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Le scorie nucleari in Italia non hanno ancora un deposito
È stata pubblicata una nuova mappa dei luoghi in Italia considerati idonei a ospitare il deposito dove saranno immagazzinate 90mila scorie nucleari.
Il 5 gennaio 2021 è stata pubblicata la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del deposito nazionale (Cnapi). Si tratta di una mappa attraverso cui individuare l’area più idonea a ospitare l’infrastruttura di superficie dove sistemare in sicurezza i rifiuti radioattivi di bassa intensità, oggi stoccati all’interno di decine di depositi temporanei sparsi per l’Italia. Stiamo parlando di scorie nucleari che sono state prodotte durante l’attività degli impianti nucleari (disattivati poi nel 1987 in seguito a un referendum), lo smantellamento degli impianti stessi, ma anche dalle quotidiane attività di medicina nucleare, industria e ricerca.
La carta individua 67 luoghi divisi in sette regioni (Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia, Basilicata, Sardegna e Sicilia), selezionati in base a una serie di criteri elaborati dall’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e per la radioprotezione (Isin). Nella tavola generale allegata alla Cnapi sono indicati anche i comuni interessati: quelli più papabili sembrano essere in due zone in provincia di Torino (Caluso e Carmagnola), cinque in provincia di Alessandria (tra cui Bosco Marengo e Novi Ligure) e in provincia di Viterbo.
Un’infrastruttura a matrioska per le scorie nucleari
Come si presenterà il deposito? Lo spiega il portale dedicato depositonazionale.it: è un insieme di barriere ingegneristiche una dentro l’altra. Per prima cosa, i rifiuti condizionati e compattati (il condizionamento consiste nell’inglobare i rifiuti solidi, o nel solidificare quelli liquidi, in cemento o vetro) saranno chiusi dentro fusti di acciaio riempiti di cementite. A loro volta i fusti verranno sigillati in scatole di cemento armato e tutte le scatole – circa un centinaio – verranno disposte in una grande vasca in superficie, anch’essa di cemento. Tale vasca verrà infine coperta da uno strato di terreno e da un manto erboso.
Il deposito occuperà 110 ettari ma l’area che lo andrà a ospitare ne misurerà 150 perché verrà anche realizzato un parco tecnologico di 40 ettari: si tratta, da progetto, di un centro di ricerca applicata e di formazione nel campo del decommissioning (ovvero dello smantellamento) nucleare, della gestione dei rifiuti radioattivi e della radioprotezione, oltre che della salvaguardia ambientale.
L’investimento complessivo per la realizzazione del deposito nazionale e parco tecnologico sarà di circa 900 milioni di euro (che con opere correlate potrebbe arrivare a 1,5 miliardi di euro) e sarà finanziato dalla componente tariffaria A2RIM (ex componente A2) della bolletta elettrica, che già oggi copre i costi dello smantellamento degli impianti nucleari.
Comuni e regioni non vogliono ospitare le scorie nucleari
Il percorso di localizzazione è appena iniziato e, in concomitanza con la pubblicazione della mappa, è stata avviata la fase di consultazione pubblica: entro 60 giorni enti locali e soggetti portatori di interesse possono formulare le proprie osservazioni; entro 120 giorni dall’avvio della consultazione pubblica si svolgerà un seminario nazionale. Dopo questi “confronti” con il territorio, il ministero dello Sviluppo economico dovrà approvare la versione definitiva della Cnapi.
La pubblicazione della carta rientra nelle attività di smantellamento delle centrali nucleari affidate alla Sogin, società pubblica partecipata dal ministero dell’Economia e delle Finanze che ha il compito di localizzare, progettare, realizzare e gestire il deposito nazionale definitivo, un’infrastruttura ingegneristica di superficie. Il decreto legislativo del 2010 che ha incaricato la Sogin del decommissioning prevedeva la pubblicazione di Cnapi entro agosto 2015.
