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Polli e uova alla diossina in Belgio. Cosa è successo nel 1999
In pratica, abbiamo mangiato insalata di pollo condita con olio di macchina usato. L’hanno chiamato ‘Dioxin affair’, lo scandalo diossina scoppiato in Belgio nel 1999. È stato un orribile allarme sanitario nonché un caso politico in Belgio che ha avuto ripercussioni roboanti in tutta Europa, dall’Inghilterra all’Italia. Decine di ricerche scientifiche sono state pubblicate sul caso, come Dioxins
In pratica, abbiamo mangiato insalata di pollo condita con olio di macchina usato.
L’hanno chiamato ‘Dioxin affair’, lo scandalo diossina scoppiato in Belgio nel 1999. È stato un orribile allarme sanitario nonché un caso politico in Belgio che ha avuto ripercussioni roboanti in tutta Europa, dall’Inghilterra all’Italia.
Decine di ricerche scientifiche sono state pubblicate sul caso, come Dioxins in Belgian feed and food: chickens and eggs e The Belgian PCB/dioxin incident: analysis of the food chain contamination and health risk evaluation, e le conseguenze commerciali e industriali risuonano ancora.
Gli allevamenti intensivi: polli, uova e prosciutti alla diossina
La concentrazione degli animali negli allevamenti intensivi e il regime alimentare forzato, ormai lo sanno tutti, aumentano lo stress per i poveri animali, le malattie e la pericolosità microbica. Per cui, antibiotici a badilate. Ma sono anche la causa prima e principale della diffusione a raggiera dei veleni e dell’esplosione degli scandali alimentari (“mucca pazza”, “pollo alla diossina” e vedremo quali e quanti altri).
La “modernizzazione” zootecnica ha riempito i cibi di residui di stimolatori dell’appetito, antibiotici (oltre metà della produzione mondiale di antibiotici è destinata alla zootecnia), erbicidi, stimolatori della crescita, larvicidi e ormoni artificiali. L’abuso di antibiotici in zootecnia è all’origine del fenomeno della resistenza agli antibiotici. Ma non è tutto, come s’è scoperto nel 1999.
Nei prodotti animali possono esserci tantissimi contaminanti (benzopirene, le temutissime N-nitrosammine, le già citate aflatossine in carni e pesci conservati) strettamente associati al rischio cancro. Ricordiamo poi che i pesticidi (i tremendi pesticidi clorinati) e le diossine (PCB, CB153, p,p’-DDE, HCB, alfa-HCH, le teratogene 2,3,7,8-TCDD etc. etc.) si accumulano proprio nei tessuti adiposi, cioè nel grasso, di suini e di bovini. E poi degli uomini, ovviamente.
Due ondate di ‘mucca pazza’, una di prosciutti e uova alla diossina, un’ecatombe di afta epizootica in Inghilterra e una in Cina, ritiri di monumentali quantità di hamburger in America, un paio di influenze aviarie e una suina. Negli ultimi quindici anni il mondo intero è stato spazzato da scandali alimentari di proporzioni globali che hanno scosso la nostra tranquillità, il nostro pacifico godimento delle gioie della tavola.
Il primo grande scandalo alimentare europeo è del 1999. Polli, uova e prosciutti alla diossina
Lo scandalo ha avuto inizio il 28 maggio 1999 in Belgio quando il governo ha diffuso una comunicazione sulla presenza di Pcb, precursore della diossina, in polli e uova. Ne hanno trovato livelli anomali anche nei prosciutti.
C’erano già stati precedenti in Usa (350 allevamenti di pollame chiusi nel 1997 per diossina nella bentonite, additivo dei mangimi) e in Francia (nel 1998 alcuni inceneritori avevano inquinato i pascoli del Nord del paese). Ma questa volta la contaminazione sembra non essere stata accidentale.
Il Pcb, policloruro bifenile, trovato in livelli inauditi nei polli allevati in gabbia, le uova e anche prosciutti provenienti dal Belgio, è un componente degli oli motore, trasformatori, condensatori e dei motori elettrici.
