Le wrestler indiane accusano il presidente della loro Federazione di averle molestate per anni, in un clima di impunità. Nasce così una lunga protesta.
In India da mesi le wrestler accusano il presidente della Federazione di abusi e molestie sessuali.
Nessun processo però è mai partito e, quindi, sono iniziate lunghe e partecipate proteste.
Al fianco delle wrestler si sono schierate tante altre realtà: in gioco c’è il futuro dello sport femminile in India.
“Le nostre medaglie sono sacre, per questo le getteremo nel Gange, il fiume sacro. Lui è il custode perfetto per le nostre medaglie, sicuramente non il sistema che proteggere il colpevole”. Con questo comunicato stampa un gruppo di wrestler professioniste indiane ha annunciato la propria intenzione di gettare le medaglie olimpiche vinte nel Gange, e poi dare l’inizio a uno sciopero della fame.
Questo perché solo due giorni prima la polizia indiana aveva interrotto con la violenza la loro marcia verso il Parlamento indiano. Le wrestler, insieme anche a colleghi uomini, ad altri gruppi che si battono per la difesa dei diritti delle donne e alcuni partiti dell’opposizione, da diversi mesi portano avanti serie e partecipate proteste contro Brij Bhushan Sharan Singh, presidente della Federazione indiana di wrestling e parlamentare con il partito Bharatiya Janata Party (Bjp), quello che governa l’India, lo stesso del presidente Narendra Modi.
Singh è accusato di molestie sessuali, stalking, intimidazione e varie altre forme di abuso ai danni di tantissime atlete (tra cui una minorenne) nel corso di più di dieci anni. Le wrestler pretendono che Singh venga indagato e arrestato, ma questo non sta accadendo. Da qui una protesta che, partendo dallo sport, trasmette al mondo l’immagine di un paese, l’India, dove le donne vivono in condizioni di costante sottomissione e dove scagliarsi contro il governo può diventare molto pericoloso.
Le wrestler indiane parlano di abusi sistematici da parte del presidente Singh
Il terremoto inizia nei primi giorni di gennaio 2023, quando alcune wrestler – capitanate da Sakshi Malik (medaglia di bronzo a Rio 2016) e Vinesh Phogat (oro ai Giochi asiatici del 2018) insieme al collega Bajrang Punia (bronzo a Tokyo 2021) – lanciano pesanti accuse contro il capo della loro Federazione. Brij Bhushan Sharan Singh, nel corso degli anni, avrebbe costruito un clima di terrore all’interno della Federazione, sentendosi libero di molestare le atlete.
Malik e Phogat parlano di una serie di abusi di sistema. E infatti, dopo la loro prima denuncia, molte altre lottatrici trovano il coraggio di raccontare la propria esperienza. C’è chi dice di aver ricevuto da Singh l’offerta di importanti avanzamenti di carriera in cambio di prestazioni sessuali; altre hanno raccontato di essere state più volte chiamate singolarmente durante gli allenamenti nell’ufficio del presidente, che ha chiesto loro di spogliarsi e le ha palpate con la scusa di testare il ritmo del respiro; altre ancora hanno detto di essere state toccate sulle natiche e strette nelle spalle durante le foto ufficiali. Singh avrebbe anche promesso integratori alimentari e prodotti nutritivi in cambio di favori sessuali.
Stando a queste testimonianze, Singh avrebbe portato avanti simili comportamenti per anni, forte della propria posizione politica che scoraggiava le donne dall’idea di reagire e denunciare. Fino a quando Malik e Phogat non hanno il coraggio di lanciare la prima richiesta d’aiuto. Questo accade a gennaio. Singh fin da subito nega ogni cosa, dicendosi pronto addirittura a impiccarsi se anche una sola accusa dovesse essere confermata. Anche il governo indiano inizialmente sembra prendere sul serio la vicenda, sospendendo Singh da tutte le sue cariche parlamentari e aprendo un’indagine per far luce sulla vicenda. Dopo quest’annuncio, però, non succede più nulla.
Le proteste delle sportive sedate con la violenza
Dopo i primi giorni di protesta a gennaio, le wrestler sospendono le manifestazioni, convinte del fatto che il presidente Modi tenga fede alle proprie promesse e apra una reale indagine su Singh. Questo, però, non accade. Così, il 23 aprile, le sportive tornano in piazza per chiedere l’arresto di Singh con l’accusa di molestie sessuali aggravate ai loro danni. Sottolineando anche la differenza di trattamento da parte della polizia indiana che, in altre occasioni, non si era fatta scrupoli ad arrestare persone a seguito di accuse precarie.
