La Regione Lazio aveva concesso il patrocinio al Pride 2023 del 10 giugno, poi ha fatto retromarcia.
In Lombardia niente patrocinio per l’evento del 24 giugno, e nemmeno una rappresentanza simbolica.
Il ruolo di Pro Vita & Famiglia contro i pride con la scusa del no alla maternità surrogata.
I Pride 2023 che si terranno a Roma il 10 giugno e a Milano il 24 giugno non godranno del patrocinio rispettivamente della Regione Lazio e della Regione Lombardia, al contrario di quanto avvenne negli anni passati.
Le decisioni delle due giunte regionali, rinnovate da pochi mesi con la vittoria alle elezioni del centrodestra in entrambi i casi, sono in linea con gli orientamenti del governo nazionale, che i manifesti degli organizzatori dei due eventi avevano criticato, e uno dei principali nodi del contendere è quello della maternità surrogata.
In realtà, la Regione Lazio aveva inizialmente concesso il proprio patrocinio, come fatto anche dal Comune di Roma (che l’ha confermato). Poi però la situazione è precipitata, anche per la spinta di una associazione, Pro Vita & Famiglia, che ha fortemente spinto affinché la giunta del presidente Francesco Rocca facesse marcia indietro. In Lombardia invece la decisione è stata più lineare, anche perché la giunta Fontana (riconfermata alle regionali) già dal 9 maggio aveva annunciato il no al patrocinio. Il rifiuto anche di una presenza di rappresentanza è arrivato poi dal Consiglio regionale, in controtendenza rispetto all’anno scorso.
Era la mattina del 5 giugno, quando Pro Vita & Famiglia, che in campagna elettorale aveva sostenuto la candidatura di Rocca, aveva manifestato tutto il proprio stupore per la decisione della Regione Lazio di patrocinare l’evento, che a Roma si tiene annualmente ormai dal 1994 e che rappresenta contemporaneamente un momento di festa, di rivendicazione e di presa di consapevolezza della comunità Lgbtqia+. “Mentre in Parlamento il centrodestra propone di rendere l’utero in affitto un reato universale, il presidente della Regione Lazio Rocca concede il patrocinio al Gay Pride che vuole legalizzare la maternità surrogata – aveva tuonato Jacopo Coghe, portavoce dell’associazione -. Ci chiediamo se il centrodestra non sia in preda ad una schizofrenia perché il documento politico del Pride, è chiaro: legalizzazione dell’utero in affitto, matrimonio egualitario, adozioni per coppie dello stesso sesso, trascrizioni anagrafiche per i “figli” delle coppie gay, identità di genere, progetti gender nelle scuole di ogni ordine e grado, e “la carriera alias in tutti gli istituti di istruzione”. Tutte richieste considerate “pericolose”.
🔵 "Togliendo il patrocinio al #RomaPride il presidente della #RegioneLazio ha semplicemente ripristinato la legalità, visto che gli organizzatori del pride promuovono l'illegale pratica dell'utero in affitto".
— Pro Vita & Famiglia (@ProVitaFamiglia) June 6, 2023
Nel pomeriggio dello stesso 5 giugno, all’improvviso, è arrivato il dietrofront della Regione Lazio. Una decisione che, ha provato a spiegare Rocca, si è resa necessaria e inevitabile “a seguito delle affermazioni, dei toni e dei propositi contenuti nel manifesto dell’evento intitolato Queeresistenza, consultate sul sito ufficiale del Pride. Tali affermazioni violano le condizioni esplicitamente richieste per la concessione del patrocinio precedentemente accordato in buona fede da parte di Regione Lazio”. In particolare, il testo violerebbe “le condizioni di rispetto nei confronti delle sensibilità dei cittadini del Lazio e rivendica l’imposizione della legalizzazione di azioni illegali e vietate dall’ordinamento italiano”.
Roma Pride 2023 – Storie di Esistenza
Partecipare al Roma Pride 2023 per Veronica e Sofia è un gesto politico per il riconoscimento dei diritti come famiglia omogenitoriale. pic.twitter.com/tt6ceu0gzH
Andando a consultare il sito del Pride, però, quello che si legge è un manifesto molto chiaro, in cui però non si fa alcuna menzione esplicita alla maternità surrogata:
“Nel primo anno del Governo Meloni, la comunità queer ha subito molteplici attacchi: dall’eliminazione dai registri degli istituti scolastici dei nomi delle persone transgender alla cancellazione dai registri comunali delle figlie e dei figli delle coppie omogenitoriali. Questi e non solo. Noi non abbiamo mai smesso di lottare. Abbiamo portato fuori i nostri corpi, le nostre identità, le nostre esistenze. Perché nessun governo può fermarci”.
Dunque secondo il portavoce del Roma Pride, Mario Colamarino, il neo governatore della Regione Lazio Francesco Rocca semplicemente “paga il debito elettorale a Pro Vita e ritira il patrocinio concesso con delle motivazioni pretestuose dato che la Regione Lazio conosceva le rivendicazioni e i contenuti politici della manifestazione”. Il 6 giugno c’è stato un ulteriore strascico, con Rocca che ha affermato di essere pronto a concedere nuovamente il patrocinio “se gli organizzatori dovessero scusarsi per i toni e le rivendicazioni usate”. Invito ovviamente non raccolto.
Il voto sul Milano Pride 2023
Rapidamente, il caso si è trascinato anche in Lombardia, dove il Pride arriverà due settimane dopo quello di Roma. In questo caso nessun ripensamento però: semplicemente il Consiglio regionale della Lombardia ha messo ai voti la questione, bocciando la mozione del centrosinistra che chiedeva il patrocinio e la partecipazione ufficiale di un delegato regionale al Milano Pride del 24 giugno.
