A febbraio, in Irlanda, è stato introdotto un sistema di riciclo della plastica che ha permesso di raccogliere 630 milioni contenitori.
Poveri pesci
E’ un problema che riguarda praticamente tutti i mari e dai dati divulgati dalla FAO emerge che il 70% degli stock ittici mondiali sono sovrasfruttati o esauriti!
Le specie di pesci a rischio nei
mari italiani sono: acciuga, nasello, triglia, squali e razze,
pescespada e sardine. Non sono soltanto i pesci per la gastronomia
ad esaurirsi, ma tutti gli abitanti dei mari, siano essi vegetali o
animali. Un esempio, secondo il WWF, sono i vasti prati marini
davanti alla costa sud-est della Spagna, dove molte specie di pesce
trascorrono la loro prima infanzia. Oggi questi prati sono
distrutti per il 40%! Tra le altre vittime sono da segnalare le
barriere coralline del mare Atlantico.
La visione di mari e oceani svuotati dalla vita diventa reale non
solo a causa dell’aumentato consumo di pesce, ma anche dai metodi
di pesca. I grandi pescherecci dispongono di attrezzature molto
sofisticate da un lato perché usano tecnologie nate per
applicazioni militari come i sistemi di navigazione satellitaria o
la mappatura con sonar. Questo impedisce ai pesci, anche a
profondità che superano i mille metri, di potersi rifugiare
e nascondere. Dall’altro lato queste attrezzature hanno un impatto
ambientale pesantissimo, perché tirano su dalle acque
indistintamente tutto. Secondo un calcolo per un chilogrammo di
pesce destinato alla gastronomia i pescherecci arrivano a tirare
fuori dalle acque anche nove chilogrammi di vita animale e
vegetale. E così nel solo mare Mediterraneo muoiono ogni
anno 60’000 tartarughe, accusa il WWF. E barriere coralline e prati
e boschi sottomarini vengono distrutti indistintamente dalle
pesanti attrezzature dei grossi pescherecci.
Cosa si può fare? Ridurre il numero dei grossi pescherecci a
favore delle piccole imbarcazioni che sono meno dannose per
l’ambiente. Istituire parchi marini con divieto di pesca.
Promuovere le acquicolture, ma solo se sono biologiche
perchè le acquicolture tradizionali producono anche loro
effetti disastrosi. Per esempio il salmone, un pesce migratorio,
sopravvive nelle gabbie solo con l’aiuto di massicce dosi di
antibiotico. Inoltre sterco e resti di cibo inquinano le acque.
Secondo il Worldwatch Insitute l’inquinamento che provocano 600
acquicolture norvegesi di salmone nei fjord equivale alle acque
nere dell’intera popolazione del Paese.
L’urgenza della situazione è nota anche alle istituzioni e
la UE si è prefissata di fissare entro l’anno regole nuove
per una politica comunitaria che favorisca una pesca
sostenibile.
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