Dal 1 gennaio, il prezzo del carburante è salito di 20 cent al litro. Tra accise e scioperi, rimane una domanda: cosa paghiamo quando facciamo il pieno?
Dal 1 gennaio 2023, il prezzo del carburante è salito, destabilizzando i consumatori.
Il governo Meloni non ha rinnovato lo sconto sulle accise introdotto dal governo precedente.
I benzinai, accusati di speculazione, hanno indetto uno sciopero, poi rientrato dopo 24 ore.
A distanza di pochi mesi dall’inizio della guerra in Ucraina, il prezzo del carburante in Italia è arrivato a sfondare il tetto dei due euro al litro. Ciò ha spinto, nella primavera 2022, il governo di Mario Draghi a decretareuno sconto temporaneo, ratificato dal Parlamento, di 25 centesimi al litro (30, calcolando anche l’iva). Lo sconto sulle accise, ovvero sulle tasse applicate alla benzina, è stato rinnovato più volte fino al 31 dicembre 2022, quando l’attuale governo di Giorgia Meloni ha deciso di non procedere al suo rinnovo.
Al di là del giudizio politico, è utile andare a capire che cosa paghiamo quando facciamo il pieno della nostra auto e cosa è successo all’inizio del 2023.
Quali sono le accise sul prezzo del carburante
Il costo della benzina alla pompa è determinatoda tre fattori: il costo della materia prima, l’iva e l’accisa. Quest’ultima è – nella definizione che ne dà il sito di fact-cheking Pagella Politica – è un’imposta indiretta fissa, che colpisce determinati beni al momento della produzione o del consumo. L’accisa è unica ed è definita in modo unitario dallo stato e le entrate che ne derivano non finanziano il bilancio statale nel suo complesso e non in specifiche attività. Ecco perché la voce che gira secondo la quale paghiamo ancora la guerra d’Etiopia è falsa.
È vero, come spiega di nuovo Pagella Politica, che ci sono state accise legate a specifiche circostanze, introdotte da attività specifiche (come quelle introdotte dal governo Prodi per finanziare la guerra in Bosnia) ma si è trattato di un aumento dell’imposta già esistente.
Le misure del governo per abbassare il costo del carburante
Nel 2022, il prezzo della benzina è prima aumentato per l’incremento del costo delle materie prime, per poi diminuire “artificialmente” per via del decreto del governo Draghi, più volte rinnovato: la prima volta, lo sconto temporaneo abbassava il costo della benzina da 73 centesimi di euro al litro a 48 centesimi, quindi di 25 centesimi. Terminato il governo Draghi, il governo Meloni ha prima confermato il taglio fino al termine dell’anno, salvo poi ridurlo per il solo mese di dicembre a 15 centesimi al litro. Non avendo prorogato lo sconto nella legge di bilancio di fine anno, l’accisa è infine risalita di 18,3 centesimi (15 centesimi di accisa a cui si aggiunge il 22 per cento di Iva).
La misura ha avuto un peso ingente sulle casse dello stato, in quanto ha richiesto 7,3 miliardi (ma c’è chi dice 10 miliardi: tanto per confrontarlo con un’altra spesa, il reddito di cittadinanza ne è costati 9). Il fatto che la misura costasse così tanto, ha sicuramente spinto il governo a liberare quelle spese per altre attività.
🔵Revocato lo #sciopero dei #benzinai. La revoca del secondo giorno di serrata è "a favore degli automobilisti non certo del governo", scrivono in una nota congiunta Fegica e Figisc Confcommercio. pic.twitter.com/UPrKilxKLY
Perché il taglio dell’accisa non è stato rinnovato
Ma l’aumento improvviso a partire dal 1 gennaio 2023 ha destabilizzato i consumatori. E il governo, invece di spiegare il perché di quella decisione (il costo dei combustibili fossili è sceso rispetto all’inizio del conflitto, vuoi per le sanzioni imposte alla Russia vuoi per la normalizzazione del mercato), ha aggredito prima una indistinta classe di “speculatori” per poi prendersela con eventuali “furbetti” tra i benzinai.
Un paradosso, se vogliamo, per un gruppo di politici (in particolare Meloni e l’attuale ministro delle infrastrutture Matteo Salvini) che negli anni passati promettevano di tagliare le tasse in modo permanente proprio sul carburante. Invece di cancellare le accise, il governo ha sostenuto l’avvio di indagini che non hanno portato all’individuazione di alcuna speculazione plateale ma hanno portato invece a intensificare il conflitto tra imprese e politica: i distributori, infatti, hanno annunciato uno sciopero generale (più che uno sciopero, una “serrata” degli esercizi commerciali, dal momento che parliamo soprattutto di imprenditori): per le date del 25 e 26 gennaio 2023, gli addetti alle pompe di benzina, hanno infatti indetto uno sciopero di 48 ore.
Perché c’è lo sciopero dei benzinai
Ma anche qui, qualcosa non ha funzionato come previsto. Il governo ha cercato di recuperare terreno sul tema, annunciando l’obbligo di esporre settimanalmente i prezzi regionali accanto a quelli della singola pompa di benzina, così che il consumatore potesse capire immediatamente a quanto ammontasse il rincaro. Una misura che non è piaciuta ai benzinai, dando il via a un tavolo di contrattazione dove il governo ha prima rivisto l’obbligo estendendo a 15 giorni il dovere di riportare i prezzi regionali e poi ha confermato di voler diminuire il valore delle multe in caso di scorrettezze.
È andata a finire che l’annuncio del governo ha spinto una delle due sigle a revocare lo sciopero prima che iniziasse, mentre gli esercenti della seconda sigla hanno riaperto dopo 24 ore, adducendo, in un comunicato stampa, all’irragionevolezza del governo (cosa che a ben vedere dovrebbe spingere i sindacati a intensificare lo sciopero invece che sospenderlo). Ma l’ennesimo paradosso di questa storia è che l’intenzione dello stato di diminuire le multe non farà altro che favorire chi vorrà speculare. Non c’è che dire: un “pasticciaccio” il cui unico effetto è stato quello di complicare la vita di milioni di lavoratori e minare la fiducia riposta in uno strumento simbolo di una società civile qual è quello dello sciopero.
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