Giovedì 13 ottobre, a Pechino, alcuni manifestanti hanno scandito slogan ed esposto striscioni contro il governo. Un evento che, per la Cina, è rarissimo.
La protesta è stata organizzata a pochi giorni dall’apertura del congresso del partito comunista cinese. Xi Jinping, al potere da dieci anni, si appresta a essere riconfermato.
La popolazione è allo stremo per il perdurare della durissima strategia zero Covid, dalle pesanti conseguenze sociali ed economiche.
A pochi giorni dall’apertura del ventesimo congresso del partito comunista cinese, in cui Xi Jinping si appresta a essere riconfermato per il terzo mandato da segretario generale, a Pechino si assiste a qualcosa che in Cina capita davvero di rado: una protesta pubblica contro il governo. Pur essendo stata rapidamente sedata, tanto con l’intervento delle forze dell’ordine quanto con la censura nei social network, rappresenta un segnale importante in un paese ormai ridotto allo stremo per il perdurare della dura strategia “zero Covid”.
Beijing,China today,protest banners appear in message of asking end of Zero-covid,political reform and civil rights! Also set fire on the site for attracting attention. 🔥🔥🔥 pic.twitter.com/WzdExsfqE2
Come stanno i cittadini cinesi dopo due anni e mezzo di pandemia
Il malcontento della cittadinanza ha un grande motivo scatenante: la strategia zero Covid adottata dall’esecutivo cinese. Una strategia fatta di test obbligatori a tappeto anche in assenza di sintomi, confini rimasti sbarrati per due anni e poi riaperti soltanto in circostanze molto specifiche, lockdown che scattano non appena viene riscontrato un focolaio anche ridottissimo, obbligo di isolamento per chiunque si sia trovato nello stesso luogo di una persona risultata positiva (pur senza essere un suo contatto stretto). Questa linea dura ha funzionato durante le prime ondate: hanno fatto il giro del mondo le immagini di Wuhan, nell’inverno tra il 2020 e il 2021, tornata alla normalità mentre le metropoli occidentali erano ancora semideserte.
Con l’avanzare della campagna vaccinale e la diffusione della variante Omicron, dai sintomi più leggeri, la situazione si è invertita. Il resto del mondo ha progressivamente allentato le restrizioni, anche per dare respiro alla società e all’economia, mente la Cina è rimasta ferma nella sua posizione di tolleranza zero, fatta rispettare mediante una vigilanza intransigente e talvolta violenta. Quest’ultima però non è nemmeno più in grado di arginare un virus divenuto molto più sfuggente e contagioso.
Gli ospedali dunque reggono, cosa non scontata in un paese immenso con vastissime aree rurali. In compenso, però, la popolazione è stremata. Ci sono famiglie rimaste con la dispensa vuota, dopo settimane intere in cui è stato loro vietato di uscire anche solo per fare la spesa. Donne incinte che non vengono visitate da un medico per mesi, bambini che non mangiano per giorni perché è finito il latte, anziani rimasti senza medicine.
Per l’economia del gigante asiatico, che per anni è stata citata come un esempio di dinamismo, potrebbe essere molto difficile ripartire a pieno ritmo. La Banca mondiale prospetta per il 2022 una crescita del pil pari soltanto al 2,2 per cento: negli ultimi trent’anni si era sempre mantenuta su una media del 9 per cento, performance che avevano contribuito a far uscire 800 milioni di persone da uno stato di povertà.
Le proteste a Pechino contro Xi Jinping
Una situazione così tesa, e apparentemente lontana da una risoluzione, è il motivo scatenante delle proteste che sono state messe in scena nella giornata di giovedì 13 ottobre a Pechino. Le poche immagini diffuse in Rete mostrano due striscioni collocati su un ponte del distretto di Haidian, nella zona nordovest della capitale. Su uno di essi si legge: “No ai test Covid, vogliamo mangiare. No alle restrizioni, vogliamo libertà. No alle bugie, vogliamo dignità. No alla Rivoluzione culturale, vogliamo riforme. No ai leader, vogliamo votare. Se non saremo schiavi, potremo essere cittadini”. Il secondo invitava i cittadini a “scioperare a scuola e al lavoro, cacciare il dittatore e traditore della patria Xi Jinping”. Dai video si vedono anche dense colonne di fumo sul ponte, usate per attirare l’attenzione, e si sente un uomo scandire slogan con un altoparlante.
“Go on strike, remove dictator and national traitor Xi Jinping,” #China : 2 banners hung on an overpass of a major thoroughfare in the northwest of the #Chinese capital, protesting against Xi’s unrelenting zero-Covid policy and authoritarian rule pic.twitter.com/0QjOAkgKa8
Le forze dell’ordine non si sono fatte attendere, fermando i manifestanti e bloccando alcune vie d’accesso alla città. Tant’è che i giornalisti della Bbc, arrivati sul posto, hanno potuto soltanto testimoniare la presenza degli agenti di polizia. Anche gli hashtag di dissenso sono scomparsi ben presto dai social media. L’episodio dunque si è esaurito in fretta, ma la sua eco rimarrà ancora a lungo, in un paese che non ammette alcuna opposizione al potere costituito.
"We want food, not covid tests We want reform, not Cultural Revolution We want freedom, not lockdown We want votes, not a leader We want dignity, not lies We are citizens, not slaves"
Simple words that take such courage to say – or even to see and share in China today
Verso il ventesimo congresso del partito comunista cinese
Questa manifestazione non arriva in un momento qualsiasi. Domenica 16 ottobre prenderà infatti il via il congresso del partito comunista cinese, il ventesimo. L’esito appare scontato: verrà riconfermato Xi Jinping, segretario generale del partito da novembre del 2012 e presidente cinese da marzo del 2013.
In questi dieci anni Xi Jinping è stato in grado di accentrare visibilmente il potere. Avendo abolito la regola dei due mandati che era stata imposta da Deng Xiaoping, sarà riconfermato per la terza volta (non era mai successo a nessun suo predecessore dopo la morte di Mao Zedong nel 1976) e, virtualmente, potrà restare al vertice fino a quando lo vorrà. Se dunque la sua nomina non desterà troppe sorprese, bisognerà vedere se – e come – vorrà affrontare la profonda crisi economica e sociale che scuote il suo paese.
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