Putin apre al cessate il fuoco in Ucraina, ma solo a certe condizioni

Il presidente russo risponde con un assenso molto cauto alla proposta statunitense di un cessate il fuoco in Ucraina di 30 giorni. E parla di “sfumature” di cui si dovrà discutere.

Putin apre al cessate il fuoco in Ucraina. Ma a certe condizioni, che saranno in buona parte inaccettabili per Kiev. Il presidente russo risponde in modo molto cauto e ambiguo all’idea di una tregua di trenta giorni, avanzata su iniziativa degli Stati uniti e accolta da Kiev dopo l’incontro dell’11 marzo a Gedda, in Arabia Saudita. “Siamo d’accordo con le proposte di cessazione delle ostilità, ma partiamo dal presupposto che tale cessazione deve condurre a una pace duratura ed eliminare le cause profonde di questa crisi”, ha dichiarato il capo del Cremlino. Di fatto rimettendo la patata bollente nelle mani degli Stati uniti. 

La risposta ambigua di Putin sul cessate il fuoco in Ucraina

La posizione del Cremlino era trapelata già qualche ora prima attraverso le dichiarazioni dell’assistente di Putin, Yurij Ushakov, il quale aveva detto che Mosca non vuole una tregua temporanea bensì una soluzione a lungo termine. E l’ambigua apertura verso il cessate il fuoco – difficilmente realizzabile alle condizioni imposte da Mosca – è stata definitivamente espressa il 13 marzo dal presidente russo in conferenza stampa, al termine di un incontro con il suo omologo bielorusso Aleksandr Lukashenko, in visita a Mosca.

“L’idea [del cessate il fuoco] di per sé è corretta e la sosteniamo sicuramente, ma ci sono questioni di cui dobbiamo discutere – ha detto Putin -. Dobbiamo parlarne con i nostri colleghi e partner americani, magari chiamare il presidente Trump e discuterne con lui, ma sosteniamo l’idea di porre fine a questo conflitto con mezzi pacifici”.

Le questioni di cui bisogna discutere – le “sfumature”, come le chiama Putin -, riguardano in primo luogo chi si occuperà di monitorare la tregua su una linea del fronte lunga quasi 2.000 chilometri; come evitare che l’Ucraina sfrutti questa tregua per riarmarsi e mobilitarsi; chi impartirà gli ordini e a quali condizioni; e cosa fare con le truppe ucraine in ritirata da Kursk, dopo che le forze russe hanno ripreso il controllo di Sudhza, il principale centro occupato da Kiev nella regione russa al confine con l’Ucraina.

La riconquista di Kursk

Nei giorni scorsi sono emerse notizie secondo cui le forze speciali russe si sono introdotte in un gasdotto per sferrare un attacco a sorpresa contro i soldati di Kiev nella regione russa di Kursk. Avrebbero strisciato per quindici chilometri dentro la pipeline fino a colpire le unità ucraine nelle retrovie. La riconquista di Sudzha è stata annunciata giovedì dal Ministero russo della Difesa. L’Ucraina non ha ancora confermato di aver perso il controllo della città, ma nei giorni scorsi vari ufficiali avevano detto che i soldati ucraini si stavano ritirando da diverse postazioni nella zona.

“La situazione lì [a Kursk] è completamente sotto il nostro controllo e il gruppo che ha invaso il nostro territorio è isolato”, ha detto Putin, preparando il terreno per quella che, secondo alcuni analisti, potrebbe essere la narrazione ideale da offrire alla popolazione come segnale di un avanzamento verso la vittoria.

Una narrazione, però, macchiata da alcuni intoppi tecnici sfuggiti alla macchina della propaganda. Nei giorni scorsi, infatti, Putin si è recato nella regione di Kursk, dove si è fatto riprendere in mimetica mentre impartiva ordini in un quartier generale situato in un punto imprecisato della regione. Il video della visita, però, è stato diffuso con un audio che non corrispondeva ai movimenti della sua bocca, sollevando dubbi e ironie. Uno sciovolone che il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha cercato di minimizzare, ammettendo i problemi tecnici ma sottolineando che l’amministrazione aveva scelto di dare priorità all’informazione tempestiva su quanto stava accadendo a Kursk, lasciando in secondo piano la qualità del montaggio.

