi. In questo quadro, Coldiretti ha proposto di realizzare una rete di piccoli invasi diffusi sul territorio, sfruttando il più possibile le strutture già preesistenti ed evitando il cemento, per limitare l’impatto paesaggistico.
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