Le manifestanti scelgono come sede della loro protesta l’osservatorio astronomico Jantar Mantar a Nuova Delhi, uno dei luoghi più famosi della capitale, la cui costruzione risale al 1724. La loro protesta va avanti fino allo scorso 28 maggio, giorno dell’insediamento del nuovo governo indiano, presieduto da Modi. Il loro piano è quello di partire dal loro piccolo accampamento per marciare verso il Parlamento.
Centinaia di poliziotti però bloccano e assalgono i manifestanti, iniziano una lunga serie di arresti e smantellano le tende al Jantar Mantar. Il governo indiano viene quindi accusato di esercitare il proprio potere in maniera autoritaria, impedendo proteste che, di per sé, erano civili e non violente. “La polizia ci ha messo 7 giorni a registrare la nostra denuncia contro Mr. Singh ma ci ha messo solo 7 ore per ricevere il mandato e venirci a prendere mentre stavamo facendo una protesta pacifica”, sostiene Sakshi Malik. “L’India è diventata una dittatura? Tutto il mondo vedrà come il governo sta trattando le sue atlete”.
La polizia si giustifica affermando che non sia permesso manifestare in quella zona di Delhi, per ragioni di sicurezza e di scorrimento del traffico. L’uso della violenza però fa sì che la battaglia delle wrestler e degli altri lottatori diventi una questione di stato. Svariate associazioni che si battono per i diritti delle donne, alcuni membri dell’opposizione ma anche tanti contadini e abitanti dei villaggi provano a supportare alle wrestler, sia durante la marcia sia nei giorni successivi.
Dopo tante polemiche e accuse, ci sarà un processo
Rakesh Tikait, il leader del partito di opposizione Bharatiya Kisan Union, si schiera apertamente con le sportive. Affermando che, se non arresterà Singh, il governo dovrà fare i conti con enormi scioperi e proteste in tutto il paese. Questo perché molte donne, anche al di fuori dall’ambito sportivo, vedono in queste manifestazioni la possibilità di pretendere tutele e condizioni di vita migliori. C’è chi sottolinea come queste proteste servano a salvaguardare anche le future generazioni di bambine. “Come posso pensare di far praticare loro dello sport se questo è il sistema che lo controlla?”, ha dichiarato uno dei manifestanti.
Malik lancia un appello direttamente al presidente Modi: “Dopo la vittoria delle medaglie olimpiche ci ha invitato a casa sua, ci ha mostrato grande rispetto e ci ha definito come ‘sue figlie’. Ora gli chiediamo di accogliere il nostro mann ki baat”, facendo riferimento all’omonimo programma radiofonico condotto da Modi e la cui traduzione è “parole dal cuore”. Il presidente per ora non si è mai espresso pubblicamente sulla vicenda. Un silenzio che non fa presagire nulla di buono per le lottatrici.
Un altro esempio di quanto il governo stia provando a raccontare le proteste in maniera differente riguarda una fotografia, scattata poche ore dopo gli arresti, nella quale si vedono le due atlete manifestanti Vinsha e Sangeeta Phogat sorridenti su un pulmino insieme ad altre lottatrici e a tre agenti della polizia. La sua diffusione ha l’intento di dimostrare che stanno bene e che non c’è stato alcun uso della violenza. Il lottatore Bajrang Punia dubito denuncia questa foto come falsa, modificata attraverso un software. La stessa Vinsha ha detto di aver scattato quella foto come “testimonianza della situazione” e “per mostrare le persone arrestate insieme a lei”.
IT Cell वाले ये झूठी तस्वीर फैला रहे हैं। हम ये साफ़ कर देते हैं की जो भी ये फ़र्ज़ी तस्वीर पोस्ट करेगा उसके ख़िलाफ़ शिकायत दर्ज की जाएगी। #WrestlersProtestpic.twitter.com/a0MngT1kUa
Ora, dopo mesi, diversi media internazionali riferiscono che finalmente ci sarà un processo. Svariate associazioni che si battono per i diritti delle donne chiedono alle istituzioni internazionali di vigilare affinché si svolga in maniera corretta. Episodi del genere aumentano le pressioni sul governo Modi, che continua a rimanere in silenzio, mentre l’India e il mondo intero osservano quello che sta succedendo.
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