Il clima che cambia sta delineando una nuova geografia del cibo con l’agricoltura chiamata a rispondere alle sfide ambientali e di sicurezza alimentare.
Quando il pane contiene una foresta
Il pallino di Davide Longoni è creare pane di ottima qualità e insegnare agli altri come si fa. Divulgando l’uso del lievito madre, l’unico in grado di garantire gusto, profumo e digeribilità.
Davide, quali sono gli ingredienti di un pane veramente sano e buono?
Per me il pane è un prodotto agricolo, frutto della trasformazione di un prodotto della terra, come vino e formaggio. Per fare un buon pane è necessario recuperare il rapporto con la materia prima fondamentale, il cereale, che mugnaio e panificatore trasformeranno rispettivamente in farina e pane. Il mugnaio deve saper rispettare il cereale macinando lentamente a pietra, senza scaldare troppo i chicchi. Poi entrano in gioco le capacità artigianali del panificatore, che deve saper gestire la fermentazione: un processo di trasformazione quasi alchemico. Gli amidi si trasformano in zucchero e lieviti e batteri attraverso un processo biologico si nutrono e producono anidride carbonica che fa crescere l’impasto. Una buna fermentazione deve essere lenta. Quindi riassumendo per fare un buon pane servono buona farina, buon lievito naturale e un ingrediente fondamentale, il tempo.
Cos’è il lievito madre e come si ottiene?
Il lievito madre è semplicemente un impasto di farina e acqua colonizzato da lieviti e batteri selvaggi, non indotti, attirati da materiale organico. Questi, attraverso un processo fermentativo, trasformano gli zuccheri della farina (amidi) in anidride carbonica, un gas che fa gonfiare l’impasto da pane. Sembra che la pasta madre sia un dono del fiume Nilo: nell’antico Egitto una delle numerose piene del fiume allagò un laboratorio di panificazione. Rientrando per pulire, il panettiere trovò un impasto abbandonato cresciuto in volume e invece di buttarlo lo cucinò notando che il pane ottenuto era più profumato e digeribile rispetto al pane azzimo cui era abituato. Cosa era successo? Il fiume, “sporcando” l’impasto, aveva introdotto lieviti utili per la fermentazione. Da allora, l’uomo ha imparato a gestire il fenomeno prelevando un pezzo di impasto per conservarlo e trasferirlo nel successivo, trasmettendo così lieviti e batteri. Ai giorni nostri la maniera più semplice per avere del lievito madre è chiederne a chi già ne possiede un po’. Chi invece volesse produrlo da sé deve impastare farina e acqua, magari “sporcata” da un frutto maturo o da yogurt, e aspettare che il composto fermenti per qualche giorno. Poi il lievito madre va conservato attraverso la tecnica dei rinfreschi, unendo cioè farina e acqua al lievito madre per alimentare i nostri lieviti.
Quali sono le differenze tra lievito di birra e lievito madre?
Innanzitutto è corretto far presente che anche il lievito di birra è naturale, tuttavia, per rendere l’idea, paragonerei la pasta madre a una foresta, e il birra a un prato. Nella prima c’è una biodiversità straordinaria che concorre a trasformare la farina in una sinfonia di gusti e aromi; il secondo è monotono, molto efficace ma non sviluppa grandi profumi. Inoltre spesso i panificatori eccedono nel dosaggio del birra per accorciare i tempi, e questo rende il pane gonfio ma indigesto. Il motivo per cui il birra è più diffuso sta nelle sue caratteristiche: rapidità nell’attività fermentativa.
Quali sono le farine da preferire?
Biologiche, poco raffinate, di cereali “minori”. Biologiche perché il cereale è generoso e non richiede pratiche dannose per il pianeta e per la nostra salute. Poco raffinate perché le farine bianche sono le più povere, prive di crusca, germe di grano, sali minerali e danno pani gonfi ma poco nutrienti. I “cereali minori” sono monococco, farro, segale, spelta, grani teneri e duri antichi, molto più ricchi di sapori e profumi dei moderni. Per un discorso di coerenza di filiera artigiana io preferisco le farine macinate da piccoli mulini, in particolare quelle di Renzo Sobrino: macinate a pietra, rustiche ma eleganti, con caratteristiche spiccate che danno al pane una forte personalità.
Le caratteristiche dei grani antichi…
I grani moderni sono stati selezionati preferendo resa per ettaro e forza in glutine. Questo ha prodotto farine ottime dal punto di vista della lavorabilità e che danno pani gonfi e leggeri, però poco profumati e digeribili. I pani da grani antichi sono il contrario: pani di sostanza, nutrienti, profumati e digeribili. Io uso il monococco, il grano più antico coltivato dall’uomo già 8000 anni fa, antenato dei grani moderni, ma anche il farro, l’antico cereale dei romani, la segale e i grani antichi siciliani tuminnia e perciasacchi. Simili al kamut, ma liberi da royalties.
A cosa serve il malto d’orzo nella panificazione?
Il malto è lo zucchero che si crea nei cereali quando in primavera partono le attività enzimatiche che preparano la germinazione. In pratica è il carburante della piantina. Già anticamente l’uomo ha apprezzato le farine ottenute da cereali maltati per produrre birra. In panificazione il malto si usa come carburante per i lieviti per far partire il processo fermentativo.
Perché la pezzatura grande è da preferire?
Il grosso formato garantisce al pane una vita più lunga, l’aria infatti tende ad asciugare i pani piccoli che rischiano di diventare duri dopo poche ore: in questo modo il prodotto evolve, come un grande vino. Poi per me il pane grosso è il pane della condivisione, della compagnia, che si oppone all’immagine del bocconcino da 30 gr. mangiato da soli davanti alla tv. Penso che il pane sia cultura, Omero chiamava gli uomini “mangiatori di pane” in opposizione ai barbari mangiatori di carne. Per questo motivo organizzo corsi di panificazione. Si imparano gli impasti e le tecniche fondamentali, oltre ad avere un contatto diretto con un cibo così antico e archetipico.
Siamo in periodo di feste… che caratteristiche deve avere un buon panettone? Voi come lo preparate?
Il panettone è per me il pane delle feste, sempre con lievito naturale, ma arricchito da burro, uova, miele e frutta. Il mio è un panettone da panificatore, meno ricco di quello preparato in pasticceria, più sobrio. Ma se ne mangiano volentieri due fette!
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