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Pray for seamen, la pesca artigianale al centro di una campagna di sensibilizzazione
Se parliamo di pesca sostenibile, non si può dimenticare il valore della pesca artigianale. È il focus del progetto Pray for seamen.
Trapani, Sicilia.
Isole Kerkennah, Tunisia.
Accra, Ghana.
Tre terre lontane tra loro, che hanno però una cosa in comune: sono luoghi in cui, a fatica, sopravvive ancora la pesca artigianale, un’attività preziosissima non solo per le popolazioni locali, ma anche per la salvaguardia del mare stesso. I pescatori artigianali, infatti, conoscono i ritmi stagionali e i periodi di riproduzione delle diverse pecie di pesci e le rispettano, in modo da non pesare sugli stock ittici e da non impoverire così le stesse aree di pesca. Un comportamento che nasce dal rispetto – e anche dal timore – per il mare, organismo vivo, e che garantisce non solo la salvaguardia della biodiversità marina, ma anche la continuazione del mestiere di pescatore, spesso unico sostentamento per le piccole comunità costiere che, un po’ ovunque nel mondo, si sono specializzate nella pesca.
Proprio la pesca artigianale è al centro del progetto Pray For Seamen, che è insieme una campagna di sensibilizzazione e una mostra all’Ecomuseo urbano mare memoria viva di Palermo ideata dal fotografo Francesco Bellina, con la collaborazione e i testi del giornalista e scrittore Stefano Liberti e la curatela di Izabela Moren, anche lei scrittrice e curatrice museale, che vive tra Palermo e Londra e che si occupa in particolare di intersezioni tra arte, politica e pensiero critico.
Il valore della pesca artigianale
“Con Francesco Bellina, cresciuto nella città costiera di Trapani in una famiglia con una tradizione di lavoro legata alla pesca, e Stefano Liberti, profondamente impegnato nell’analisi della trasformazione delle risorse naturali, abbiamo cercato di trovare un modo di ritrarre questi cambiamenti nel loro svolgimento”, racconta Moren.
La campagna punta a mostrare i luoghi, ma anche a raccontare il forte contrasto tra i metodi tradizionali di pesca e quelli industriali più spinti, che servono a soddisfare un mercato europeo e occidentale sempre meno consapevole della diminuzione degli stock ittici e dei danni ambientali e sociali causati da sistemi di pesca insostenibile. Pray for seamen mette in evidenza la contrapposizione tra chi il mare lo vive e lo ha vissuto in prima persona per decenni, conoscendo ogni onda, ogni pericolo, ma anche ogni momento propizio, rispettando la stagionalità di ogni specie, accettando, quasi con sacralità quel che il mare dà e quel che il mare prende. E tra chi considera il mare una miniera con risorse infinite da sfruttare in modo indiscriminato, come una magica cornucopia, dove non è necessario “conoscere”; è sufficiente “estrarre”, senza porsi ulteriori domande.
Così, il lavoro di Bellina e Liberti si è concentrato su alcune delle aree costiere del mar Mediterraneo e dell’Africa occidentale che si affaccia sull’oceano Atlantico. Hanno raccontato i metodi sostenibili di pesca artigianale, ma anche lo spopolamento delle zone dove questa si pratica ancora, a causa della concorrenza con i colossi della pesca. La perdita di biodiversità causata dai metodi di pesca non sostenibili. Il mancato rispetto della rigenerazione degli stock ittici: di 1.300 specie pescate, l’88 per cento non si riproduce abbastanza velocemente per i ritmi di pesca. La porzione di pescato in continua crescita: se nel 1974 rappresentava il 10 per cento del totale dei pesci delle aree considerate, oggi rappresenta il 34 per cento. E infine, il fatto che, quando la pesca smette di essere un fattore culturale, sono le comunità locali a perderci: non solo dal punto di vista economico e ambientale, ma anche identitario.
