In Italia, i trasporti leggeri generano il 30 per cento delle emissioni di CO2. Per decarbonizzare l’economia, la mobilità sostenibile è prioritaria.
Quali sono le tecnologie per l’economia circolare
Le tecnologie per l’economia circolare sono fondamentali per ridurre l’uso di risorse naturali e mitigare l’impatto sul clima.
Per raggiungere gli obiettivi climatici e rendere la nostra economia più sostenibile, è necessario passare da un modello economico lineare al modello dell’economia circolare. Ciò è indispensabile per ottimizzare l’uso delle risorse e il recupero e il riciclo dei rifiuti. Da solo, il settore della gestione e dello smaltimento dei rifiuti produce il 3,2 per cento delle emissioni di CO2 globali (fonte: Climate watch e World resources institute). Questo pensiero sistemico e trasversale prevede di ridurre la quantità di materie prime inserite nel sistema, ridisegnare beni e cicli manifatturieri, allungare il tempo di vita dei prodotti e garantire la loro riparabilità e la loro permanenza nel sistema economico. Solo attraverso un recupero e un riutilizzo virtuoso dei materiali si può ridurre l’impatto ambientale dei cicli produttivi. L’Unione europea da anni spinge in questa direzione e l’Italia è uno dei paesi membri più virtuosi. La quota di riciclo complessiva infatti ha raggiunto nel 2020 il 68 per cento e il tasso di uso circolare di materia il 21,6 per cento, contro una media europea rispettivamente del 35 e del 12,8 per cento. Le industrie sono impegnate nel miglioramento delle proprie prestazioni e nella realizzazione di prodotti contenenti materiali riciclati che comunicano, dunque, il rispetto dell’ambiente. Lo sviluppo e l’affermazione su larga scala delle tecnologie per l’economia circolare avrà quindi un ruolo cruciale.
- Tecnologie per l’economia circolare nel processo produttivo
- La gestione dei rifiuti nell’economia circolare
- Da rifiuti a risorse: il ruolo della prevenzione
- Tecnologie per l’economia circolare nei prodotti hard to recycle
- Come misurare la circolarità di beni e aziende
Tecnologie per l’economia circolare nel processo produttivo
L’economia circolare inizia nelle primissime fasi del ciclo di vita del prodotto. In questo senso parliamo di ecodesign: dalla progettazione – o, appunto, design – di un prodotto o di un imballaggio dipende infatti l’uso di materia prima e la quantità di scarto generato quando diventerà rifiuto. Il Conai (Consorzio nazionale per il recupero degli imballaggi) calcola che le scelte prese nella fase di progettazione di un imballaggio incidano sull’80 per cento degli impatti ambientali che avrà lo stesso imballaggio in tutto il suo ciclo di vita.
L’ecodesign mette quindi al centro i criteri di durabilità, riparabilità, possibilità di aggiornamento e riciclabilità dei materiali utilizzati. A ben vedere, tali principi si applicano a tutte le fasi del ciclo di vita del prodotto: dall’approvvigionamento e impiego delle materie prime, che devono essere riutilizzabili, biodegradabili o riciclabili e non tossiche; alla loro lavorazione nel processo produttivo e alla distribuzione, in termini di efficienza energetica (ridotto consumo energetico nelle fasi produttive) e di ridotto impatto ambientale.
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In sintesi, il ciclo di vita di un prodotto deve poter essere allungato il più possibile, attraverso la riparabilità, il riciclo e/o il riutilizzo dei suoi componenti. In alternativa, il prodotto stesso dovrà risultare biodegradabile al 100 per cento, in modo da rientrare completamente nel ciclo naturale.
La gestione dei rifiuti nell’economia circolare
Attualmente l’effetto collaterale di un’economia con un pil elevato sono i grandi volumi di rifiuti pro capite. Come accennato in precedenza, le nostre attuali modalità di produzione e consumo rimangono prevalentemente basate sul principio lineare: le risorse vengono estratte, lavorate, utilizzate e, per la maggior parte, scartate come rifiuto. Al termine di tale ciclo, i rifiuti vengono tipicamente smaltiti mediante incenerimento o discarica, anche se negli ultimi decenni si è diffuso sempre più il modello della raccolta differenziata, soprattutto nelle economie più avanzate. Il principio è semplice: i rifiuti vengono separati in base al materiale di cui sono composti, e questi ultimi vengono poi trattati per realizzare nuovi prodotti o nuove molecole che, loro volta, serviranno per realizzare nuovi prodotti.
Per avere le risorse necessarie a soddisfare una popolazione mondiale che nel 2050 raggiungerà i 10 miliardi di persone, è necessario estrarre il massimo valore da ciò che tradizionalmente è considerato un rifiuto, ragionando sul riciclo già in fase di progettazione. In questo senso l’economia circolare diventa un concetto olistico che prende in considerazione la gestione dei rifiuti a ogni step della filiera produttiva.
