Il gatto deve essere accompagnato con intelligenza verso il fine vita. Ma basta poco per rendere la sua terza età più agevole e accettabile.
La rabbia, una malattia mortale non solo per i nostri cani
La rabbia è una malattia mortale per gli animali e può contagiare l’uomo con seri rischi per la salute. Impariamo a conoscerla con l’aiuto degli esperti.
Si torna a parlare di rabbia. E spesso lo si fa senza avere une reale cognizione di questa malattia che, purtroppo, ci affligge da secoli e rimane nell’immaginario collettivo connessa a cani sbavanti e a morsi dilanianti. Con i recenti fatti relativi ai profughi ucraini e ai loro animali domestici, ci si è dovuto occupare nuovamente della patologia che, almeno negli ultimi tempi, sembrava debellata nel nostro paese. Purtroppo la rabbia rimane presente non solo in Ucraina – e da qui arrivano la maggior parte delle preoccupazioni per i nostri veterinari –, ma anche in altri paesi, non da ultimo l’America, dove la malattia rimane endemica.
Un tema che riguarda la nostra salute e quella dei nostri amici a quattro zampe
Vivendo e amando cani da più di quarant’anni ho ovviamente sempre sentito parlare della rabbia. E, una volta, l’ho vista anche da molto vicino quando la mia cagnetta – un cane lupo cecoslovacco – venne aggredita da un randagio sprovvisto ovviamente di un libretto sanitario che ne potesse attestare la vaccinazione antirabbica. Nello scontro, la mia lupa ebbe la meglio, ma non riuscì a sfuggire alla quarantena – e quindi all’isolamento in canile senza che noi potessimo vederla – per la paura del contagio con la malattia.
Da allora, quando sento parlare di rabbia, tremo. E tremo ancora di più quando mi rendo conto che in pochi conoscono davvero la portata della patologia e ne sottovalutano l’impatto e le conseguenze. Ecco la ragione per cui in questo editoriale parliamo di rabbia insieme agli esperti. Perché mai come nel caso di questa malattia l’informazione deve assolutamente venire dalla classe veterinaria. I qualunquismi e i buonismi dei social per una volta lasciamoli da parte. Per la salute nostra e degli amici a quattro zampe che ci circondano, quindi, facciamo riferimento solo e sempre al nostro veterinario.
La rabbia, una malattia mortale
La rabbia è una zoonosi. Vale a dire che può essere trasmessa dagli animali all’uomo e in ciò risiede il pericolo maggiore della patologia. Ma come si viene contagiati e come si propaga? Ecco cosa mi spiega un’esperta dell’argomento: la dottoressa Maria Luisa Marenzoni, medico veterinario, docente universitario di epidemiologia e malattie infettive animali e membro dell’Admv (Associazione donne medico veterinario).
“La rabbia si trasmette principalmente attraverso il morso di animali infetti che hanno il virus nella loro saliva. In particolari condizioni che, però, possiamo considerare eccezionali, la trasmissione può avvenire anche per inalazione (soprattutto in caso di popolazioni di pipistrelli infetti in condizioni di scarsa areazione e alta carica virale) o per ingestione di carne/tessuti o secreti infetti. Gli animali che possono sviluppare la rabbia sono tutti quelli a sangue caldo, in particolare i mammiferi. A seconda che i soggetti infetti siano domestici o selvatici, si parla di ciclo urbano, in cui sono prevalentemente interessati il cane e il gatto nella trasmissione, oppure di ciclo silvestre, che vede coinvolti appunto gli animali selvatici.
I casi umani sono più frequentemente causati da contatto con cani rabidi e, in genere, i maggiori interessati sono i bambini. Nel ciclo silvestre sono soprattutto gli animali selvatici che vivono nell’interfaccia urbano i responsabili dell’infezione all’uomo. Ne è un esempio il procione. In Europa, invece, il serbatoio epidemiologico rimane quello della volpe (pensiamo, ormai, soprattutto alla vicinanza che questi animali possono avere con i centri urbani e con l’uomo) e il cane procione (Nyctereutes procyonoides) – più, in questo caso, nell’Est Europa e Asia –. Tuttavia, potenzialmente tutti i mammiferi possono essere una fonte di virus della rabbia”.
