Come stanno i Quartieri spagnoli di Napoli dopo la riqualificazione

Promuovere la riqualificazione urbana restituendo centralità all’istruzione e alla cura del disagio giovanile: una ricetta tanto lapalissiana quanto clamorosamente inattuata, in numerose aree depresse delle cosiddette “grandi città” italiane. Tra le più insistentemente blandite dalle cicliche ondate di buoni propositi e di più o meno retoriche promesse di palingenesi figura indubbiamente Napoli, il cui inestricabile

Promuovere la riqualificazione urbana restituendo centralità all’istruzione e alla cura del disagio giovanile: una ricetta tanto lapalissiana quanto clamorosamente inattuata, in numerose aree depresse delle cosiddette “grandi città” italiane. Tra le più insistentemente blandite dalle cicliche ondate di buoni propositi e di più o meno retoriche promesse di palingenesi figura indubbiamente Napoli, il cui inestricabile binomio di splendore e degrado, fascino e brutalità incarna da sempre il paradosso italico per antonomasia.

 

Un universo di multiforme complessità il cui ventre palpitante, quello dei celebri Quartieri Spagnoli, è divenuto da qualche tempo il laboratorio di un’originale sperimentazione in vivo che, a distanza di un anno esatto dal suo inizio, si presta a delineare qualche prima indicazione di bilancio. Risale infatti allo scorso autunno l’insediamento ufficiale della Fondazione Quartieri Spagnoli (Foqus), istituzione privata presieduta da Rachele Furfaro e diretta da Renato Quaglia, che si è prefissa con coraggio e creatività l’ambizioso obiettivo di inventarsi dal nulla un vero e proprio piano di welfare puntando al recupero di quei territori falcidiati dalla criminalità, dalla disoccupazione e dal precoce abbandono scolastico, colmando così almeno in parte il vuoto abissale delle politiche centrali e locali in materia.

 

Un’inconfondibile toponomastica a scacchiera, quella dei Quartieri Spagnoli, che ingloba al proprio interno le aree cittadine di San Ferdinando, Avvocata e Montecalvario, estendendosi per circa 800mila mq tra Corso Vittorio Emanuele e via Toledo, omonima di quel viceré Don Pedro de Toledo che nel 1546 fece costruire l’intero comprensorio allo scopo di alloggiarvi le truppe spagnole e le loro famiglie. Dunque non solo bassifondi e miseria, ma anche edifici e palazzi di epoca tardo-cinquecentesca e seicentesca o alcune chiese peculiari quali Santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe o Trinità dei Pellegrini, senza dimenticare la nota via San Liborio immortalata nel famoso monologo di Filumena Marturano.

 

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Su tale incandescente materia umana e sociale Foqus sta conducendo un’operazione interamente finanziata da un network di aziende private alle quali si è successivamente affiancata l’Accademia di Belle Arti di Napoli, che nella sede della fondazione ha creato tre master ad hoc concepiti in sinergia con l’attività di una serie di botteghe di mestieri destinate a diffondere, con l’aiuto dei più qualificati maestri artigiani, competenze professionali specifiche e dunque nuovi posti di lavoro (136 quelli generati finora).

 

Ma soprattutto si è provveduto a dotare la zona del primo asilo nido della sua storia –considerato oggi il meglio funzionante di tutta Napoli– nonché di scuole materne ed elementari strutturate sul modello delle coop di Reggio Emilia. E ancora il ristorante Pinzimonio, la libreria Montelibrario, l’università delle Liberetà, corsi di ginnastica, meditazione e psicologia, incontri ed eventi culturali. E dulcis in fundo, in una zona da sempre affetta da evidente penuria di spazi verdi, nuovi luoghi di aggregazione all’aperto, come il campo di calcetto donato dal Napoli Calcio, e perfino l’Orchestra Sinfonica dei Quartieri, allestita con strumenti regalati da Gino Paoli, viatico simbolico ad una musica che si spera finalmente sia cambiata.

 

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