Le reazioni di Trump

Nonostante l’ambiguità di Putin alla proposta statunitense di una tregua in Ucraina, il presidente Usa Donald Trump si è lasciato andare a commenti piuttosto ottimisti. “Stiamo ricevendo notizie che le cose stanno andando bene in Russia”, ha detto Trump, aggiungendo però che “non significa nulla finché non sapremo quale sarà il risultato finale” e che, se Mosca non aderirà alla tregua, “sarà un momento molto deludente per il mondo”.

Trump ha inoltre fatto sapere che gli Stati uniti hanno iniziato a discutere con l’Ucraina i dettagli di un possibile accordo finale, compreso il futuro dei territori occupati e chi controllerà una grande centrale elettrica, probabilmente in riferimento alla centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa, sotto il controllo delle forze russe.

I commenti di Zelensky

L’ambiguo temporeggiare di Putin, che allunga così i tempi dei negoziati, non è piaciuto al presidente ucraino Volodimir Zelensky, che ha parlato di strategia “manipolatoria” di Putin per impedire o ritardare il cessate il fuoco in Ucraina.

“Putin ha paura di dire direttamente al presidente Trump che vuole continuare questa guerra e vuole continuare a uccidere gli ucraini”, ha detto il leader ucraino, aggiungendo che è “il momento di aumentare la pressione” su Putin con sanzioni più severe, come aveva minacciato Trump. Secondo Zelensky Putin non dice “no” direttamente, ma trascina le cose rendendo impossibili soluzioni che invece sarebbero ragionevoli. Per questo “si devono applicare sanzioni”, ha detto Zelensky. “Continueremo a lavorare con i nostri partner americani ed europei e con chiunque nel mondo voglia la pace, per costringere la Russia a porre fine a questa guerra”.

L’incontro tra Witkoff e Putin

Nel frattempo, dopo ore di attesa, il Cremlino ha confermato l’incontro tra Vladimir Putin e l’inviato Usa Steve Witkoff, che il 13 marzo è volato a Mosca e nella tarda serata ha incontrato il presidente russo per discutere la proposta americana di porre fine all’invasione. L’incontro, secondo la stampa russa, si sarebbe prolungato fino alle due di notte.

Secondo il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov, “sono state fornite ulteriori informazioni alla parte russa” e “Putin ha trasmesso informazioni e segnali aggiuntivi al presidente Trump” tramite l’inviato Witkoff.

Peskov ha aggiunto che “c’è un’intesa” sul fatto che è necessario un colloquio fra Trump e Putin, ma i tempi “non sono ancora stati concordati”.

Intanto la guerra va avanti

Questo primo round di colloqui, dal quale è stata esclusa l’Europa, che a sua volta ha risposto lanciando un massiccio piano di riarmo per scoraggiare la Russia e sostenere l’Ucraina, si chiude dunque con un cauto ottimismo da parte statunitense. E con un profondo scetticismo da parte di esperti e analisti.

Se Waltz ha definito la delegazione di Kiev “molto disponibile” a trovare un accordo, in riferimento all’incontro Usa-Ucraina avvenuto a Gedda, sono ancora troppi i punti interrogativi sui quali sarà difficile trovare un’intesa, a partire dalla presenza delle truppe occidentali sul territorio ucraino per garantire la pace, alla rinuncia di Kiev di aderire alla Nato e alla cessione da parte di Kiev dei territori occupati dalla Russia. E poi c’è la questione delle elezioni in Ucraina, che Mosca in più occasioni ha detto essere una conditio sine qua non.

La palla torna quindi sul campo degli Stati uniti, che ora dovranno mediare “una pace permanente” con una “sicurezza guidata dall’Europa” per l’Ucraina, come ha detto Michael Waltz. 

La partita è ancora aperta. “E la lista di questioni sollevate da Putin dimostra che non è ancora il momento di festeggiare – ha commentato Kirill Martinov, caporedattore del giornale indipendente Novaya Gazeta Europa -. Putin crede di poter ottenere dall’Ucraina tutto quello che vuole attraverso Trump, ovvero un territorio dipendente dalla Russia, incapace di difendersi, fuori dal blocco occidentale e senza aiuti militari”.

Nel frattempo, i combattimenti vanno avanti e il bilancio delle vittime è destinato a salire. Secondo le Nazioni Unite, in oltre tre anni di conflitto sono già stati uccisi quasi tredicimila civili, il trenta per cento in più rispetto al 2023. I feriti sarebbero circa trentamila, mentre gli sfollati superano i dieci milioni. Intanto, circa 140mila chilometri quadrati di territorio sono contaminati da ordigni inesplosi: una minaccia che peserà sulla popolazione per molti anni a venire.

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