“La rabbia è forse una delle più terribili zoonosi anche a livello di immaginario. Per la sua trasmissione occorre generalmente il morso di un animale infetto, con il passaggio del virus al sistema nervoso centrale e, qualora non venga intrapresa la profilassi post contagio, l’esito è letale in pressoché il 100 per cento dei casi”, prosegue Marenzoni.
La rabbia e il suo contagio
Quando la rabbia era confinata all’ambiente selvatico, quindi, il passaggio all’uomo poteva essere limitato e controllato. Ma cosa può accadere se arrivano nel nostro paese animali domestici che hanno in incubazione la malattia? E che magari possono aggredire il cagnolino di casa o, peggio ancora, il bambino che gioca insieme a lui? “I tempi medi di incubazione della patologia sono di due-tre settimane”, spiega l’esperta.
“Tuttavia, sono riportati anche casi con comparsa di segni clinici dopo una sola settimana dall’esposizione al virus, o qualche volta persino dopo uno-due anni. Questo deriva dal fatto che il virus ha un particolare tropismo per il sistema nervoso centrale, per cui il periodo di incubazione dipende dalla sua capacità di raggiungere rapidamente questo distretto. E ciò dipende anche dal grado di innervazione del sito del morso, dalla distanza dal punto di inoculo del virus al midollo spinale o al cervello, o dalla quantità di virus inoculato. Di conseguenza, morsi sul volto, sulle mani o sui piedi sono più facilmente associati a tempi di incubazione più brevi”.
“Il virus della rabbia è poco resistente nell’ambiente esterno. La via di trasmissione principale è rappresentata quindi da morsi e graffi. Il virus, subito dopo l’infezione, entra nella ‘fase di eclissi’ ed effettua una prima moltiplicazione nel punto di entrata. Se non viene bloccato precocemente, risale lungo le vie nervose in direzione centripeta e, una volta raggiunto il sistema nervoso centrale, determina le manifestazioni cliniche. Poi, proseguendo in direzione centrifuga, raggiunge le ghiandole salivari”, aggiunge la dottoressa Chiara Dissegna, medico veterinario.
Ed è a questo punto che il virus della rabbia viene veicolato sull’animale o sull’uomo che ha la sventura di trovarsi in contatto salivare con l’infetto. Un processo semplice nella sua banalità che però rende ancora più pericolosa la malattia che, se non è controllata, diventa un avversario temibile e, purtroppo, mortale.
I sintomi della malattia
Nel caso della rabbia i segni clinici corrispondono alla parte dell’encefalo che viene interessata principalmente dall’infezione. “Negli animali può esserci una prima fase con segni completamente aspecifici (febbre, letargia, anoressia, apprensione, ansietà, leccamento), che lascia spazio a una forma che viene detta “furiosa”, di tipo eccitativa, in cui gli animali possono avere dei comportamenti completamente irrazionali con tremori, vocalizzazioni, ansietà, eccitabilità, movimenti compulsivi alternati anche a brevi momenti di normalità.
Addirittura, in questa fase si sviluppa un’aggressività che è funzionale alla trasmissione del virus proprio perché il cane o il gatto rabido aggrediscono animali o uomini con facilità. Al contrario può svilupparsi anche un’eccessiva mansuetudine. E, in merito, ci sono descrizioni di animali particolarmente docili e desiderosi di essere accarezzati e di leccare, atteggiamento che, ancora una volta, è proprio un metodo di trasmissione del virus attraverso la saliva.
Infine, può svilupparsi la “forma paralitica” che spesso segue la forma furiosa, caratterizzata dalla paralisi dei muscoli masticatori e da ipersalivazione, con la tipica paralisi faringea per cui gli animali effettuano vocalizzazioni anomale. Da qui nasce l’immagine tipica del cane rabbioso con abbondante bava schiumosa e fauci spalancate. La malattia prosegue con il coma e la morte”, dice la dottoressa Marenzoni.
“L’esito letale accade anche nell’uomo in assenza di interventi di profilassi post intervento. La morte avviene in genere per insufficienza respiratoria. Gli animali selvatici perdono la diffidenza nei confronti dell’uomo e se vi imbattete in alcuni di loro e notate questi segni cercate di non avere contatti. Attenzione, inoltre, anche a disorientamento e ottundimento che sono comportamenti frequenti”, aggiunge Chiara Dissegna. Parole chiare che da sole testimoniano la pericolosità della malattia e la scarsa possibilità di controllarla quando si determinano sacche di contagio, soprattutto in ambito metropolitano.