Gli animali, dunque, venivano foraggiati con mangimi contenenti oli minerali usati e residui di carburanti. I telegiornali hanno cominciato a mostrare le immagini delle orribili condizioni delle galline allevate in batteria. Ci siamo trovati bombardati da notizie allarmanti e contraddittorie che hanno provocato un crollo nel consumo della carne in mezza Europa e portato in primo piano il tema della sicurezza alimentare. Dall’inizio dello scandalo a fine dicembre 1999 il nostro ministero della Sanità ha emanato qui in Italia ben 23 provvedimenti tra sequestri di polli vivi, carne e uova dal Belgio, controlli, restrizioni estese a carni bovine e suine.
A seguito dello scandalo, l’Unione Europea è stata nuovamente sollecitata a mettere al bando i mangimi ottenuti dagli scarti della macellazione e dagli oli esausti. Nel contempo il Comitato veterinario dell’Unione Europea, nell’agosto ’99, è anche riuscito a prendere una decisione discutibilissima. La mossa è stata di raddoppiare, da 100 a 200 nanogrammi, la quantità di Pcb consentita nelle carni bovine e suine (i Pcb sono legati alla diossina, responsabile in Belgio dello scandalo delle farine animali); il limite di 200 nanogrammi (un nanogrammo è un miliardesimo di grammo) va rilevato su un grammo di grasso. La decisione dei veterinari comunitari contrastava, oltre che con il buon senso, anche con il parere del Comitato scientifico dell’alimentazione della Ue che aveva fissato in 100 nanogrammi la soglia non superabile di Pcb negli alimenti – lo stesso valore previsto dalla normativa italiana; per questo l’Italia votò contro il provvedimento “dei veterinari”, ne chiese l’immediata revisione, ma non poté impedire che nel nostro paese fossero importate e vendute carni con razione doppia di Pcb.
Alla fine però il 30 novembre 2001 il Consiglio dell’Unione europea ha adottato nuovi limiti concernenti la presenza di diossina contenuta negli alimenti destinati all’alimentazione umana. Sensibilmente più restrittivi.
Otto anni dopo… Arrivò una notizia, nell’ottobre 2006. L’autorità belga dell’alimentazione, la Vwa, trova di nuovo livelli di diossina 25 volte superiori alla norma in una partita di grasso di maiale, di strutto. La Profat TM, l’azienda produttrice, s’è rifiutata di commentare. Secondo la stessa Vwa, “il materiale contaminato è talmente poco da non costituire allarme diretto per la salute pubblica”.
E pensare che ufficialmente la messa al bando di mangimi ottenuti da scarti della macellazione e oli esausti è andato a regime nel 1994, ma, a quanto pare, non è bastato per impedire polli e uova alla diossina e “mucca pazza”.
Mangiare escrementi, un editoriale di Udo Pollmer
Udo Pollmer di Slow Food, organizzatissima e benemerita associazione per la difesa dei gusti sani e del piacere, ha pubblicato nel novembre 2000 una pagina esemplarmente intitolata “Mangiare escrementi”, che abbiamo salvato e di cui riproponiamo una parte.
L’industria alimentare trasmette la pressione dei prezzi ai suoi fornitori, vale a dire agli agricoltori. Questi cercano di ammortizzare le riduzioni dei profitti attraverso risparmi con gli animali. Sicché su questi si scarica tutta la brutalità del mercato. La qualità di vita delle povere bestie è ormai subordinata alla redditività. In stalle anguste, ambienti privi di stimolo alcuno, gli animali sono costretti a rinunciare ai loro comportamenti innati: i maiali non possono più scavare né le galline razzolare. Il mangime rappresenta la voce più importante nei calcoli dell’allevatore. È indispensabile essere creativi nella scelta delle materie prime. È su questa strada che le mangiatoie degli agricoltori belgi hanno cominciato a riempirsi di diossina.
Non mancano gli indizi che fanno pensare che, oltre che con oli esausti, il bestiame sia stato nutrito con grassi prelevati dalle vasche di sgrassaggio della rete fognaria o con il calcio residuo della depurazione di gas di combustione delle ciminiere delle fabbriche: come “farina da covata” pare che stimoli lo sviluppo dei gusci delle uova. E c’è chi riferisce dell’utilizzo dei grassi che inondavano le strade in occasione di un incendio di magazzini.
