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Questo è il solare di Carlo Rubbia
“Solare termodinamico a concentrazione”. Si basa su questo principio la centrale fotovoltaica ideata dal premio Nobel italiano Carlo Rubbia.
“Per gli stati del Sud Europa, il potenziale solare è una
realtà. Certo, gli impianti richiedono spazio e le
località favorevoli in Italia sono poche: l’Enea sta
prendendo in considerazione Gela, Specchia (in Puglia) e alcune
aree della Sardegna”, diceva il premio Nobel Carlo Rubbia nella
giornata conclusiva del Rome Energy Meeting… del 2004. Il grande
scienziato puntava, e punta ancora, sulla “sua” energia solare come
una soluzione immediatamente disponibile.
Secondo il premio Nobel italiano, già mente del CERN di
Ginevra, la tecnologia da lui sviluppata risponde a esigenze di
fattibilità, di disponibilità, di urgenza. Si tratta
del solare a concentrazione, o solare termodinamico. Il sistema
è basato sulla concentrazione della luce tramite
specchi.
Come nasce la tecnologia del “solare
termodinamico”. Rubbia partì da una semplice
constatazione: un metro quadrato di specchi costa molto meno
rispetto a un metro quadrato di pannelli fotovoltaici.
Con una radiazione solare media di circa 1.000 W/m2, come quella
italiana, il rendimento termodinamico sarebbe altissimo. La
quantificazione espressa dallo stesso Rubbia chiarisce ancor di
più la convenienza del sistema termodinamico: “Come
esperimento pilota i 20 megawatt aggiunti dalle tecnologie solari
alla centrale di Priolo bastano a una città di 20 mila
abitanti, consentono di risparmiare 12.500 tonnellate equivalenti
di petrolio l’anno ed evitano l’emissione di 40mila tonnellate
l’anno d’anidride carbonica. Il bello è che questo tipo di
energia è conveniente: ai prezzi attuali, l’impianto si
ripaga in 6 anni e ne dura 30. Oltretutto, una volta avviata la
produzione di massa, i prezzi di costruzione tenderanno al
dimezzamento”.
Com’è fatta una centrale. La centrale
è un filare di specchi parabolici con apertura di 5,76
metri. Ogni specchio concentra il calore del sole su un tubo di 11
centimetri di diametro (serbatoio caldo), in cui il fluido salino
raggiunge temperature di 550° – e da lì schizza a uno
scambiatore di calore dove produce vapore: che, come nelle centrali
termiche, aziona una turbina che genera elettricità. Da
lì il fluido non si disperde ma viene riconvogliato nel
serbatoio freddo e reimmesso nel ciclo.
“Oggi, cioè in fase preindustriale, il costo complessivo
dell’impianto oscilla tra i 100 e i 150 euro a metro quadrato. E da
un metro quadrato si ricava ogni anno un’energia equivalente a
quella di un barile di petrolio. Il che vuol dire che utilizzando
un’area desertica o semidesertica di dieci chilometri quadrati si
ottengono mille megawatt: la stessa energia che si ricava da un
impianto nucleare o a combustibili fossili, ma con costi inferiori
e con una lunga serie di problemi in meno”.
Il ragionamento fila: da ogni metro quadrato di specchi – in un
anno – si ricaverebbe l’equivalente in energia di un barile di
petrolio. Siccome 7 barili circa sono pari ad una tonnellata, con 7
m2 s’otterrebbe una Tep: con 70.000 m2 (7 Km2) 10.000 TEP, con
7.000.000 di m2 (un quadrato con il lato di 2650 metri ) 1 MTep,
ossia lo 0,5% del fabbisogno nazionale. Per soddisfare l’intero
fabbisogno nazionale sarebbe sufficiente una superficie pari ad un
quadrato con il lato di circa 40Km!
La realizzazione. Dopo aver progettato
l’impianto pilota presso Priolo, in Sicilia, alcune incomprensioni,
problemi e attriti hanno indotto lo scienziato goriziano a lasciare
la presidenza dell’Enea e migrare in Spagna, al Ciemat (l’Enea
spagnolo). In pochi mesi è stata costruita ad Almeria – dove
sono già in funzione due impianti solari tradizionali a
concentrazione – la struttura rettilinea dell’impianto termico a
sali. Il primo di una serie di venti.
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