“Mentre il pesce diventa null’altro che una merce, i pescatori scompaiono, portando con sé secoli di conoscenza, duro lavoro, rispetto per il mare, oltre al dovere di prendersi cura di ciò che li fa vivere: la loro cultura, la nostra cultura”, continua la curatrice. “Per noi cittadini della costa, vivere vicino al mare, con il mare, fa parte di una storia, di una liturgia, di una cultura; di un modo di vivere. Se ancora è rimasto del pesce, il legame con questo mondo appare destinato lentamente a svanire, insieme alla scomparsa delle piccole imbarcazioni dai porti della città, dei pescatori e dei venditori”.
Pray for seamen racconta 3 storie per sensibilizzare le persone
Per sensibilizzare le persone sul contrasto tra pesca artigianale e pesca insostenibile, fotografo e scrittore hanno scelto di raccontare le storie di persone e porti, lontani e allo stesso tempo interconnessi, in un lungo viaggio dal Mediterraneo all’Atlantico.
Così, alle isole tunisine Kerkennah, il protagonista è Ramdhane Megdiche, oggi sessantunenne, figlio della prima pescatrice di Chergui, l’isola principale dell’arcipelago. La pesca, per lui, è un mestiere di famiglia. Vi era destinato, anche se, da studente modello, a dodici anni avrebbe voluto continuare la scuola, fare altro. Ma ai suoi tempi, non vi era possibilità di scelta. E neanche ora. Alle isole Kerkennah, sono ancora tutti pescatori. E per scampare a questo destino di povertà e fatica, ormai, il figlio di Megdiche – come tanti altri giovani – si è imbarcato per l’Europa, finendo a vivere nella periferia di una città francese.
In Ghana, ad Accra, la storia raccontata è invece quella del distretto sul mare di Jamestown, popolato da pescatori artigianali, che devono confrontarsi con Progress, la grande struttura portuale cinese costruita per le navi da pesca industriali. Le due modalità di pesca, artigianale e industriale, entrambe permesse, finiscono per scontrarsi e sconfiggere proprio chi il mare lo conosce e lo rispetta da sempre.
E infine, c’è Trapani, un tempo snodo centrale tra Europa e Africa e oggi porto “in declino” che però è al centro di progetti di riqualificazione, grazie ai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che mirano anche a restituire centralità culturale all’isola della Colombaia e a ricostituire il “bacino da pesca” per i piccoli pescatori, ancora cuore e memoria della città.
Il libro e la mostra di Pray for seamen
“Sul mare, tutto sembra lontano, e tutto sembra possibile”, afferma Liberti nella sua introduzione al libro dedicato alla campagna, pubblicato da Cesura Publish. Il volume arricchisce le narrazioni dell’Ecomuseo palermitano, un luogo di ricerca di materiali storici, produzioni artistiche, esiti di laboratori e percorsi di ricerca partecipativa che indagano il tema delle connessioni tra giustizia ambientale e giustizia sociale. “I crimini e violazioni per il commercio globale le dure condizioni di lavoro e gli abusi ambientali accelerati da ciò che Eric Corijn chiama colonialismo acquatico, che coincide con l’avvento della pesca industriale dagli anni ’50 in poi e con la successiva legalizzazione della pesca d’alto mare nel 1982. È anche per questo che le locali tonnare sono fuori uso; il tonno in scatola viene da altri continenti. Mentre peschiamo e inviamo il nostro pesce altrove, il fattore culturale che accomuna le popolazioni costiere attraverso il loro il rapporto con il mare è sparito”.
E, continua lo scrittore, “Con Pray for seamen abbiamo cercato di focalizzare gli aspetti fisici e culturali che definiscono l’artigianalità della pesca e, in primis, i pescatori stessi con le loro reti, i loro strumenti e le abitudini che consentono di instaurare un rapporto di lavoro basato sul reciproco rispetto tra uomo e mare, fatto di secoli di conoscenza, tradizione e folklore”.
Il progetto è supportato da una mostra fotografica: inaugurata lo scorso 16 giugno, è visitabile nelle sale dell’Ecomuseo fino al prossimo 24 settembre.
A questi link, si possono trovare più informazioni sull’esposizione e sul volume dedicato.
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