Per la prima volta da più di un decennio, l’Agenzia per la protezione ambientale statunitense (Epa) ha inasprito le regole sulla qualità dell’aria.
- L’Agenzia per la protezione ambientale statunitense (Epa) ha aggiornato le linee guida per la qualità dell’aria.
- La soglia annuale per il particolato fine (PM2,5) passa da 12 a 9 microgrammi per metro cubo.
- Le associazioni industriali di categoria paventano conseguenze negative per l’economia statunitense.
Per la prima volta da più di un decennio, l’Agenzia per la protezione ambientale statunitense (Epa) ha reso più severi gli standard sulla qualità dell’aria: la soglia annuale di sicurezza per il particolato fine (PM2,5) passa da 12 a 9 microgrammi per metro cubo. L’obiettivo dichiarato è quello di tutelare la salute dei cittadini: una volta in vigore, infatti, questi limiti potrebbero prevenire fino a 4.500 morti premature e 290mila giorni di lavoro persi, con benefici sanitari netti stimati in 46 miliardi di dollari nel 2032. Ma c’è anche chi esprime dure critiche.
Il piano dell’Epa per migliorare la qualità dell’aria
L’osservato speciale dunque è il PM2,5, cioè il particolato di diametro inferiore a 2,5 micrometri, capace di penetrare nei polmoni e nei bronchi secondari ed entrare quindi nella circolazione sanguigna. Gli standard fissati dall’Agenzia per la protezione ambientale sono due: quello giornaliero resta inalterato, mentre quello annuale passa – appunto – da 12 a 9 microgrammi per metro cubo. Una soglia comunque più alta rispetto ai 5 microgrammi per metro cubo raccomandati dalle ultime linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
Stabilire sulla carta la nuova regola è soltanto il primo passo. Nell’arco dei prossimi due anni, i tecnici dell’Epa effettueranno campionamenti per identificare le aree che sforano il limite previsto. Dopodiché, i singoli stati avranno 18 mesi di tempo per mettere a punto dei piani d’azione. Entro il 2032, quelli che risultano fuorilegge saranno soggetti a multe.
Le critiche delle associazioni industriali
Non tutti, però, sono entusiasti dell’iniziativa. Le associazioni industriali di categoria hanno da subito paventato possibili ripercussioni negative sulle proprie attività e, di conseguenza, sull’economia statunitense nel suo insieme.
“Questa nuova norma colpisce al cuore la capacità dell’industria del cemento di far fronte agli obiettivi sulle infrastrutture fissati dall’amministrazione Biden, perché porterebbe a far funzionare gli impianti per un orario ridotto, il che significherebbe licenziamenti e meno cemento e calcestruzzo americani, in un momento in cui al paese ne servono di più”, dichiara tramite una nota Mike Ireland, presidente e amministratore delegato della Portland cement association, che rappresenta l’industria del cemento.
C’è anche chi sostiene che sia a rischio la produzione di turbine eoliche, batterie e altri articoli fondamentali per la transizione energetica fortemente voluta dallo stesso Joe Biden. E, come sottolinea il New York Times, almeno due governatori democratici – Andy Beshear del Kentucky e Laura Kelly del Kansas – hanno scritto al presidente per esprimere la propria preoccupazione per le ripercussioni economiche. È vero anche che, a partire dal 2000, il prodotto interno lordo americano è cresciuto del 52 per cento; nel frattempo, le concentrazioni di PM2,5 nell’aria sono diminuite del 42 per cento. A dimostrazione del fatto che coniugare economia e salute è possibile.
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