Neanche molto tempo fa i bovini venivano nutriti anche con sterco di gallina. Gli escrementi sono ricchi di urea che la microflora nel rumine degli animali trasforma in preziose proteine. Oggi questo genere di alimentazione è vietato. Ma il motivo non è dato tanto dalla “perversione” della misura di riciclaggio quanto dai problemi dei residui che sorgono dalla somministrazione di cibo impregnato di farmaci. Dopo il divieto dello sterco di gallina gli allevatori fecero ricorso ad altri generi di feci. Ancora nel 1980 nelle nostre riviste scientifiche si potevano leggere perizie del seguente tenore: “Valutazione dell’uso dei solidi del liquame di maiale per l’ingrasso dei bovini e qualità della carne”. Sicché un bel giorno il legislatore dovette disporre il bando di ogni genere di escrementi dalle mangiatoie degli animali. Ma ciò riuscì solo in parte. Con grande sconcerto, qualche mese fa l’opinione pubblica tedesca è venuta a sapere che, nonostante i divieti, le bestie vengono nutrite addirittura con i fanghi delle acque di fogna. L’azienda in questione era in possesso di una autorizzazione speciale. Da quindici anni a questa parte, da quando sono state scritte queste pagine, certamente molte cose sono state corrette. Ma gli allevamenti intensivi ci sono ancora. Molti metodi che parrebbero intollerabili sono ancora in uso.
Incidenti sulla diossina nel cibo possono continuare ad accadere
Nel 2010, la Germania ha gentilmente recapitato 3.000 tonnellate di mangimi Harles und Jentzsch contaminati da diossina a 1.000 allevamenti inglesi di maiali e di galline. Risultato, dopo sei mesi, la scoperta che con quelle uova erano stati prodotti migliaia di generi alimentari anche di grandi marche come Sainsbury, Tesco e Morrisons, che sono stati ritirati da tutti i supermercati britannici. La quantità di diossina non era probabilmente pericolosa, ma intanto tonnellate di cibo sono state ritirate. Entro la metà di gennaio del 2011, 4.700 allevamenti in Germania sono stati chiusi, migliaia di polli uccisi e centinaia di migliaia di uova distrutte. Corea del Sud, Cina e altri Paesi hanno sospeso le importazioni di pollame e alimenti del genere dalla Germania.
L’istituto tedesco federale per l’accertamento dei rischi Bundesinstitut für Risikobewertung (BfR) ha concluso dopo aver esaminato il rischio rappresentato da alimenti contaminati dalla diossina che “anche nel caso teorico che qualcuno avesse consumato alimenti con il più alto contenuto di diossina misurati per un anno, la presenza nel corpo di diossina aumenterebbe solo moderatamente. Alla fine dell’anno, se si fossero mangiate 730 uova, la diossina sarebbe passata da 4 a 14 picogrammi per grammo di grasso corporeo”.
Due decenni fa, i giovani adulti di solito avevano un carico di 30 picogrammi di diossine per grammo di grasso corporeo. “La diossina è in realtà un ottimo esempio della riduzione di un contaminante negli ultimi decenni – affermava Andreas Hensel, presidente dell’istituto – se si guarda al latte di mucca o latte materno in Germania, la quantità di diossina è continuamente diminuita nel corso degli ultimi 20 anni almeno a un quinto del suo valore originale.”
La contaminazione pare partì da un’azienda che produceva biodiesel. Come abbia fatto a finire il biodiesel in tonnellate di mangime, non è chiaro. Le rassicurazioni hanno ben poco placato i timori dell’opinione pubblica sulla sicurezza alimentare. Lo scandalo ha ovviamente catturato di nuovo l’attenzione del pubblico e acceso dibattiti sui metodi produttivi, la sicurezza alimentare e, anche, l’etica che riguarda il trattamento delle galline che depongono le uova e le mucche che danno il latte. I dibattiti televisivi sulle conseguenze di industrializzazione della produzione alimentare furono vivaci. Circa 300 professori tedeschi hanno scritto una lettera per chiedere la fine degli allevamenti intensivi. Ulteriore propellente al dibattito è stato il crescente movimento verso il vegetarianismo, indotto in parte dalla traduzione in tedesco del libro dell’autore americano Jonathan Safran Foer, Eating Animals. Da allora, ogni sondaggio condotto in Germania mostra che i tedeschi hanno in programma di ridurre il loro consumo di carne.
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