Putin ha stravinto. In una tre giorni di votazioni che si è aperta venerdì con un’ondata di attacchi ucraini sulle città russe di confine ed è proseguita all’insegna dei brogli e delle proteste (89 i fermi ai seggi), il risultato che esce da queste presidenziali era quello che tutti si aspettavano: Putin è ancora presidente. E anche se la vittoria era scontata, ciò che invece non era scontato, era il risultato da record con cui si è chiuso l’appuntamento elettorale: Putin ha vinto con l’87,29 per cento dei voti e un’affluenza al 77,44 per cento. Numeri mai visti, e che consegnano il quinto mandato al capo del Cremlino, che si prepara adesso a stare al potere per altri sei anni, potenzialmente fino al 2036, come previsto dalla Costituzione russa, che era stata appositamente modificata quattro anni fa.
Putin si prepara così a tagliare un traguardo prima di lui superato solo da Stalin: 30 anni al Cremlino. Ma in questo dejà vu di controllo totale dal sapore sovietico, c’è anche un altro elemento che sembra uscito per l’appunto dal passato: le code. Perché in Russia sono tornate le code. Il fenomeno tipico del socialismo sovietico è riemerso negli ultimi mesi, carico di un nuovo significato: quello delle proteste.
Mezzogiorno contro Putin
Nell’ultimo dei tre giorni di elezioni, il 17 marzo, nelle maggiori città della Russia e davanti ai seggi elettorali allestiti all’estero si sono infatti registrate lunghe code di persone pazientemente in fila. In fila non solo per inserire la propria scheda elettorale nell’urna, ma per manifestare un malcontento che ultimamente ha trovato nelle file una nuova forma pacifica di espressione: lo hanno chiamato “Mezzogiorno contro Putin”, un’iniziativa lanciata prima di morire dall’oppositore Aleksej Navalny e accolta da tutti gli esponenti dell’opposizione. L’idea — accompagnata da un’indicazione di voto semplice: votare contro qualsiasi candidato diverso da Putin o annullare il voto — era quella di mettersi in fila tutti insieme a mezzogiorno davanti ai seggi, per far vedere alla Russia e al mondo che un malcontento ancora esiste, che ci sono migliaia di persone contrarie alle attuali politiche di governo e che sognano di vedere finalmente un cambio di potere ai vertici. Un’iniziativa simbolica che non poteva ovviamente incidere sul risultato finale delle votazioni, ma che perlomeno ha lanciato un segnale importante agli impauriti e agli indecisi. Riportando tra l’altro in auge uno strumento – quello delle file – che per decenni è stato un simbolo di inquietudine in Russia: la gente in passato si metteva pazientemente in fila per il pane e la vodka, oggi per sostenere il candidato pacifista Boris Nadezhdin poi escluso dalla corsa elettorale, poi per dare l’ultimo saluto a Navalny nel giorno dei suoi funerali, e infine per stemperare l’immagine di unità e sostegno a Putin disegnata dagli organi di propaganda.
Davanti all’ambasciata russa a Berlino, domenica si è messa in fila a mezzogiorno insieme agli altri anche la vedova di Navalny, Yulia Navalnaya, accolta da applausi e grida di sostegno in ricordo del marito. “Vi domanderete cosa ho scritto sulla scheda elettorale — ha detto alla stampa —, ho scritto il nome di Navalny”.
I risultati degli altri candidati in Russia
Il distacco di Putin con gli altri candidati è talmente forte da diventare quasi aneddotico: Nikolaj Kharitonov del Partito Comunista ha ottenuto il secondo posto con il 4,30 per cento delle preferenze, seguito dal candidato meno guerrafondaio, Vladislav Davankov, del Partito del Popolo Nuovo, che ha ottenuto il 3,84 per cento; Leonid Slutskij, del partito Liberal Democratico, ha portato a casa il 3,21 per cento.
A urne chiuse, dunque, i numeri che consegnano Putin a questo nuovo mandato sono numeri da record, come ha detto la presidente della Commissione elettorale centrale russa Ella Pamfilova: “Hanno votato per l’attuale capo di Stato 75.932.111 elettori, una cifra record — ha detto Pamfilova —. Nel 2018, avevano votato per Putin più di 56 milioni di elettori, ora quasi 76 milioni”.