Con cinque anni e mezzo di ritardo è arrivato il nulla osta dai ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico, ma l’unica cosa a essere unanime è il coro dei “no”: alle proroghe, infatti, si sommano le critiche di regioni ed enti locali. Puglia e Basilicata, ad esempio, hanno unito le proteste: nella loro zona è impensabile costruire un deposito del genere, in quanto “si tratta di aree di particolare pregio naturalistico, che fanno parte di parchi o che sono candidate a farne parte”. Il consiglio comunale di Matera è pronto a ufficializzare il proprio no, i sindaci dell’area barese hanno minacciato di scendere in piazza.
Contraria anche la Sardegna che ha convocato un consiglio regionale per ribadire il proprio parere negativo, mentre in Sicilia il presidente Nello Musumeci ha annunciato una task force di esperti per confutare la scelta di Sogin. “Proposta irricevibile, in un territorio patrimonio mondiale dell’umanità Unesco e ad alta vocazione turistica”, è stata la reazione dei sindaci della val d’Orcia e della val di Chiana e sulla stessa lunghezza d’onda anche i sindaci dei tredici comuni della Tuscia viterbese.
Il caso delle scorie nucleari del Piemonte
“Trovo assurdo che una scelta di questa portata sia stata assunta senza un minimo confronto con la regione e i sindaci dei territori” ha dichiarato il governatore del Piemonte Alberto Cirio, offrendo sostegno ai comuni selezionati al fine di “inviare a Roma osservazioni puntuali per dimostrare l’inidoneità dei rispettivi territori ad ospitare rifiuti nucleari”.
Il Piemonte è la regione che già ospita più scorie di tutti: il 75 per cento dell’attività radioattiva da rifiuti nucleari è concentrata nell’area dove sorgono i tre siti nucleari di Saluggia, Trino Vercellese e Bosco Marengo. Solo a Saluggia, paesino in provincia di Vercelli, sono concentrati 2,3 GBq su 3 (il becquerel è l’unità di misura dell’attività di un radionuclide) e numerosi rilasci di radioattività hanno contaminato le falde acquifere superficiali. Valori bassi, misurati su pozzi dove l’acqua non è destinata all’uso potabile. Ma livelli comunque definiti come “forte indicatore ambientale” dall’Arpa.
Una cosa è certa: dove sono ora le scorie non possono rimanere, a causa dei rischi idrogeologici e la prossimità ai corsi d’acqua. A Saluggia, dove si concentrano la maggior parte delle scorie, ci sono tre zone calde: l’Eurex, un impianto in dismissione usato per il riprocessamento del combustibile irraggiato, il deposito Avogadro e il deposito Sorin. Questi ultimi due sono in attività (non si tratta di attività di produzione ma legate alla messa in sicurezza dei rifiuti) e ospitano scorie ad alta radioattività.
Dove sono le scorie nucleari ad alta intensità
Le scorie non sono solo in Piemonte, ma sparse tra varie regioni: le vecchie quattro centrali di Trino Vercellese (Vercelli), Caorso (Piacenza), Latina e Garigliano (Caserta); l’ex impianto Fabbricazioni nucleari di Bosco Marengo (Alessandria), i tre impianti di ricerca sul ciclo del combustibile di Saluggia (Vercelli), Casaccia (Roma) e Rotondella (Matera) e, poi, vari centri di ricerca.
In tutto sono 90mila tonnellate di rifiuti da gestire, senza contare quelli che ogni anno vanno ad aggiungersi per attività mediche e industriali, circa 140 tonnellate l’anno: il deposito nazionale ne ospiterà 75mila. La parte restante, ovvero il 6 per cento del totale, è rappresentata da scorie a media e alta intensità, per le quali è necessario un deposito geologico di profondità.
Dal momento che siti del genere sono difficili da individuare e richiedono decine di anni per realizzarli, è previsto che il deposito nazionale di superficie ospiti anche un complesso per lo stoccaggio temporaneo di lungo periodo dove stoccare i rifiuti più pericolosi, in attesa di un’altra soluzione.
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