Dal 17 al 23 giugno, Survival International mobilita l’opinione pubblica con una settimana dedicata ai diritti dei popoli incontattati.
La lotta per l’Amazzonia del capo Raoni, nominato per il premio Nobel, non si ferma
Raoni Metuktire, capo degli indigeni brasiliani Kayapó, è stato nominato per il premio Nobel per la Pace. Dopo 40 anni, la lotta per l’Amazzonia continua.
Non capita spesso di vedere un indigeno dell’Amazzonia con un piattello labiale e un copricapo di piume di macaco gialle che passeggia per le strade di una città europea. Ma alle Cop, le conferenze sul clima organizzate ogni anno (meno questo) dalle Nazioni Unite, succede questo e altro. Abbiamo incontrato Raoni Metuktire alla 23esima Cop che si è tenuta a Bonn, in Germania, nel 2017. Nonostante fosse circondato da sostenitori, il capo della tribù dei Kayapó – il leader indigeno brasiliano più famoso e venerato – ha trovato il tempo per parlarci (nella sua lingua, con l’aiuto di due interpreti).
Siamo qui per chiedere che vengano rispettati i nostri diritti e le nostre terre. Per affermare l’importanza del nostro territorio nella lotta ai cambiamenti climatici, e che quindi non siamo un ostacolo allo sviluppo ma parte della soluzione.
L’Amazzonia, l’ecosistema che ha dedicato la sua vita a proteggere, è di nuovo sotto attacco. Non solo a causa di un presidente incendiario e fuochi dolosi, ma anche di focolai di coronavirus. Tra le vittime si contano il capo Kayapó Paulinho Paiakan, il leader Yawalapiti Aritana Yawalapiti, e almeno altri 600 nativi dell’Amazzonia brasiliana. A circa 90 anni (non si conosce la data di nascita esatta), anche la salute di Raoni è precaria, ed è stato ricoverato per una settimana a luglio per problemi all’apparato digerente. Continua però a essere una figura chiave per la resistenza indigena, tanto da essere nominato per il premio Nobel per la Pace.
Chi è Raoni Metuktire, capo indigeno dei Kayapó
Nato nel cuore dello stato del Mato Grosso, Raoni è cresciuto seguendo lo stile di vita nomadico della sua tribù e quando aveva circa vent’anni sono iniziati i primi contatti dei Kayapó con il mondo esterno, cioè con persone non indigene. A far conoscere il suo volto, il suo carisma e il suo carattere “testardo e indomito” al mondo è stato il regista Jean Pierre Dutilleux che nel 1977 presentò il documentario Raoni al Festival di Cannes, ingaggiando Marlon Brando come narratore della versione inglese. Il film, nominato per l’Oscar come miglior documentario due anni dopo, racconta la lotta del suo protagonista e del suo popolo contro gli invasori.
Da quel momento, Raoni ha utilizzato la sua fama per ampliare il suo messaggio, ovvero che la deforestazione non minaccia solo i Kayapó ma tutta l’umanità. Celebre è la sua amicizia con il musicista Sting, che partecipò al primo incontro dei popoli indigeni dello Xingu nella località di Altamira nel 1989, e che lo stesso anno accompagnò Raoni nel suo primo viaggio fuori dal Brasile per far conoscere la lotta degli indiani dell’Amazzonia.
Negli anni a seguire, il capo Kayapó, “ha raggiunto un tale prestigio ed è diventato talmente influente da sfidare i pregiudizi di molti brasiliani che vedono gli indigeni come persone povere e ignoranti”, scrive Jonathan Watts sul Guardian. Oltre alla nascita del Rainforest Foundation Fund (oggi Rainforest Foundation) per mano di Dutilleux e Sting, un importante traguardo arrivò nel 1993 con la creazione di una delle aree di foresta pluviale protette più vaste al mondo nel territorio dei Kayapó.
Nonostante il successo di Raoni nel diffondere consapevolezza sul ruolo fondamentale degli indigeni come guardiani della foresta, trovando anche l’appoggio di personaggi di potere come gli ex presidenti francesi François Mitterand e Jacques Chirac, negli anni Duemila si è trovato costretto a tornare a combattere un mostro che sembrava sepolto: le dighe di Belo Monte.
I Kayapó e le tribù alleate riuscirono a bloccare il maxi-impianto idroelettrico sul fiume Xingu alla fine degli anni Ottanta, e fu proprio l’incontro di Altamira a convincere potenziali finanziatori come la Banca mondiale a ritirarsi dal progetto. Ma i piani per le dighe iniziarono a concretizzarsi nuovamente e nel 2008 si tenne il secondo incontro dei popoli indigeni dello Xingu, sempre ad Altamira. A quasi vent’anni di distanza, i nativi erano ancora in lotta contro lo stesso nemico.
Questa volta il mostro inghiottì Raoni e tutti gli abitanti dello Xingu e nel 2015 Belo Monte entrò in funzione, alterando definitivamente il corso del fiume.
Belo Monte è un disastro, sta causando la morte dei pesci e della fauna acquatica. Questo ci ha toccato profondamente: i Kayapó e le comunità indigene continueranno a lottare contro questi progetti.