Da rifiuti a risorse: il ruolo della prevenzione
Come abbiamo appena spiegato, la raccolta differenziata riveste un ruolo centrale nelle strategie di economia circolare, perché separare i rifiuti in base al materiale di cui essi sono composti è alla base di un corretto riciclo. Ma alla differenziata va aggiunto un aspetto, quello della prevenzione della produzione di rifiuti: un settore che sta diventando sempre più cruciale in ambito di nuovi modelli di business capaci di vedere il rifiuto come risorsa.
In Europa, la prevenzione dei rifiuti è stata stabilita come una priorità attraverso la direttiva quadro sui rifiuti e la relativa promozione della gerarchia dei rifiuti, dove rappresenta la priorità assoluta. Una delle possibili vie per prevenire ed evitare un aumento della quantità di rifiuti è lo stimolo e l’incremento del mercato delle materie prime seconde, cioè dei materiali derivati dal recupero e dal riciclaggio dei rifiuti o delle sostanze derivate dal loro recupero mediante conversione chimica.
Tecnologie per l’economia circolare nei prodotti hard to recycle
Alcuni settori si devono confrontare con problemi specifici, a causa delle caratteristiche dei loro prodotti, delle catene del valore che li caratterizzano, della loro impronta ambientale o della dipendenza da materie provenienti da paesi terzi. Si tratta in particolare di plastiche, rifiuti alimentari e biomasse, materie prime essenziali, rifiuti da costruzione e demolizione. Cerchiamo di capire quali sono le tecnologie per l’economia circolare in questi ambiti.
Plastiche
Se si vuole garantire il passaggio a un’economia circolare effettiva è necessario aumentare il riciclo della plastica e sostituirla progressivamente, anche con plastica riciclata, in fase di progettazione degli imballaggi. Di plastiche ce ne sono di diversi tipi, quindi diventa difficile differenziarle e riciclarle tutte secondo procedure standard ed efficienti allo stesso livello.
Secondo la Ellen MacArthur foundation, l’economia globale perde il 95 per cento del valore del materiale plastico da imballaggio (ossia tra 70 e 105 miliardi di euro l’anno) dopo un ciclo di primo utilizzo molto breve. La plastica riciclata, per giunta, oggi copre solo il 6 per cento circa della domanda in Europa. Secondo le stime della fondazione, la produzione di plastica da fonti fossili e l’incenerimento dei rifiuti plastici generano complessivamente circa 400 milioni di tonnellate di CO2 l’anno.
Per i rifiuti plastici non riciclabili meccanicamente esistono varie soluzioni di riciclo chimico, tra cui la depolimerizzazione, la pirolisi e il waste to chemicals. Quest’ultimo consente di recuperare il carbonio e l’idrogeno contenuti nei rifiuti e produrre un gas di sintesi (chiamato gas circolare) che può essere utilizzato in sostituzione del gas naturale nei processi industriali o per la produzione di nuove molecole (idrogeno, metanolo ed etanolo circolare) con le quali realizzare di prodotti o carburanti sostenibili. L’approccio waste to chemicals permette anche di recuperare i rifiuti depositati nelle discariche, valorizzando risorse preziose e arginando il consumo di suolo.
Una soluzione a supporto del passaggio verso l’economia circolare è l’approccio di upcycling: trasformare i rifiuti plastici in prodotti con caratteristiche chimico-fisiche e proprietà meccaniche che possono sostituire polimeri vergini da fonti fossili. Le tecnologie esistono: in Italia un impianto modello si trova a Bedizzole, in provincia di Brescia.
Rifiuti alimentari e biomasse
Che un avanzo di cibo si trasformi in qualcos’altro è un’idea che a molti può suonare strana. Ma si può fare. Applicare le tecnologie per l’economia circolare significa limitare il problema degli sprechi alimentari. Ogni anno in Europa si buttano via 88 milioni di tonnellate di cibo, per il 53 per cento nelle cucine domestiche. È come se ciascuno di noi gettasse nella spazzatura 173 chili di cibo all’anno, quasi mezzo chilo al giorno.
L’innovazione tecnologica permette anche di dare una nuova vita a quegli scarti che inevitabilmente si generano nel corso di determinati processi produttivi. Gli avanzi dei succhi di mela per esempio possono diventare borse in pelle ecologica, oppure materie prime per una linea di cosmetici. Insomma, del cibo non si butta via nulla. Dagli oli vegetali esausti o dai grassi di origine animale si possono ricavare anche biocarburanti (come il diesel rinnovabile) o biolubrificanti, mentre dagli scarti ligneo-cellulolisici si può ottenere un etanolo di seconda generazione.