Ma le cifre altisonanti sono state comunque accompagnate da gesti di proteste anche all’interno dei seggi elettorali: in alcune città della Russia ci sono infatti stati casi di urne date alle fiamme, petardi esplosi e inchiostro versato sulle schede.
Il discorso di Putin sulla morte di Navalny
Ieri in tarda serata, parlando in una conferenza stampa dopo la chiusura dei seggi, Vladimir Putin per la prima volta ha pronunciato in pubblico il nome di Aleksej Navalny, confermando tra l’altro le indiscrezioni sul presunto scambio di prigionieri che avrebbe dovuto coinvolgere anche l’oppositore. “Per quanto riguarda il signor Navalny — ha detto Putin —, sì, è morto. Si tratta come sempre di un triste evento. Ma abbiamo avuto altri casi in cui persone sono decedute in prigione. Non è forse successo anche negli Stati Uniti? Certo che è successo, e molte volte. Tra l’altro, vi dirò, e questa sarà una sorpresa: qualche giorno prima della scomparsa di Navalny, alcuni colleghi, non membri dell’amministrazione, mi hanno detto che c’era l’idea di scambiare Navalny con alcune persone che sono in prigione nei Paesi occidentali. Potete credermi, oppure no… La persona che mi stava parlando non aveva ancora finito la frase, e io ho detto: sono d’accordo. Ma, purtroppo, è successo quello che è successo. Io [ero d’accordo] solo a una condizione: che non avrebbe fatto ritorno. Beh, succede, non c’è niente che si possa fare. È la vita”.
E poi, a proposito del voto, Putin ha aggiunto: “Ora la Russia è più forte”, ha detto, promettendo che “tutti i piani saranno concretamente realizzati e gli obiettivi raggiunti”. Interrogato sulla possibilità di un conflitto diretto con la Nato, ha confermato che “tutto è possibile nel mondo moderno”, sottolineando però che sarebbe “un passo avanti verso una terza guerra mondiale su vasta scala”.
Messaggi di congratulazioni sono arrivati dal presidente cinese Xi Jinping e dal presidente iraniano Ebrahim Raisisi, come riporta Ria Novosti.
E in Italia si alza la voce del vicepremier Matteo Salvini, che ha detto: “Han votato, prendiamo atto: quando un popolo vota ha sempre ragione. Le elezioni fanno sempre bene, sia quando uno le vince, sia quando uno le perde. Ci sono state delle elezioni e prendiamo atto del voto dei cittadini russi, sperando che il 2024 sia l’anno della pace”.
Le elezioni nelle regioni ucraine occupate dalla Russia
Le elezioni si sono svolte anche nelle regioni ucraine occupate dalla Russia, con modalità a dir poco contestabili. Il compito di monitorare il corretto svolgimento delle votazioni è stato affidato ad alcuni osservatori provenienti da Zambia e Siria, che si sono limitati a riportare il “carattere festoso del voto”, come hanno dichiarato alcuni di loro ai canali ufficiali del governo russo, ma evidentemente non hanno notato gli uomini armati e in divisa che pattugliavano molti dei seggi.
Nei territori ucraini occupati dalla Russia si è votato un po’ ovunque: in strada, nei sotterranei delle città distrutte dai bombardamenti, e anche casa per casa. Come si vede in alcuni video, sono stati fatti votare anche i cittadini ucraini che non sono ancora in possesso del passaporto russo.
Cosa succederà ora?
Secondo alcuni analisti, il dopo-elezioni potrebbe inaugurare una nuova fase di repressioni finalizzata a perseguire senza intoppi gli obiettivi politici e militari del governo.
“I numeri da record ottenuti da Putin in queste elezioni non cambiano molto la situazione per lui: lo strapotere già lo aveva — ha commentato il politologo Aleksandr Morozov —. Però adesso questo strapotere viene fissato ancora più a lungo nel tempo e soprattutto sarà accompagnato da un ‘pacchetto completo’: rafforzamento della repressione, rafforzamento della sua strategia economica e dell’ideologia che accompagna la sua politica, e tutto ciò determinerà ancora a lungo il rapporto con il resto del mondo: l’inimicizia con l’Occidente, le relazioni con gli altri Stati e così via. Sarà un periodo difficile, perché adesso Putin è ancora più legittimato nel suo progetto di costruzione di un nuovo mondo”.
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