A metà dicembre il presidente Castillo, dopo aver tentato di sciogliere il Parlamento, è stato arrestato.
La maggioranza della popolazione chiede le dimissioni di Dina Boluarte, che ne ha preso il posto, ed elezioni subito.
A Juliaca, nella regione di Puno, ci sono stati 18 morti in scontri tra manifestanti e polizia.
È passato quasi un mese da quando, lo scorso 15 dicembre, il governo peruviano ha dichiarato lo stato di emergenza per fermare le proteste di piazza seguite alla destituzione e all’arresto del presidente Pedro Castillo, reo di una sorta di auto-golpe, la decisione di sciogliere il Congresso (che voleva sottoporlo a impeachment per la terza volta) senza contare sull’appoggio né dei propri ministri, né dell’esercito.
Carneficina e coprifuoco a Puno
Eppure, dopo un periodo di relativa tregua coinciso con le festività natalizie, il Perù oggi più che mai è sull’orlo di una guerra civile, il cui apice finora è stato toccato con gli scontri del 9 gennaio a Juliaca, nella regione di Puno, sulle sponde del lago Titicaca, che hanno provocato ben 17 morti e 73 feriti (47 dei quali in codice rosso) tra i feriti e un morto tra le forze dell’ordine, un poliziotto che è stato arso vivo dai manifestanti. I cittadini, ora come a metà dicembre, chiedono le dimissioni della presidente Dina Boluarte, lo scioglimento del Congresso e nuove elezioni.
Nuove elezioni subito, non all’inizio del 2024 o a fine 2023: queste due date erano stato ipotizzate proprio da Boluarte, ex vice di Castillo di cui ora ha preso il posto, e che inizialmente si era detta intenzionata a voler rimanere al potere fino alla scadenza naturale del mandato, ovvero il 2026.
All’indomani della giornata più tragica, racconta il quotidiano di Lima “La Republica“, non si registra alcun ritorno alla quiete, anzi. La Procura ha aperto una indagine contro Dina Boluarte, il presidente del Consiglio dei ministri Alberto Otarola (cui intanto il Parlamento ha confermato la fiducia), il ministro dell’Interno Victor Rojas e il ministro della Difesa Jorge Chávez con l’accusa di genocidio per le morti avvenute negli ultimi due mesi.
🚨 #LOÚLTIMO | Gobierno decreta 3 días de toque de queda en Puno tras muerte de 18 personas en Juliaca
Luis Otárola, presidente del Consejo de Ministros, anunció medida durante su presentación en el Congreso de la República.https://t.co/qgsPaGjcQe
Il governo ha risposto dichiarando il coprifuoco per 3 giorni in tutta la regione di Puno, promulgando un decreto che tra le altre cose sospende i diritti costituzionali relativi all‘inviolabilità del domicilio, alla libertà di movimento all’interno del territorio nazionale, alla libertà di riunione, stabiliti normalmente dall’articolo 2 della Costituzione peruviana.
Elezioni subito, la richiesta della società civile
L’Universidad Nacional del Altipiano, di Puno, ha dichiarato lo stato di lutto per la morte negli scontri di alcuni propri studenti, condannando le violenze e chiedendo “una riforma dello Stato peruviano”. A Juliaca, poco più di un’ora di macchina più a nord, fino alla dichiarazione del coprifuoco vigeva uno stato ormai permanente di sciopero. Tutta la provincia di San Roman era praticamente immobilizzata, con posti di blocco continui sulle strade. E le proteste si spostano e si propagano anche al centro del Paese, con manifestazioni segnalate ad Arequipa, Ayacucho e Cuzco: anche in quest’ultima città, storica capitale degli incas, l’Università cittadina si è esposta pubblicamente chiedendo “la rinuncia immediata di Boluarte e la convocazione di elezioni nel più breve tempo possibile” ed esprimendo “piena solidarietà con i manifestanti”. Proprio a Cuzco si segnalano gli scontri più recenti, che hanno procurato un altro morto e 34 feriti.
Rechazo el uso de la violencia y el intento de asalto del Congreso y la presidencia en Brasil. Mi solidaridad con @LulaOficial y el pueblo brasileño ante esta embestida intolerante de quienes buscan imponer su visión política, sin respetar la ley y las instituciones democráticas.
Dina Boluarte, nel frattempo, mentre si svolgevano gli scontri a Puno pubblicava un tweet dal sapore quasi beffardo, in cui respingeva sì “l’uso della violenza e il tentativo di assalto alla presidenza”, ma a quella del Brasile, andata in scena diverse ore prima a Brasilia.
L’origine delle proteste in Perù
L’inizio della crisi in Perù risale alla prima metà dello scorso dicembre, quando l’ormai ex presidente Pedro Castillo, ex insegnante e attivista sindacale proveniente dalla sinistra marxista, è stato arrestato dopo che aveva sciolto il Parlamento per evitare il terzo tentativo di impeachment in un anno e mezzo da parte dello stesso Congresso per scandali legati alla corruzione di uomini del suo governo.
Castillo, dopo aver sciolto il Parlamento, aveva invocato un governo di emergenza nazionale ma diversi membri del suo governo, le forze armate del paese e perfino la Corte costituzionale hanno preso le distanze da questa operazione. Il suo posto, dopo l’arresto con l’accusa di reati contro l’ordine costituzionale, è stata Dina Boluarte, finora vicepresidente e prima donna presidente nella storia del paese, che dapprima aveva dichiarato di voler portare regolarmente a termine il mandato, per poi fare dietrofront in seguito alle prime manifestazioni popolari che chiedevano di tornare immediatamente al voto.
Dopo l’impeachment a Vizcarra e le dimissioni del suo successore Merino a causa delle proteste della popolazione, il presidente è ora il centrista Sagasti.
Drogata e stuprata per anni, Gisèle Pelicot ha trasformato il processo sulle violenze che ha subìto in un j’accuse “a una società machista e patriarcale che banalizza lo stupro”.