Grazie al Protocollo di Montréal abbiamo ritardato di 15 anni uno degli effetti più gravi del riscaldamento globale: la fusione totale dei ghiacci artici.
Negli anni Settanta il problema dei cambiamenti climatici era noto nella comunità scientifica, ma non era ancora un argomento trattato dai mezzi d’informazione e dai governi. Al contrario, all’epoca era la questione del buco dell’ozono ad essere all’ordine del giorno. Milioni di persone scoprivano i problemi che affliggevano questa barriera che protegge la Terra dai raggi ultravioletti provenienti dal Sole. E che stava scomparendo, a causa dell’utilizzo di determinati gas, in particolare quelli refrigeranti come i Cfc, fino a quel momento largamente utilizzati nei sistemi di climatizzazione, di refrigerazione, così come in numerosi processi industriali.
The Montreal Protocol was intended to save Earth's ozone layer, but it also helped slow global warming and delayed the melting of Arctic sea ice https://t.co/flX9DpueTy
La prima fusione totale estiva dei ghiacci artici è prevista attorno al 2050
Per questo nel 1987 fu firmato il Protocollo di Montréal, che vietava progressivamente l’uso di tali sostanze. E che nel corso del tempo ha dimostrato di funzionare: il “buco” che si era creato nello strato di ozono presente attorno al nostro Pianeta è andato via via richiudendosi. Ma quello stesso protocollo, in modo quasi involontario, ha consentito di centrare anche un altro risultato.
Un gruppo di ricercatori delle università di Santa Cruz, Columbia e Exeter hanno dimostrato come quello stesso protocollo abbia consentito anche di ritardare gli effetti dei cambiamenti climatici. In particolare, il loro studio – pubblicato dalla rivista scientifica Pnas – ha illustrato come l’aver risolto in gran parte il problema del buco dell’ozono abbia consentito di ritardare di quindici anni un fenomeno che, purtroppo, si verificherà nella seconda metà di questo secolo. Ovvero la fusione completa dei ghiacci artici.
Il Protocollo di Montréal “vale” mezzo grado di riscaldamento globale in meno
Se non si agirà in modo drastico e immediato per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra, infatti, ciò potrebbe accadere a partire dal 2050. Ma se non ci fosse stato l’accordo del 1987, la prima estate senza ghiacci nell’Artico avrebbe potuto arrivare già nel prossimo decennio.
“I nostri calcoli – hanno spiegato i ricercatori – mostrano chiaramente come il Protocollo di Montréal, ben al di là della capacità di richiudere il buco dell’ozono al di sopra del Polo Sud, abbia rappresentato un elemento di protezione del clima molto efficace”. Una constatazione già arrivata da un primo studio, pubblicato da Nature nell’agosto del 2021.
— Arch Street Communications (@ArchStreetPR) May 24, 2023
Comparando modelli climatici e simulazioni sullo stato dell’atmosfera nel caso avessimo continuato a disperdere gas Cfc nell’atmosfera, hanno potuto stimare che la temperatura media globale sarebbe stata di mezzo grado più alta alla metà del secolo. E di un grado nella regione artica, nella quale, come noto, i cambiamenti climatici si manifestano ad un ritmo nettamente più rapido rispetto al resto della Terra. I Cfc, infatti, a parità di massa hanno un potere climalterante tra 5 e 14mila volte superiore rispetto a quello della CO2. E permangono nell’atmosfera a lungo.
Dalla vicenda del Protocollo di Montréal ci arrivano dunque la conferma del fatto che abbattere in modo repentino le emissioni ha un effetto immediato sulle sorti del clima della Terra. Qualora mai ci fosse stato bisogno di ulteriori controprove.
Il trattato sulla limitazione dei CFC (Montreal 1987) dà i primi buoni risultati. Il danno allo strato protettivo della nostra atmosfera tenda a ridursi.
Si parla tanto di finanza climatica, di numeri, di cifre. Ma ogni dato ha un significato preciso, che non bisogna dimenticare in queste ore di negoziati cruciali alla Cop29 di Baku.
Basta con i “teatrini”. Qua si fa l’azione per il clima, o si muore. Dalla Cop29 arriva un chiaro messaggio a mettere da parte le strategie e gli individualismi.