Raoni nominato per il premio Nobel per la Pace
“Raoni è un simbolo vivente della lotta per proteggere la natura e i diritti dei popoli indigeni dell’Amazzonia”. Queste le parole di Toni Lotar, portavoce della Fondazione Darcy Ribeiro, l’organizzazione di antropologi brasiliani che ha presentato la nomina di Raoni per il premio Nobel per la Pace 2020, accettata ufficialmente dal comitato per il Nobel norvegese secondo quanto dichiarato da Lotar.
Anche se non dovesse ricevere il premio, la nomina rappresenta un riconoscimento importante del contributo di Raoni, che non si è mai arreso, nemmeno di fronte all’amara sconfitta di Belo Monte. Ad esempio, nel 2019 è partito alla volta dell’Europa per raccogliere fondi per proteggere il parco nazionale dello Xingu dall’ennesima minaccia: Jair Bolsonaro, un presidente apertamente razzista che ha dato carta bianca per il saccheggiamento dell’Amazzonia in Brasile. Oltre a Papa Francesco, Raoni ha incontrato il presidente francese Emmanuel Macron mentre era padrone di casa al G7 di Biarritz. Durante il vertice, lo scontro frontale tra Macron e Bolsonaro è risultato prima nel rifiuto poi nell’accettazione di quest’ultimo dei fondi offerti dal G7 per far fronte all’emergenza degli incendi in Amazzonia.
Quest’anno si è tenuto un altro incontro storico nel corso del “gennaio rosso” di proteste contro Bolsonaro quando Raoni ha convocato 600 leader indigeni per delineare una strategia di lotta comune contro le politiche del presidente brasiliano. Nel manifesto di Piaraçu, che prende il nome del villaggio Kayapó in cui si è tenuto l’incontro, 45 tribù affermano: “Non accettiamo i cercatori d’oro, le miniere, lo sfruttamento agricolo e la concessione delle nostre terre, non accettiamo i taglialegna, i pescatori illegali, gli impianti idroelettrici e altri progetti … che ci impattano in modo diretto e irreversibile”.
Coronavirus, deforestazione e Bolsonaro: l’Amazzonia oggi
Tutti respiriamo la stessa aria, beviamo la stessa acqua, e viviamo sulla stessa Terra. Dobbiamo proteggerla. Hanno iniziato di nuovo a invadere i nostri territori, i taglialegna e i minatori d’oro non rispettano i limiti della riserva. Non abbiamo i mezzi per proteggere questa grande foresta di cui ci prendiamo cura per voi. Ho bisogno del vostro sostegno, e ve lo chiedo prima che sia troppo tardi.
Il messaggio di Raoni, pronunciato nel 2000, suona spaventosamente attuale a distanza di vent’anni. In esso troviamo le tracce di quello che oggi chiamiamo Sars-CoV-2, un virus che si è impossessato del mondo intero a causa dell’annientamento degli ambienti naturali per mano degli esseri umani. L’emergenza sanitaria ha messo in ginocchio anche i popoli indigeni, con 17mila casi registrati in Amazzonia brasiliana e un tasso di mortalità più che doppio rispetto al resto della popolazione.
Intanto, la deforestazione nel polmone verde del Pianeta è aumentata del 59 per cento e le attività minerarie del 13 per cento nei primi quattro mesi del 2020 rispetto allo stesso periodo l’anno scorso. Dietro a questi numeri allarmanti ci sono le azioni di singoli taglialegna e minatori che portano nella foresta un virus contro cui i nativi hanno poche difese. La Covid-19 e lo sfruttamento di risorse, dunque, sono parti di un unico problema, e la faccia di Bolsonaro è su entrambi i lati della medaglia. “Vuole approfittarsi del virus; secondo lui, gli indios dovrebbero morire”, ha detto il capo Raoni. Una tesi sostenuta dalla Corte suprema brasiliana, secondo cui “il governo continua a ostacolare gli indigeni nell’accedere ai loro diritti” e che ha ordinato a Bolsonaro di creare un piano per proteggerli dalla pandemia.
Chi ascolta Bolsonaro pensa di potere fare quello che vuole contro gli indios, in un clima di totale impunità.
Negli anni, Raoni ha continuato a vivere nella foresta, in contatto con la natura e secondo le tradizioni della sua tribù. Nei momenti più critici è emerso per chiedere agli indigeni di unirsi e al resto del mondo di avvalorare le belle parole riguardo alla necessità di proteggere l’Amazzonia con i fatti. Conserva la memoria di decenni di battaglie – ha visto susseguirsi ben 24 governi brasiliani – e sostiene che “non ci sia mai stato un presidente che abbia rappresentato una tale minaccia per i nativi e la foresta”. Il capo Kayapó è un ponte tra la cultura millenaria dei popoli indigeni e il mondo contemporaneo, e la sua visione va ben oltre a una politica miope che vuole distruggere la foresta e i suoi abitanti per soddisfare gli interessi di pochissimi. Bolsonaro passerà, ma la lotta per proteggere l’Amazzonia, più grande anche di Raoni stesso, continuerà per sempre.
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