Lo studio degli psicobiotici spiana la strada a un’opportunità di benessere concreta. Evidenziando il legame sempre più chiaro tra intestino e cervello.
Nell’ambito dei microrganismi probiotici, gli psicobiotici vantano un’applicabilità specifica per i disturbi della mente.
Un lavoro recente mostra l’efficacia psicobiotica di ceppi già noti per la gestione delle problematiche intestinali.
Tra evidenze scientifiche e ipotesi, si evince il legame, sempre più chiaro, tra intestino e cervello.
Gli psicobiotici rappresentano, tra i moderni oggetti di ricerca, un promettente strumento di salute, con un riferimento intuitivo al benessere mentale. Si tratta di un campo proficuo, correlato agli studi di più ampio respiro sul microbiota intestinale. Ne abbiamo parlato con il Dr. Stefano Farioli Vecchioli, ricercatore del Cnr-Ibbc di Roma e autore, insieme al suo gruppo di ricerca, di uno studio recente sull’argomento.
Cosa sono gli psicobiotici
Gli psicobiotici rappresentano una categoria di probiotici in grado di apportare beneficio alla salute mentale. Essi si differenziano dai probiotici convenzionali per la capacità di produrre (o indurre la produzione di) specifiche sostanze attive sul sistema nervoso centrale. Queste comprendono neurotrasmettitori e ormoni, ma anche mediatori antinfiammatori e i famigerati acidi grassi a catena corta.
Come i probiotici, gli psicobiotici sono batteri vivi in grado di colonizzare l’intestino. Migliorando alcune condizioni a carico dell’intestino, come la disbiosi, essi riescono ad alleviare, in maniera importante, anche alcuni disturbi di ansia e di stress. Tali microrganismi non agiscono, come i farmaci, direttamente sul sistema nervoso centrale, ma espletano la propria azione attraverso l’asse intestino-cervello
Dr. Farioli Vecchioli
Asse intestino-cervello, microbiota e psicobiotici
L’intestino e il cervello sono connessi tra loro e si scambiano segnali in modo bidirezionale, attraverso il cosiddetto asse intestino-cervello (gut-brain axis). Si tratta di complesse vie di comunicazione che coinvolgono più componenti, quali il sistema nervoso autonomo, il sistema nervoso enterico e il microbiota intestinale. Un ruolo importante è svolto dal nervo vago, un nervo cranico che si estende dalla testa all’addome, e che rappresenta un’importante linea di contatto tra il cervello e l’intestino. Mediante le sue terminazioni, il nervo vago viene a contatto con le sostanze prodotte dal microbiota, comunicando al cervello le “informazioni” ricevute. Gli psicobiotici agiscono anche con l’entrata in circolo dei componenti da essi prodotti: “essi arrivano nell’intestino, che viene colonizzato, quindi rilasciano delle sostanze, che arrivano al cervello mediante la circolazione e determinano un miglioramento di alcune problematiche di ansia e stress”, aggiunge il ricercatore.
Probiotici ed effetti su ansia e depressione: lo studio del Cnr-Ibbc
Una nuova indagine di laboratorio, effettuata da Farioli Vecchioli col suo team di ricercatori, si è focalizzata su un mix di probiotici già disponibile in commercio, e utilizzato con successo nella gestione dei disturbi intestinali cronici. Tra le evidenze ricavate in vivo, spicca l’attività di questi ceppi batterici sulle condizioni di ansia e depressione.
La condizione di partenza dell’esperimento si è basata su una modificazione del microbiota dovuta allo stress. Ma con quali meccanismi? “In primo luogo, con l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e il rilascio di ormoni dello stress, come il cortisolo. Attraverso il nervo vago, questi ormoni comunicano la condizione di stress all’intestino, provocando disbiosi intestinale (un disequilibrio del microbiota). In secondo luogo, con un’azione più diretta dello stress sull’intestino, quindi attraverso il sistema nervoso enterico e indipendentemente dal cervello”, spiega Farioli Vecchioli.
L’azione dei probiotici utilizzati
Nel condurre il suo studio in vivo, il gruppo di ricerca ha utilizzato un mix di probiotici già noto e presente in commercio. Di cosa si tratta, nello specifico? “Il mix è formato da lattobacilli e bifidobatteri, che vengono normalmente utilizzati per trattare le problematiche intestinali croniche. Quello che si è osservato è che questo mix ha attenuato la disbiosi intestinale, agendo anche in senso ansiolitico e antidepressivo”, afferma Farioli Vecchioli. “ Tra questi ceppi, i lattobacilli svolgono un ruolo molto importante nel produrre sostanze ad azione ansiolitica. Probabilmente, c’è anche un’interazione all’interno dei ceppi batterici, una sinergia. Di recente, è stato scoperto che alcuni batteri sono in grado di cooperare dal punto di vista biochimico, producendo dei metaboliti che non verrebbero prodotti dal singolo batterio. Al momento, quindi, abbiamo condotto lo studio sull’insieme di questi ceppi batterici. Il prossimo passo consisterà nel dissezionare questo mix e analizzare le potenzialità dei singoli ceppi”, aggiunge il ricercatore.
Le prospettive per la salute umana
“C’è questa nuova branca della psichiatria che correla alcune problematiche psichiatriche con la condizione intestinale. Nello specifico, vengono effettuate le analisi delle feci, al fine di valutare lo stato del microbiota. In presenza di una disbiosi, viene proposto l’utilizzo di psicobiotici, tenendo conto che la problematica da trattare è mediata dall’intestino. Si cerca di capire, in sostanza, se il ripristino del microbiota, e dunque di una funzionalità ottimale dell’intestino, possa correlarsi al rilascio di metaboliti “buoni”, generando una omeostasi cerebrale, e quindi espletare un’attività ansiolitica”, spiega Farioli Vecchioli. “Per quanto concerne il mix da noi utilizzato, non sono ancora disponibili degli studi clinici. Questi esistono, tuttavia, per altri probiotici o post-biotici, considerati in associazione e in appoggio alle terapie farmacologiche in uso, e non in sostituzione di queste. I post-biotici, in particolare, sono dei metaboliti prodotti da batteri, che vengono isolati, modificati e posti in commercio”, conclude.
In definitiva, la comprensione della fitta rete comunicativa tra intestino e cervello prosegue. In tale contesto, la psicobiotica si rivela una branca tutt’altro che marginale.
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