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Tutto quello che bisogna sapere sull’energy manager: i requisiti per una carriera nel settore energetico, i corsi, le modalità di lavoro, lo stipendio.
Una gestione ottimale, intelligente e consapevole dell’energia è la strada maestra per raggiungere gli ambiziosi obiettivi sanciti dall’Accordo di Parigi sul clima. La transizione energetica è un cammino per cui servono volontà politica e imprenditoriale, grandi investimenti economici, nuove tecnologie. E servono le competenze per padroneggiare tutti questi aspetti e proporre soluzioni concrete. A questo serve l’energy manager, una figura professionale che aiuta le grandi aziende a delineare e gestire le proprie politiche sull’energia.
In Italia, l’energy manager è una figura istituzionale sancita dal DLgs 10/91 che obbliga ogni azienda produttiva che supera i 10.000 TEP o le aziende di servizi che superano i 1.000 TEP ad avere una figura professionale dedicata all’uso razionale dell’energia. In generale, però, tutte le aziende dovrebbero avere all’interno una figura che si occupa di gestire efficacemente l’energia. Per questo, anche soggetti che legalmente non sono obbligati possono decidere di nominare il proprio energy manager.
Fire, l’ente che dal 1992 si occupa di promuovere questa figura e di gestirne gli incarichi, in base all’accordo preso con il ministero dello Sviluppo economico, ha pubblicato nell’estate 2017 un report che fornisce un quadro aggiornato della diffusione di questa figura professionale in Italia. Nel 2016 ci sono state 1.519 nomine da parte di aziende legalmente obbligate, a cui se ne aggiungono altre 720 da parte di volontari. Continua, così, una leggera ma costante crescita nel numero di nomine complessive. La maggior parte delle nomine obbligate è concentrata nelle regioni del Nord, ma in quelle volontarie cresce la partecipazione del Sud.
Ma cosa fa, nel concerto, un energy manager? La legge individua tre funzioni fondamentali:
Nel concreto, dunque, un energy manager si troverà di volta in volta a effettuare diagnosi energetiche e verificare il profilo dei consumi; o ancora, a cogliere nuove opportunità, predisporre piani di miglioramento e individuare i relativi canali di finanziamento; a dialogare con i fornitori e con gli altri servizi. Ciò significa che si tratta di un professionista che deve avere una visione sistemica e competenze trasversali che vanno dalla fisica, all’edilizia, alla termotecnica, all’ingegneria, alla comunicazione. Senza dubbio è una figura fondamentale e lo sarà ancora di più in futuro, perché porta benefici economici all’azienda e le permette di fare scelte lungimiranti per il lungo periodo.
La nomina dell’energy manager, di durata annuale, dev’essere effettuata entro il 30 aprile tramite la piattaforma predisposta da Fire. Può essere un dipendente dell’azienda o un consulente esterno.
Oltre ad avere delle conoscenze di base (acquisite idealmente tramite una laurea in ingegneria o in altre materie scientifiche), l’energy manager deve aver maturato una certa esperienza nel settore energetico e conoscere in modo approfondito le tecnologie più avanzate. È suo compito promuovere e conoscere le fonti rinnovabili, operando per la scelta più idonea e performante in funzione dei fabbisogni, dei consumi, della localizzazione del sito e così via. Perciò deve avere una formazione anche in questo settore, compresa la parte normativa e degli incentivi.
Per diventare energy manager a pieno titolo bisogna aver frequentato un corso, superando il relativo esame. È stato definito anche uno schema certificativo della figura professionale, attraverso il Cepas. I corsi sono rivolti a tutti, preferibilmente a diplomati o laureati in materie tecnico-scientifiche.
Da questo quadro emerge come l’energy manager sia una figura altamente qualificata, che arriva da un lungo percorso di studio e perfezionamento. Ma queste competenze sono adeguatamente valorizzate da una retribuzione all’altezza? La risposta, per ora, è un ni. Secondo un’analisi sui green jobs condotta dall’Osservatorio Job Pricing nel 2014, l’energy manager solitamente è inserito nell’impresa come quadro. La sua retribuzione annua lorda, tuttavia, si attesta su una media di 43.843 euro l’anno ed è quindi nettamente inferiore rispetto alla media nazionale dei suoi pari grado, che è pari a 53.914 euro. Evidentemente, la nostra cultura imprenditoriale sta ancora maturando la consapevolezza di quanto sia importante questo ruolo, che va ben oltre rispetto a un obbligo di legge.
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