Le proteste contro il governo in corso a Cuba sono state definite le più grandi degli ultimi 30 anni. C’entra l’embargo americano, ma anche la soppressione interna delle libertà.
A Cuba migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro il governo e la crisi economica. Le manifestazioni antigovernative sono cosa rara sull’isola, lo stato mette molti paletti al dissenso e ha uno stretto controllo sull’informazione, tanto che era da quasi 30 anni che non si assisteva a scene simili. Carenza di cibo e medicinali, impennata dei prezzi a causa dell’inflazione e la luce in fondo al tunnel della pandemia ancora lontana hanno però avuto un effetto esplosivo, su cui ha soffiato anche il tam tam sui social network. L’inasprimento delle sanzioni americane sotto Donald Trump ha contributo a questa situazione, ma il malcontento viene da lontano.
Cuba scossa dalle proteste
I primi a scendere in strada a Cuba sono stati i cittadini di San Antonio de los Baños, cittadina a sud di L’Avana. Poi la protesta si è estesa a macchia d’olio al resto del paese, coinvolgendo nel complesso migliaia di persone. All’urlo di “libertà” e altri slogan contro il governo di Miguel Diaz-Canel, i manifestanti hanno acceso i riflettori sul difficile momento che si vive sull’isola.
C’è la pandemia di Covid-19, che non accenna a calmarsi: il 12 luglio ci sono stati oltre 6mila contagi e 42 decessi, questo mentre solo il 15 per cento della popolazione risulta vaccinata, con le somministrazioni cominciate da poco tempo con i vaccini di casa Abdala e Soberana 2. Mentre il virus dilaga, il sistema sanitario fatica a stare dietro alla situazione e in alcuni ospedali mancano i medicinali con cui curare le persone. Altri problemi si stanno riscontrando nei mercati, dove gli scaffali sono vuoti nella peggiore delle ipotesi, nella migliore invece i prodotti hanno prezzi alle stelle a causa dell’iperinflazione al 500 per cento, con il peso cubano che si è svalutato del 2.400 per cento. Sull’isola sono poi in costante aumento i blackout elettrici, a causa di una carenza nella produzione di energia. Questa situazione ha portato a una crescita dell’emigrazione, con le partenze che quest’anno sono aumentate del mille per cento rispetto allo scorso, ma anche a proteste di piazza.
Cuba’s Communist government deployed security forces across the country and communications with the outside world were disrupted amid large-scale protests #WSJWhatsNowpic.twitter.com/hDa0CZJIi8
La polizia inizialmente ha osservato da lontano le proteste, poi è intervenuta usando spesso il pugno duro. Decine di persone sono state arrestate, mentre le immagini mostrano un uso eccessivo della violenza nei confronti dei manifestanti.
A L’Avana non si protestava così da decenni
Quella delle scorse ore è stata definita la protesta più estesa degli ultimi 30 anni a Cuba. L’ultimo episodio simile degno di nota si è avuto in effetti nel 1994, quando ci fu il Maleconazo, manifestazioni diffuse per protestare contro la profonda crisi economica conseguente allo sgretolamento dell’amico sovietico e che portò a un’emigrazione di massa. Secondo alcuni commentatori era addirittura dalla rivoluzione, nel 1959, che non si vedevano simili moti di dissenso.
A Cuba non è mai stato facile protestare. Il governo locale intimidisce e punisce il dissenso, attraverso mezzi che secondo l’ultimo report dell’organizzazione non governativa Human rights watchincludono “percosse, umiliazione pubblica, restrizioni di viaggio, detenzioni di breve durata, multe, molestie, sorveglianza e licenziamento”. Anche l’informazione è stretta sotto questo giogo, con i giornalisti di opposizione che di fatto non esistono e che quando esistono su blog e pagine indipendenti finiscono spesso per essere oscurati, in un paese che ha “il clima più difficile per la stampa di tutte le Americhe”, secondo un report dell’organizzazione Committee to protect journalists.
Las casas de activistas y periodistas independientes bajo operativo policial. Varios reporteros en paradero desconocido y otros en estaciones policiales. La prensa está en la diana, para impedirle reportar lo que ocurre, pero seguiremos. #SOSCuba#11JCuba#CorredorHumanitario
Avere accesso a un’informazione imparziale e organizzarsi a Cuba è da sempre molto difficile, ma se oggi è stato possibile è grazie ad alcune misure introdotte negli ultimi tempi dal presidente Diaz-Canel, che ha raccolto l’eredità dei Castro. L’accesso a internet e ai social networkè più libero e le proteste delle scorse ore hanno in effetti avuto una forte componente online, come era per esempio per le primavere arabe, con la diffusione dell’hashtag #SOSCuba. Proprio per questo però ci sono stati diversi blocchi di internet d’ispirazione indiana, che per diverso tempo non hanno consentito l’accesso a pagine e profili che coprivano le manifestazioni. L’urlo “libertà” durante i cortei è anche una risposta a questo clima oppressivo, dove il partito unico non lascia spazio alle critiche.
Cosa c’è dietro alle proteste cubane
Secondo Diaz-Canel, le persone in piazza sono burattini pagati dagli Stati Uniti per creare caos sull’isola. Il presidente è comparso in televisione per spingere la popolazione a scendere in strada in contrapposizione alle manifestazioni antigovernative, così da “difendere la rivoluzione”. Il presidente americano Joe Bidensi è schierato invece al fianco del popolo cubano e della sua richiesta di libertà.
Che ci siano gli Usa dietro alla situazione economica difficile che sta vivendo l’isola caraibica è innegabile. Dal 1962 il paese subisce l’embargo di Washington e questa forma di oppressione economica ha costituito un forte freno allo sviluppo dell’isola: il commercio e l’attività imprenditoriale sono ristretti, le rimesse dalla folta comunità cubana in suolo americano sono limitate e anche per quanto riguarda viaggi e spostamenti la situazione è molto difficile. Come ha calcolato il ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodriguez, i danni accumulati in 60 anni di embargo ammontano a 147,85 miliardi di dollari e gli ultimi anni, quelli di Donald Trump, sono stati tra i peggiori. L’ex presidente ha fatto un dietrofront rispetto alla volontà del predecessore Barack Obama di togliere le sanzioni e, al contrario, le ha intensificate con 243 nuove misure di blocco.
— Miguel Díaz-Canel Bermúdez (@DiazCanelB) July 12, 2021
Ma i problemi di Cuba vengono anche dall’interno. Come negli altri paesi del mondo, il Covid-19 ha lasciato profonde ferite nell’economia e questo ha riguardato soprattutto il turismo, pilastro del Pil nazionale, con gli arrivi che nel 2021 sono stati per ora inferiori del 95 per cento rispetto all’anno precedente. Altre problematiche hanno a che fare con la cattiva gestione del poco denaro disponibile da parte del governo, dalla crisi che in parallelo sta vivendo l’importante partner venezuelano, dall’incapacità del nuovo presidente Diaz-Canel di fare un passo oltre a un conservatorismo castrista che appare ormai superato e, infine, dal contesto di repressione e scarso rispetto delle libertà che proprio con internet e i social network sta venendo allo scoperto. La profonda crisi cubana, i disordini degli ultimi giorni, hanno dunque natura tanto esterna quanto interna e potrebbero segnare l’inizio di una nuova fase per l’isola. Intanto, nelle scorse ore il governo ha fatto un primo passo verso i manifestanti: sono stati tolti i dazi all’importazione su una lista di generi alimentari e medicinali, così da aumentare la loro offerta sul mercato a prezzi più bassi.
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