Una campagna del Cnr svela una forte attività delle faglie tra le isole proprio dove sorgerà il Ponte, per la Società Stretto di Messina nessuna problema.
Una campagna oceanografica del Cnr rivela profonde spaccature del fondale del mar Ionio meridionale, dove un sistema di faglie sta progressivamente allontanando la Calabria dalla Sicilia.
Lo slittamento sarebbe dovuto a sedimenti che risalgono in superficie e a vulcani di fango.
La notizia riapre dubbi sulla sicurezza del ponte sullo stretto di Messina, anche se la società incaricata assicura che “la scoperta non è rilevante per l’opera”.
C’è un altro intoppo nel progetto per la realizzazione del famoso e tanto discusso ponte sullo stretto di Messina, cavallo di battaglia del governo italiano in carica. E questa volta a mostrare perplessità non sono i territori interessati, le associazioni ambientaliste e le opposizioni politiche, ma la scienza, e in particolare il Consiglio nazionale delle ricerche: la campagna oceanografica Sirene, condotta sulla nave oceanografica Cnr Gaia Blu e appena terminata, utilizzando tecnologie geofisiche all’avanguardia ha infatti identificato un campo di rilievi sottomarini allineati lungo profonde spaccature del fondale dello Ionio meridionale, dove un sistema di faglie sta progressivamente allontanando la Calabria dalla Sicilia, facendo sprofondare lentamente la crosta terrestre al largo dello stretto. Cioè, le faglie su cui sorgerebbe il ponte sono mobili e instabili, al punto che Calabria e Sicilia si stanno allontanando. E dunque la domanda sorgerebbe spontanea: questa instabilità potrebbe riguardare anche il ponte sullo stretto di Messina?
Scoperti vulcani di fango sul fondale dello Ionio meridionale grazie alla nave oceanografica Gaia Blu del Cnr#ANSAhttps://t.co/PTq8r4AWtT
Cosa significa che Calabria e Sicilia si stanno allontanando?
Secondo i risultati della campagna Sirene, a provocare questo slittamento che sta allontanando Calabria e Sicilia sono i cosiddetti diapiri – sedimenti che risalgono da zone profonde, visibili solo con ecografie del sottosuolo – e vulcani di fango che si formano quando materiale profondo risale verso la superficie insieme a fluidi e gas, generando a volte delle vere e proprie eruzioni fluide e viscose. La ricerca è solo ai primi passi, e d’ora in avanti obiettivo dei ricercatori sarà approfondire la natura e la provenienza del materiale che risale lungo queste grandi faglie litosferiche, e capire come queste influiscano sulla generazione di terremoti in una delle zone sismicamente più attive in Europa.
“Le immagini sonar registrate a bordo di Gaia Blu hanno evidenziato con grande dettaglio le morfologie di questi rilievi, che mostrano indicazioni di attività eruttiva e tettonica recente. Alcuni vulcani hanno forma perfettamente conica, altri hanno forme sub-circolari ma molto corrugate e allungate nella direzione delle faglie, e sono spesso associati a frane sottomarine”, spiega la coordinatrice della campagna Alina Polonia, ricercatrice dell’Istituto di scienze marine del Cnr (Cnr-Ismar). “I dati geofisici acquisiti ci permetteranno di ricostruire la morfologia degli apparati e le proprietà fisiche dei materiali coinvolti, per capire se siano alimentati da fango, materiale vulcanico -non siamo infatti lontani dal monte Etna-, o da risalita diapirica di rocce che si trovano abitualmente nel mantello terrestre a oltre 20 km di profondità. Se così fosse, si tratterebbe degli ultimi lembi di crosta terrestre provenienti dell’oceano più antico della Terra, la Tetide, ancora non coinvolti dal processo di subduzione e orogenesi che ha formato gli Appennini e le Alpi”.
Fatto sta che proprio su quella zona tra le più sismicamente attive d’Europa dovrebbe insistere però il ponte che un giorno collegherà Reggio Calabria e Messina, la Calabria con la Sicilia. Nelle intenzioni del ministero delle Infrastrutture, ribadite di recente al Forum Ambrosetti di Cernobbio, l’approvazione del progetto in via definitiva da parte del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess), entro la fine del 2024. E che la pubblicazione del Cnr ha contribuito a riaprire i dubbi sulla sostenibilità e la sicurezza dell’opera. Al punto che la Società Stretto di Messina è intervenuta in via ufficiale per replicare che l’individuazione delle formazioni geologiche citate “non è rilevante ai fini della fattibilità del ponte sullo Stretto di Messina”. Secondo la società incaricata dell’opera infatti “è noto che le coste siciliana e calabrese sono soggette ad un seppur minimo allontanamento” stimati in un millimetro all’anno, “ampiamente considerato nel progetto definitivo del 2011 e nel suo aggiornamento del 2024”.
In attesa di conoscere nuovi dettagli sui risultati della campagna del Cnr, (il team della Gaia Blu ha prelevato -mediante sistemi di carotaggio- campioni di sedimento e rocce sui fianchi di tali vulcani sottomarini e le analisi in laboratorio permetteranno, nell’arco dei prossimi mesi, di ricostruire i processi che controllano la risalita di fluidi e materiale profondi, con l’obiettivo ultimo di comprendere le connessioni tra geosfera e biosfera in ambienti marini estremi, in condizioni simili a quelle nella quali si pensa sia emersa la vita sulla Terra), venerdì 6 settembre Gaia Blu è salpata nuovamente da Catania per un’altra campagna, SPIN-Gela, focalizzata in particolare sull’analisi di faglie e corpi sedimentari in prossimità delle piattaforme di estrazione olio e gas a mare, con l’obiettivo di valutarne l’eventuale pericolosità geologica.
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