La fuga in Spagna di Edmundo González Urrutia, rivale politico di Maduro alle ultime elezioni, ha esteso oltreconfine una crisi politica di lunga data, aggravatasi con le elezioni di metà luglio.
Una campagna elettorale inaugurata promettendo un “bagno di sangue”, accuse immediate di brogli, repressione violenta del dissenso nelle strade e persecuzioni per gli oppositori politici, costretti a lasciare il Paese. È lo sconcertante riassunto dell’estate del Venezuela, durante la quale il presidente Nicolas Maduro ha infittito le maglie del proprio autoritarismo. E anticipare il Natale per rabbonire le masse difficilmente basterà. Dopo la sua rielezione con il 51 per cento dei voti alle presidenziali tenutesi lo scorso 18 luglio, il paese sudamericano già ampiamente al collasso è sprofondato in una crisi che si aggrava di settimana in settimana. Pochi giorni fa il leader dell’opposizione e avversario politico di Maduro, Edmundo González Urrutia, è fuggito in Spagna chiedendo asilo politico. Allo stesso modo, sei altri politici invisi al presidente hanno chiesto protezione all’ambasciata argentina a Caracas, innescando una grave crisi diplomatica che rischia di aumentare l’isolamento internazionale del Venezuela dai vicini sudamericani.
Dai borgli elettorali alla fuga di González Urrutia a Madrid
González Urrutia è stato lo sfidante di Maduro alle ultime elezioni presidenziali. L’ex diplomatico era stato individuato come rappresentante dell’opposizione dopo che la Corte Suprema venezuelana aveva dichiarato ineleggibile la principale leader, María Corina Machado, e la sua prima sostituta Corina Yoris. Secondo il fronte politico che si è formato per porre fine al governo di Maduro è lui il vero vincitore delle elezioni, avendo raccolto oltre il 70 per cento dei voti. Secondo queste rivendicazioni, il presidente avrebbe completamente sovvertito l’esito del voto. I borgli sono stati più volte denunciati dai funzionari dell’opposizione, che hanno potuto visionare solo il 73 per cento dei fogli di conteggio emessi dalle macchine per il voto elettronico, non riuscendo ad accedere al resto.
Alle pesanti contestazioni aveva partecipato a gran voce anche González Urrutia. Anche per questa ragione, la sua posizione nelle ultime settimana si era aggravata. Era stato accusato di “incitamento alla sedizione”, ed era stato emesso un mandato d’arresto nei suoi confronti. Dopo essersi rifugiato per circa un mese tra la residenza dell’ambasciatore dei Paesi Bassi e poi di quello spagnolo a Caracas, González Urrutia ha chiesto al governo spagnolo di concedergli asilo politico, secondo quanto rivelato dal quotidiano spagnolo El País.
“La sua vita era in pericolo, e le crescenti minacce, convocazioni, mandati di arresto e persino tentativi di ricatto e coercizione a cui è stato sottoposto dimostrano che il regime non ha scrupoli né limiti nella sua ossessione di farlo tacere e di cercare di sottometterlo ”, ha scritto María Corina Machado in un post su X domenica. Lo stesso González Urrutia le ha fatto eco poche ore dopo, dicendo che “la mia partenza da Caracas è stata circondata da episodi di pressioni, coercizione e minacce di non permettermi la partenza”.
La vicenda di González Urrutia non è un caso isolato, ma si inserisce nella campagna di repressione lanciata dal governo per sedare le rivolte post-elettorali, che ha coinvolto anche altri oppositori politici. Secondo Human Rights Watch, almeno 24 persone sono state uccise e circa 2.400 arrestate dall’esplodere delle proteste. Con il passare delle settimane, il caos interno ha attirato le preoccupazioni dei Paesi vicini, allargando il perimetro della crisi. Ne è seguito un vero e proprio caso diplomatico che coinvolge anche Argentina e Brasile.
