La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
Si è conclusa il 2 novembre la Cop16 sulla biodiversità, in Colombia. Nonostante le speranze, non arrivano grandi risultati. Ancora una volta.
Il puma orientale è stato dichiarato ufficialmente estinto, ma recenti analisi genetiche hanno dimostrato che non si trattava di una sottospecie distinta.
Pochi giorni fa l’agenzia statunitense che si occupa della gestione e conservazione della fauna selvatica, lo U.S. fish and wildlife service (Usfws), ha ufficializzato l’estinzione del puma orientale (Puma concolor couguar) e ha rimosso la specie dalla lista federale degli animali a rischio estinzione. La notizia, riportata da numerosi mezzi d’informazione, non sarebbe però completamente esatta.
Il puma orientale non si è infatti estinto, semplicemente perché non sarebbe mai esistito. La soluzione all’enigma è nella tassonomia, disciplina variabile e in costante evoluzione, grazie alle sempre più sofisticate indagini genetiche. Recenti analisi hanno infatti rivelato che il puma orientale non era in realtà una sottospecie distinta, come invece si riteneva. Gli studi sul dna di questi grandi felini hanno rivelato che tutti i puma nordamericani (Puma concolor) presentano un’omogeneità genetica.
Non si può dunque parlare di estinzione di una sottospecie, bensì di estinzione locale della specie. Anche questa non rappresenta comunque una notizia sorprendente, nel New England non veniva infatti segnalata la presenza di un puma dal 1938.
Tradizionalmente si riteneva che vi fossero 32 sottospecie di puma. Un recente studio del dna mitocondriale ha invece confermato l’ipotesi che esistono solo due sottospecie di puma, il Puma concolor concolor, diffuso in Sudamerica e il Puma concolor couguar, che vive in Nord e Centro America. Analoga alla storia del puma orientale è quella della pantera della Florida (Puma concolor coryi), ritenuta una rara sottospecie di puma presente nella Florida meridionale. Alla luce delle nuova scoperte anche questi animali non hanno differenze genetiche tali da giustificare la classificazione come sottospecie.
Negli Stati Uniti i puma hanno vissuto un drastico declino a causa della caccia spietata, della perdita di habitat e della diminuzione delle prede. Eppure questi grandi felini stanno lentamente tornando a colonizzare gli antichi territori dove un tempo erano stati sterminati. Tra queste aree c’è proprio il New England, da cui i puma erano scomparsi da circa ottanta anni. I puma provenienti dagli Stati Uniti occidentali stanno tornando nell’area dei monti Appalachi e nei boschi del Maine, habitat ritenuti idonei dagli scienziati per il ripopolamento dei puma. Anche la popolazione di puma presente nel sud-est degli Stati Uniti potrebbe contribuire alla ricolonizzazione degli Appalachi.
Il ritorno dei puma rappresenta una notizia positiva non solo per gli amanti della fauna selvatica. Questi predatori regolano infatti le popolazioni di cervi e contengono di conseguenza il proliferare delle zecche che rappresentano una minaccia sia per la salute umana che per quella degli animali da allevamento, oltre a danneggiare la crescita delle foreste. “Abbiamo bisogno di grandi carnivori come i puma per preservare gli equilibri naturali”, ha spiegato Michael Robinson, ricercatore del Center for biological diversity. La riduzione dei cervi effettuata dai felini contribuirebbe inoltre a ridurre del 22 per cento gli incidenti stradali provocati dalle collisioni con gli ungulati.
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