La cura e il vaccino
Come abbiamo visto, nei nostri amici a quattro zampe la rabbia è una malattia mortale. “Negli animali purtroppo non c’è cura e l’infezione è di fatto sempre letale (sono rarissimi i casi di guarigione documentati)”, continua a questo proposito Maria Luisa Marenzoni. “Negli uomini, invece, è possibile fare una terapia sintomatica che di per sé sarebbe solo palliativa, ma quello che si fa a seguito dell’esposizione al virus della rabbia, prima della comparsa dei segni clinici, è l’effettuazione della profilassi post contagio, che consiste nella somministrazione di siero immune e vaccino”.
Si tratta di terapie abbastanza dolorose che, però, scongiurano la morte o danni permanenti all’organismo. Per quel che riguarda la profilassi vaccinale, “il vaccino esiste ed è efficace sia nel cane sia nell’uomo. La rabbia, infatti, è una delle malattie infettive storiche, descritta addirittura anche nella mitologia greca nella figura della dea Lissa, la divinità della rabbia (da cui il nome del genere Lyssavirus, di cui il virus della rabbia fa parte)”, prosegue la dottoressa Marenzoni. “Nel 1885 Pasteur ha somministrato il primo vaccino nei confronti della rabbia a un bambino morso da un cane rabido. E questo ha costituito uno dei più grandi successi delle terapie vaccinali, riuscendo a rendere la malattia prevenibile”.
“Parallelamente alla vaccinazione dell’uomo, è stata portata avanti anche la vaccinazione negli animali. Quella nel cane e nel gatto ha permesso di eliminare il ciclo urbano della trasmissione della rabbia in alcune nazioni europee e del mondo, come per esempio in America. È possibile, ma ovviamente più difficile, vaccinare gli animali selvatici, perché ci sono tante specie sensibili e non è facile somministrare loro un vaccino. Non dimentichiamo, però, che in Italia abbiamo avuto un focolaio tra il 2008 e il 2011, in Friuli-Venezia Giulia, Veneto e province autonome di Bolzano e Trento, e grazie alle vaccinazioni degli animali selvatici si è riusciti a rendere di nuovo indenne quell’area nel 2013, senza nessun caso nell’uomo”.
Normalmente il vaccino antirabbico viene consigliato in situazioni di rischio. In condizioni normali l’Italia è un paese indenne da rabbia e quindi la profilassi vaccinale viene considerato soltanto quando i nostri animali devono viaggiare all’estero, in aree endemiche, o partecipare a esposizioni cinofile dove esistono rischi di morsicature e graffi da parte di soggetti che arrivano da zone dove la malattia è presente.
Il rischio cambia nel tempo
“Va considerato però che il rischio cambia nel tempo: nel 2008 abbiamo avuto in Italia due introduzioni del virus della rabbia a causa dell’ingresso di due volpi rabide. E questo ha cambiato completamente la nostra situazione epidemiologica, per cui siamo passati dal rischio zero a un rischio alto. Adesso dobbiamo considerare che, con lo spostamento di animali da aree endemiche, nuovamente il nostro rischio cambia perché comunque aumenta la probabilità di venire a contatto con soggetti che possono avere la rabbia (anche in fase di incubazione che è lunga, come abbiamo visto). Essendo una malattia molto pericolosa, contagiosa e letale nel 100 per cento dei casi, tutto quello che possiamo fare per prevenire è sicuramente utile rispetto al rischio che possiamo correre per salvaguardare la salute dei nostri amici a quattro zampe. E quindi il vaccino è al momento il migliore strumento che abbiamo a disposizione per la prevenzione”, chiarisce l’esperta.
Concludo dicendo che è molto facile, anche questa volta, demonizzare gli animali e il loro mondo quando è proprio l’uomo che diventa pericoloso per loro e per se stesso. Anche nel caso della rabbia, infatti, basterebbero un po’ di buon senso, controlli efficaci e un briciolo di conoscenza della natura e delle sue leggi per preservare la nostra salute e quella degli amici a quattro zampe che vivono con noi.
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