Occhi puntati sull’ambasciata di Buenos Aires a Caracas
González Urrutia non è dunque l’unico rappresentante dell’opposizione ad essere finito nel mirino di Maduro e dei lealisti di governo. Altri sei funzionari si sono rifugiati da marzo all’interno dell’ambasciata argentina a Caracas dopo che un pubblico ministero ne aveva ordinato l’arresto con l’accusa di cospirazione.
Lo scontro diplomatico scatenato dall’apertura di Buenos Aires all’accoglienza dei diplomatici – oltre alle parole condanna a Maduro da parte del governo argentino, che sostiene fermamente la posizione dei brogli alle elezioni – ha fatto sì che il Brasile assumesse temporaneamente la rappresentanza degli interessi diplomatici dell’Argentina in Venezuela, nonostante l’opposizione di Caracas. Pochi giorni fa il ministero degli Esteri ha affermato che il Brasile non può rappresentare un altro stato. Il Brasile ha affermato di aver ricevuto la comunicazione “con sorpresa” e l’Argentina ha dichiarato poco dopo di aver respinto la decisione “unilaterale” del Venezuela. Entrambi i paesi hanno esortato il governo di Nicolas Maduro a rispettare la convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche che sancisce, tra le altre cose, l’inviolabilità delle ambasciate.
“Qualsiasi tentativo di invadere o rapire i richiedenti asilo che rimangono nella nostra residenza ufficiale sarà duramente condannato dalla comunità internazionale”, ha affermato l’Argentina in una nota. “Azioni come queste rafforzano la convinzione che nel Venezuela di Maduro i diritti umani fondamentali non vengono rispettati”, ha affermato il governo argentino in una nota. Una precisazione molto importante, dal momento che le forze armate venezuelane hanno circondato l’edificio, sorvegliandolo militarmente e bloccando la fornitura elettrica. Negli ultimi giorni si è diffuso il concreto timore di un’irruzione all’interno dell’ambasciata: un’ipotesi che infiammerebbe definitivamente le relazioni internazionali nella regione.
Il Natale anticipato per placare i disordini
Intanto, per provare a frenare le tensioni sociali che si sono riversate nelle strade, Maduro ha giocato una carta insapettata: pochi giorni fa ha annunciato di voler anticipare i festeggiamenti del Natale al 1 ottobre invece che lasciarli a dicembre. Comprarendo nel programma televisivo “Con Maduro+”, il presidente ha detto: “Settembre già profuma di Natale. Ed è per questo che quest’anno in omaggio a voi, in segno di gratitudine nei vostri confronti, decreterò l’anticipo del Natale al 1° ottobre. Il Natale è arrivato per tutti, con pace, felicità e sicurezza”. Benché curiosa, la decisione non è una novità: fu proclamato già nel 2013, in seguito alla morte dell’ex Presidente Hugo Chavez, e ancora nel 2020 e nel 2021. L’annuncio non cambia formalmente la data ufficiale del 25 dicembre, ma anticipa i festeggiamenti e dunque le decorazioni natalizie negli spazi pubblici e soprattutto gli aiuti nei quartieri più poveri.
Caracas è ora isolata a livello internazionale?
Le contestazioni alla vittoria di Maduro da parte dei diplomatici argentini hanno già ampiamente compromesso i rapporti tra i due Paesi, tanto da spingere il governo di Caracas a espellere l’intero corpo diplomatico del vicino sudamericano. A questo si è aggiunta nell’ultimo periodo la crisi con il Brasile di Lula – fra i principali alleati regionali di Maduro – riguardo al controllo dell’ambasciata. Ma più isolata Caracas sembra aver velocizzato un processo di riposizionamento internazionale che era in atto già da tempo. Oltre alle continue critiche e richieste di verità sui risultati delle elezioni avanzate dai governi di sinistra in Cile e Brasile, infatti, il Venezuela ha incassato il sostegno di Cuba, Nicaragua, Honduras, Bolivia e, soprattutto, Cina e Russia, che si erano congratulate con Maduro all’indomani della contestata vittoria presidenziale.
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