Alla fermata del bus in piazza della Libertà la gente batte i piedi per scaldarsi. A inizio settimana il vociare che anima i locali alla moda di Tbilisi si fa più ovattato. Per strada non restano che i cani randagi. Sono le dieci e mezza di sera. La temperatura sta scendendo sotto lo zero ma poco più in là, nonostante il freddo, davanti al parlamento in viale Rustaveli va in scena sempre lo stesso rituale.
Da quando a novembre 2024 il partito al potere Sogno georgiano ha annunciato la sospensione dei colloqui di adesione all’Unione europea fino al 2028, in risposta a una decisione in realtà anticipata da Bruxelles, ogni sera un gruppetto di manifestanti si raduna religiosamente davanti al parlamento. Sono soprattutto giovani. Tirano fuori dagli zaini i megafoni e le bandiere dell’Unione europea. “Vedi quella là, è la più agguerrita del gruppo. C’è tutte le sere”, dice Levan indicando una ragazza che prende il megafono e attacca con un mantra che si ripete ormai da mesi. Chiedono nuove elezioni e il rilascio dei manifestanti arrestati durante le proteste. Quando tutto è iniziato, dopo l’approvazione della legge sugli agenti stranieri che ha scatenato forti reazioni in questo paese ormai diviso tra il sogno dell’integrazione euro-atlantica e il possibile ritorno sotto la sfera di influenza russa, Levan aveva addirittura pensato di lasciare la Georgia insieme alla sua famiglia. Poi ha deciso di restare. “C’è bisogno di gente che continui a protestare”, spiega a LifeGate.
E se a gennaio 2025 i manifestanti davanti al parlamento erano solo qualche decina, a febbraio sono tornati a essere migliaia. Il 14 febbraio 2025 sono partiti da piazza Europa, dove si erge un pezzo del muro di Berlino portato qui nel 2017 in segno di amicizia con la Germania, e hanno costeggiato il fiume sventolando non solo bandiere dell’Unione europea e della Georgia, ma anche quelle della Germania e degli Stati Uniti. In testa al corteo c’erano striscioni che recitavano “No alla dittatura russa. Chiediamo nuove elezioni”.
Ormai è da più di 80 giorni che a Tbilisi le proteste vanno avanti ininterrottamente, segno che una parte della popolazione georgiana non è disposta a fare alcun passo indietro nel percorso di integrazione con l’Unione europea, previsto anche dalla Costituzione ma bruscamente interrotto dalle politiche del partito al governo Sogno georgiano, che secondo molti difensori dei diritti civili starebbe voltando le spalle ai valori democratici, prendendo una piega sempre più autoritaria, come dimostra anche la brutale repressione messa in atto dalle forze dell’ordine durante le proteste dei mesi scorsi. Secondo gli attivisti per i diritti umani, sarebbero circa 400 i manifestanti arrestati solo tra novembre e dicembre, molti dei quali affermano di essere stati sottoposti ad abusi fisici o psicologici da parte della polizia.
Lo scontro con Bruxelles
Sullo sfondo di queste tensioni non si placa nemmeno il braccio di ferro con Bruxelles, che ritiene che le elezioni di ottobre 2024, che hanno confermato il partito Sogno georgiano con il 54% dei voti, siano state segnate da brogli, come sostiene anche l’opposizione georgiana.
Il 13 febbraio infatti, con una risoluzione approvata da 400 eurodeputati (63 contrari e 81 astenuti), il parlamento europeo ha dichiarato illegittimo il governo di Sogno georgiano, chiedendo sanzioni contro i politici ad esso affiliati e il rilascio delle persone detenute durante le recenti proteste.
Nonostante la risoluzione e la dura presa di posizione di Bruxelles, però, l’ex presidente georgiana, la filo-europea Salomé Zourabichvili, dal palco della Conferenza sulla sicurezza di Monaco ha detto di non vedere “abbastanza reazioni da parte dei partner europei e americani” contro il “governo illegittimo e fantoccio salito al potere in Georgia”. E ha ricordato l’importanza geopolitica del Paese, dove Russia e Cina stanno cercando di ottenere un maggiore controllo sul Mar Nero.
Gli interessi politici e strategici
Dietro a questa crisi però non ci sono solo questioni di politica interna e il tira e molla con l’Ue: non è un segreto che la guerra in Ucraina abbia trasformato la Georgia in una via di transito alternativa per le rotte commerciali eurasiatiche, rendendola anche un importante snodo energetico in una regione che fa gola sia agli Stati Uniti e ai loro partner europei, sia alla Russia e alla Cina, con la quale tra l’altro Tbilisi ha firmato da poco un partenariato strategico.
Inoltre, fonti diplomatiche sostengono che la volontà di accelerare l’integrazione euroatlantica della Georgia sia stata una mossa politica studiata dagli alleati occidentali – e incentivata soprattutto dai paesi baltici – in funzione anti-russa.
