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Quante imprese hanno i mezzi per far fronte a un danno all’ambiente? A dare una risposta è la rilevazione di Pool Ambiente su dati Ania.
Qualsiasi impresa, anche se è pienamente in regola e non ha alcuna intenzione di nuocere, può provocare un danno alle risorse naturali. La lamiera di un serbatoio interrato corrosa per l’umidità, un incendio in un capannone, le acque di piena di un’alluvione che raggiungono un magazzino e disperdono materiali. Eppure, in Italia, soltanto lo 0,64 per cento delle aziende si è tutelato attraverso la stipula di una polizza assicurativa per danni all’ambiente. È quanto emerge dall’ultima rilevazione condotta da Pool Ambiente, il Consorzio per l’assicurazione e la riassicurazione della responsabilità per danni all’ambiente, sulla base dei dati Ania (Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici) e Istat (Istituto superiore di statistica).
In Italia sono una più di venti le compagnie di assicurazione che hanno inserito nella loro offerta anche una polizza assicurativa di responsabilità ambientale. Tra quelle offerte dai membri di Pool Ambiente ne esistono di due tipi: quella standard si rivolge prevalentemente alle piccole e medie imprese, quella tailor made include anche servizi di consulenza da parte di tecnici specializzati. Semplificando: se un’azienda è assicurata, sa che un operatore professionale interverrà per supportarla nella riparazione dei danni e ne sosterrà i costi.
Lo 0,64 per cento di imprese italiane dotato di tali coperture è un passo avanti rispetto allo 0,45 per cento della precedente rilevazione, ma è ancora una percentuale estremamente risicata. Aumenta soltanto in quei settori in cui tale adempimento è, più o meno direttamente, imposto. Nel comparto dei rifiuti per esempio la percentuale arriva al 21,16 per cento, perché una legge regionale del Veneto impone alle imprese di sottoscrivere una polizza assicurativa per danni ambientali e una fidejussione. Nel settore chimico, per via dei maggiori controlli, ammonta all’11,87 per cento: è ben superiore alla media ma non può certo dirsi soddisfacente, considerato il livello di rischio.
Anche in termini geografici la diffusione delle assicurazioni per danni ambientali è a macchia di leopardo, con i valori più alti al centro nord (a partire dal Veneto a quota 1,85 per cento) e più bassi al sud e nelle isole (il record negativo è lo 0,21 per cento della Campania).
Ma quanto è frequente che un’azienda sia responsabile di un danno all’ambiente? Il rapporto di Pool Ambiente cerca di dare una risposta anche a questa domanda stimando che, sui 1.000-1.500 nuovi casi di danni alle risorse naturali che si verificano ogni anno nel nostro paese, circa 700-1.200 siano imputabili alle imprese. Escludendo le condotte criminali, ne restano 500-900. Stiamo dunque parlando di imprese in regola che, senza l’intervento di un’assicurazione, si devono sobbarcare in prima persona i costi di emergenza e ripristino delle risorse naturali danneggiate. Il cui importo talvolta è milionario. Pool Ambiente stima che, dal 2006 e il 2023, tra le 10 e le 20mila aziende siano fallite per questo motivo, con tutto ciò che comporta per i lavoratori e per il tessuto socio-economico del territorio.
A quel punto, il sito contaminato tecnicamente è orfano e per la bonifica e il ripristino deve subentrare lo stato, attingendo a fondi nazionali, europei, regionali e locali. In ogni caso, soldi pubblici. Non è facile fare un calcolo cumulativo di queste spese: Pool Ambiente, incrociando una serie di fonti, arriva a stimare un totale di 4,5 miliardi di euro nel periodo che va dal 2006 al 2024. E non è di sicuro un capitolo chiuso, considerando gli impatti sempre più violenti della crisi climatica e le contaminazioni in atto (basti pensare ai Pfas). Ogni volta in cui il denaro dei contribuenti deve sopperire all’assenza del reale responsabile dal danno, però, viene meno un principio fondamentale del diritto ambientale: chi inquina paga.
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