Sempre in ottica circolare, il rifiuto alimentare può diventare compost e quindi tornare a essere utilizzato come fertilizzante in campo agricolo. È l’obiettivo di particolari impianti, detti “digestori” aerobici o anaerobici, il cui utilizzo è in costante crescita. In particolare, nei digestori anaerobici la circolarità del processo aumenta perché, oltre a dare una seconda vita allo scarto alimentare, il gas (anzi biogas) generato dalla fermentazione viene incamerato per utilizzi successivi, che vanno dal riscaldamento ai mezzi di trasporto.
Materie prime essenziali
Rientrano in questa categoria terre rare e alcuni componenti dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee). Palladio, rodio, platino, litio, alluminio primario sono solo alcune delle materie prime critiche che diversi paesi, tra cui il nostro, hanno bisogno di importare per poter produrre beni tecnologici in diversi settori tra cui l’industria aerospaziale, l’automotive e, non ultime, le energie rinnovabili. Le terre rare sono una componente essenziale anche dei Raee ed è proprio a partire da questi che si possono attivare pratiche circolari.
Incrementare il riciclo dei Raee significa inoltre evitare gli altissimi costi ambientali e sociali dovuti all’estrazione e alla raffinazione dei metalli rari. Sebbene questi metalli siano considerati come risorse strategiche, finora non c’è stato alcun obbligo di riciclarli. Proprio in virtù delle crescenti preoccupazioni circa la fornitura di terre rare, gli esperti del settore hanno chiesto regole più severe sul loro riciclo nell’ultimo rapporto di Cewaste, un progetto biennale finanziato dall’Unione europea.
Rifiuti di costruzione e demolizione
I rifiuti da costruzione e demolizione rappresentano in peso quasi la metà dei rifiuti complessivamente prodotti in Italia. È evidente, quindi, che la transizione ecologica e l’adozione dell’economia circolare debbano passare da questa filiera. Il problema può essere in parte contenuto mediante l’uso razionale e disciplinato delle materie disponibili e l’incentivazione del recupero dei rifiuti prodotti.
Sempre più imprese chiedono il superamento degli attuali limiti normativi che hanno frenato lo sviluppo del riciclo in ambito edilizio. In Italia, a fronte di statistiche ufficiali che indicano tassi di avvio a recupero superiori al 70 per cento, le stime di settore e le percezioni degli operatori segnalano uno scenario molto più problematico, con una buona parte di aggregati lasciati nei magazzini o comunque non impiegati nei cantieri per mancanza di mercati competitivi e per criticità di tipo regolatorio.
Per questi motivi, gli sforzi degli esperti finora si sono concentrati sulla richiesta di un apposito decreto End of waste che favorisca la nascita di catene del valore più efficaci di quelle attuali. In breve, la richiesta verte intorno a meccanismi combinati di incentivi all’impiego degli aggregati riciclati e disincentivi ai conferimenti in discarica e al prelievo di materiali vergini. Così l’economia circolare, oltre che etica, diventerà anche più economica.
Come misurare la circolarità di beni e aziende
È chiaro a questo punto come il mondo dell’economia circolare apra a molteplici opportunità per le imprese. Per questo, esistono strumenti e metodologie che identificano quegli indicatori utili a valutare processi di miglioramento aziendale, sociale e ambientale. In qualsiasi momento, grazie all’ausilio di enti e fondazioni autorevoli, possiamo cercare e testare tool, indicatori o matrici utili a calcolare il grado di circolarità di aziende e città.
Tra questi va sicuramente citato Circulytics, ideato dalla già citata Ellen MacArthur foundation con l’obiettivo di supportare le aziende nella transizione verso sistemi circolari, senza distinzioni di settore, struttura e dimensione. Sempre la Ellen MacArthur foundation ha collaborato con l’azienda Ansys per creare il Material circularity indicator (Mci), un tool di valutazione per aziende, volto a migliorare la progettazione dei prodotti e l’approvvigionamento delle materie prime. In una scala da 0 a 1, valutazioni più alte indicano un maggiore grado di circolarità.
Oltre ai diversi metodi per misurare la circolarità di un’azienda, dal punto di vista legislativo l’intenzione è quella di limitare i prodotti monouso, lottare contro l’obsolescenza prematura e stabilire il divieto di distruggere i beni durevoli non venduti.
Insieme all’industria 4.0, ovvero la quarta fase industriale basata sulla diffusione delle tecnologie digitali, l’economia circolare diventerà il nuovo paradigma economico in grado di introdurre rilevanti elementi di cambiamento dell’attuale sistema produttivo europeo e internazionale. La sfida della nostra società sarà quindi quella di adottare le giuste misure e modalità affinché tale scenario dia i suoi frutti il prima possibile.
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