Insomma, dietro la difesa dei principi democratici ci sono anche giochi politici, equilibri economici e di potere molto più complessi.
Secondo alcuni analisti tra le priorità da difendere ci dovrebbero essere la sicurezza e la stabilità del paese. E non solo per il bene dei georgiani, visto che quello che succede lì riguarda indirettamente anche l’Italia, secondo partner commerciale di Tbilisi dopo la Germania.
L’Italia infatti ha una serie di interessi nella regione. In primis, la questione della sicurezza: la guerra in Ucraina ha ridisegnato parte delle rotte seguite dai trafficanti di droga e oggi, nel mosaico dei traffici e della criminalità, la Georgia è un’osservata speciale. Motivo per cui la cooperazione bilaterale sul fronte della sicurezza è di estrema importanza anche per la nostra Penisola.
Secondo, la Georgia riveste oggi un ruolo strategico per le infrastrutture destinate al trasporto dell’energia. Basti pensare al progetto per raddoppiare la Tap (Trans Adriatic Pipeline), che trasporta il gas azero in Europa passando anche per la Georgia, con l’obiettivo di arrivare ad almeno 20 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Un simile investimento, però, richiede che i paesi dell’area godano di una certa stabilità.
Infine, bisogna ricordare che al giorno d’oggi per la Georgia transitano 10 milioni di tonnellate di merci, provenienti soprattutto dalla Cina e dirette verso l’Europa. Un volume che Tbilisi punta a raddoppiare nei prossimi anni, ma per farlo avrà bisogno di sviluppare le proprie infrastrutture. Strade, aeroporti, ferrovie, che potrebbero potenzialmente coinvolgere anche investitori stranieri. Forse è anche per questo che l’Italia finora ha cercato di mantenere una posizione piuttosto neutrale (o ambigua, a seconda dei punti di vista) nei confronti della situazione di politica interna georgiana, nel tentativo di “mantenere canali di interlocuzione, anche critica, con le autorità di Tbilisi”, come ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani.
Il sostegno della popolazione
Indipendentemente dai giochi politici ed economici, secondo i sondaggi circa l’80 per cento della popolazione georgiana è favorevole all’integrazione europea. Ma al di là dei numeri, c’è anche chi confessa a bassa voce una certa perplessità. A dimostrazione che la situazione è molto più complessa e sfumata di come la si vuole vedere. “Perché volere a tutti i costi l’integrazione europea quando invece non siamo pronti?”, dice Giorgi. Giorgi gestisce uno dei locali alla moda di Tbilisi. Uno di quei cocktail bar in stile hipster che, insieme ai club techno, ricordano la movida vivace e trasgressiva di Berlino. “Non siamo ancora pronti per le riforme necessarie per entrare in Europa – ha raccontato Giorgi a LifeGate -. Il nostro paese ha ancora molta strada da fare e tanti problemi interni da risolvere, in primis quello dell’Abkhazia…”.
A sostenere l’integrazione in Unione europea è soprattutto la fascia più giovane della popolazione, quella nata e cresciuta dopo il crollo dell’Urss. Fuori dai grandi centri abitati, invece, soprattutto tra le fasce più anziane, è più facile trovare ancora oggi un certo conservatorismo che strizza l’occhio al partito al governo Sogno georgiano. Un conservatorismo sostenuto anche dalla Chiesa ortodossa georgiana, che ancora oggi esercita una grande influenza sulla popolazione.
Il risultato è un paese spaccato. Diviso tra un passato che sembrava archiviato e un futuro che a quanto pare, almeno per il momento, verrà riscritto o posticipato.
Le tensioni sociali
“La Georgia è sempre stata una terra di passaggio. Un luogo dove sono confluiti molti popoli diversi. I georgiani infatti sono persone molto accoglienti. Ma adesso la gente non capisce più in che direzione stiamo andando – ha raccontato a LifeGate il vescovo Giuseppe Pasotto, amministratore apostolico del Caucaso dei Latini, che vive in Georgia da quasi trent’anni -. È da tempo che c’è il desiderio di unire la Georgia all’Europa. Questo paese non ha mai guardato all’Oriente. Ma proprio adesso che sono più vicini che mai all’Europa, paradossalmente non sono mai stati così lontani. E la gente sente tutto questo come un tradimento della storia”. Una storia che ha lacerato anche i rapporti con i russi. “Vent’anni fa non si sentiva tutta questa opposizione rispetto alla Russia – racconta Monsignor Pasotto -. Adesso ci sono famiglie divise. È un problema che prima non esisteva. La tensione politica ha alimentato anche la tensione sociale”.
In effetti gli episodi di intolleranza nei confronti dei russi – che rappresentano una grossa fetta dei residenti di Tbilisi – sono ormai frequenti. Con il paradosso che talvolta l’irritazione ricade anche contro gli ucraini, o i kazaki, o gli azeri, solo perché li si sente parlare in rus
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