Il quale si è dotato anch’esso di un manifesto politico, composto di tre articoli fondamentali, i cui titoli sono:
Esigiamo pari diritti, tutele e benefici garantiti a tutti gli altri cittadini,
Riconoscere pari diritti per lə figlə di tutte le famiglie,
Riconoscere parità e diritti alle persone transgender, non binarie e di genere non conforme,
I gruppi di minoranza, ad eccezione di quello della ex vicepresidente Letizia Moratti, avevano presentato una mozione che impegnava il presidente della Giunta Fontana a garantire come l’anno scorso la presenza istituzionale di un delegato con fascia della Regione Lombardia alla manifestazione conclusiva del Pride 2023. Nel testo della mozione si richiamava la decisione di non concedere il patrocinio alla Pride Week presa dall’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale lo scorso 9 maggio ritenendo che una presenza istituzionale di Regione Lombardia fosse comunque “doverosa nel rispetto delle centinaia di migliaia di cittadini lombardi che parteciperanno alla manifestazione”.
“Ricordo – ha sostenuto presentando la mozione il primo firmatario Luca Paladini – che lo statuto di Regione Lombardia proclama solennemente di sostenere la dignità della persona umana e promuovere la pari dignità di tutti i cittadini. Diamo dunque seguito a questi validissimi principi applicando concretamente l’inclusione non solo a parole. La presenza di un delegato regionale alla manifestazione chiaramente identificabile grazie alla fascia istituzionale sarebbe un segno tangibile della nostra vicinanza alle persone con diverso orientamento sessuale”.
Carnevalata! Blasfemi! La famiglia naturale! E poi citazioni bibliche, cartelli a ricordarci quanto siamo indecorosi.
Con 43 voti contrari e 23 favorevoli, però, la mozione è stata respinta dalla maggioranza, che in aula ha spiegato, parole di Christian Garavaglia, capogruppo di Fratelli d’Italia, che “nei pride si offendono sistematicamente le convinzioni etiche e religiose di tantissimi cittadini lombardi e nei documenti a sostegno della manifestazione si appoggiano pratiche apertamente illegali come la gestazione per altri o utero in affitto”. Nel manifesto del Pride milanese si parla, in effetti anche di gestazione per altri (Gpa), definita “una pratica ampiamente diffusa in larga percentuale tra le coppie eterosessuali e regolamentata, legittimata e riconosciuta in numerosi Paesi nel mondo da più di 20 anni, a differenza delle tante false notizie diffuse da certi partiti conservatori e dai media. Ad aprile di quest’anno, la commissione Giustizia della Camera ha adottato il testo base della legge che propone di perseguire la Gpa come reato universale, cioè punito anche se commesso all’estero: un atto, secondo gli organizzatori del Pride, “ideologico e sproporzionato”. Anche in questo caso Pro Vita & Famiglia ha subito espresso la propria soddisfazione.
Il precedente della Convenzione contro la violenza sulle donne
D’altra parte Pro Vita & Famiglia è la stessa associazione che all’inizio di giugno aveva commentato la definitiva ratifica da parte dell’Unione europea della Convenzione di Istanbulcontro la violenza sulle donne come una notizia “drammaticamente ufficiale” e la Convenzione stessa “una triste e pericolosa realtà che contiene chiari riferimenti al gender, alle istanze Lgbtqia+ e in violazione della libertà educativa di milioni di genitori europei”. Gli stessi europarlamentari italiani che compongono la maggioranza, a inizio maggio, si erano astenuti nella votazione sulla ratifica da parte dell’Europa, per gli stessi motivi.
Il fatto che la Convenzione di Istanbul promuova una fantomatica teoria gender, che annulli le differenze uomo-donna in particolarmente nell’insegnamento ai bambini, è di fatto una fake news già più volte smentita: al contrario, il documento è stato il primo a fornire una definizione di genere che comprende i ruoli socialmente costruiti, comportamenti, attività e attributi che una data società ritenga appropriati per le donne e gli uomini. Il tentativo che è alla sua origine è piuttosto quello di abbattere gli stereotipi legati ai generi.
La trans pestata a Milano sarà madrina del Pride di Bari
Una bella notizia arriva invece da Bari, dove il Pride si terrà il 17 giugno. Gli organizzatori della kermesse del capoluogo pugliese infatti hanno scelto come madrina dell’evento Bruna, la donna transessuale che a maggio era stata pesantemente aggredita da quattro agenti a Milano, nel parchetto Trotter.
Bruna, la donna trans manganellata a Milano, sarà madrina del Bari #Pride. «Non vogliamo popstar ignoranti».
“Non vogliamo madrine patinate, che rivelano ignoranza e posizioni retrive sui nostri diritti – spiegano gli organizzatori del Bari Pride – Non ci servono popstar per renderci conto del baratro a cui siamo prossimə. Serve una presa di coscienza urgente delle violenze che Bruna rappresenta, sulla sua pelle. E su una denuncia sporta per tortura aggravata. Aggravata dalla discriminazione, perché una legge contro l’omolesbobitransfobia non è mai stata approvata nel nostro paese. In compenso, qualcuno voleva abolire il reato di tortura perché – dice – impedisce agli agenti di polizia di svolgere correttamente il proprio lavoro”. Bruna, per il Bari Pride, rappresenta “tutta la strada che c’è ancora da fare. E nominarla madrina onoraria è l’abbraccio di una comunità alle stigmatizzazioni con l’odore della strada, lontano da ogni commerciabilità delle nostre istanze”.
La maggioranza vuole far diventare reato universale la maternità surrogata, già vietata in Italia: perché e qual è il nesso con le coppie omogenitoriali.
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