Come stanno le donne detenute in Italia, secondo il rapporto dell’associazione Antigone

Il rapporto sulle donne detenute in Italia di Antigone mostra un sistema penitenziario declinato al maschile. Ma presenta proposte concrete per migliorare condizioni e diritti.

Di carcere si parla poco e male. Di donne in carcere, ancora meno. Sono state usate queste parole per presentare il primo rapporto sulle donne detenute in Italia dell’associazione Antigone, dal titolo Dalla parte di Antigone, l’8 marzo, Giornata internazionale dei diritti della donna.

Il rapporto è il risultato delle visite che l’associazione ha effettuato nei mesi scorsi in tutti i luoghi che recludono donne in Italia. “È un viaggio collettivo, realizzato grazie ai nostri osservatori e osservatrici”, ha affermato la presidente nazionale di Antigone e redattrice del rapporto, Susanna Marietti, durante la sua presentazione. L’obiettivo è quello di descrivere la situazione attuale delle donne detenute, mettendo in luce le criticità del sistema penitenziario italiano che finisce per sfavorire la condizione delle donne e di cui si parla ancora troppo poco.

“Il primo rapporto sulle detenute in Italia è un focus su una situazione che è sempre stata considerata ancillare perché la detenzione femminile ha numeri da sempre più bassi”, ci ha raccontato Valeria Verdolini, presidente di Antigone Lombardia, con cui abbiamo commentato alcuni dati.

Quante sono le donne detenute in Italia

Le donne detenute in Italia rappresentano il 4,2 per cento della popolazione, un dato che è stabile da ormai molti anni. Questo significa che ci sono 8 donne detenute ogni 100mila abitanti donne, per un totale di 2.392 detenute al 31 gennaio di quest’anno. “Si tratta di piccoli numeri e di scarsa pericolosità sociale”, si legge nel rapporto. Di queste, il 30,5 per cento sono straniere, un dato in calo rispetto al 2013, quando erano il 40,05 per cento delle detenute in Italia. Ci sono invece 182 uomini detenuti ogni 100mila abitanti uomini e 17 donne transgender detenute ogni 100mila abitanti transgender.

Le criticità della condizione delle donne in carcere

La piccola dimensione numerica delle donne nelle carceri ha portato il sistema e soprattutto la struttura detentiva in Italia ad essere “plasmata” sui detenuti uomini, che rappresentano la maggioranza, e quindi a lasciare marginali i bisogni e le necessità delle detenute.

Per le donne si tratta di una discriminazione de facto. Perché non c’è una vera e propria discriminazione, ma nei fatti per ordine numerico alla fine molte delle attività sono pensate per gli uomini, dalla scuola, ai progetti, al lavoro

Valeria Verdolini, presidente di Antigone Lombardia

Infatti, in Italia ci sono solo quattro strutture penitenziarie interamente femminili, che ospitano un quarto delle detenute totali. Gli altri tre quarti si trovano nelle sezioni femminili all’interno di carceri maschili, e nei quattro Istituti a custodia attenuata per detenute madri (Icam).

Salute

Le esigenze igieniche e sanitarie spesso vengono sottovalutate, soprattutto se si considera che le detenute donne hanno necessità diverse rispetto a quelle degli uomini. Il bidet, previsto esplicitamente nei reparti femminili dal regolamento del 2000, è garantito solo nel 66 per cento degli istituti dove sono ospitate donne. La percentuale può sembrare accettabile, ma le eccezioni sono importanti: ad esempio, manca al carcere di Bollate, che ospita 140 detenute, o in quello di San Vittore che ne ospita 79. In un carcere su tre è anche assente un servizio di ginecologia e in due su tre uno di ostetricia.

Poi c’è la salute mentale. Per far capire il quadro è sufficiente e doloroso il dato del 2022, quando 84 persone detenute si sono tolte la vita in un istituto di pena, una ogni 4 giorni, il numero più alto mai registrato. Di queste, 5 erano donne.

Detenute trans

La divisione nelle carceri femminili o maschili avviene secondo il criterio del sesso biologico. Tra le detenute ci sono donne cisgender, per le quali sesso e identità di genere femminile coincidono, ma anche persone di genere maschile alla nascita che però hanno identità di genere e caratteristiche femminili. Ci sono infatti 70 donne transgender nelle carceri italiane, ospitate in apposite sezioni protette all’interno di carceri maschili. Questo significa che la loro è una assegnazione che non corrisponde alla loro identità e si traduce spesso in una detenzione quasi “segregata”.

Nel diritto ordinario è stato fatto qualche passo passi avanti, nel diritto penitenziario un po’ meno. La detenzione transgender è ancora meno visibile.

Valeria Verdolini, presidente di Antigone Lombardia

Detenute con figli

Il tema delle detenute che sono anche madri è delicato e controverso perché va a determinare la libertà e i diritti anche dei loro figli. Al momento ci sono 17 bambini di età inferiore a un anno che vivono in carcere insieme alle loro 15 madri detenute. In Italia, come nella maggior parte dei paesi europei, i bambini possono rimanere in carcere con le loro madri fino al compimento dei 3 anni. La necessità è quella di lavorare caso per caso per trovare soluzioni adatte.

Attività all’interno del carcere 

Le sezioni divise per genere nelle carceri sono, come abbiamo visto, disomogenee. Questo si riflette anche sulle attività, di lavoro, studio, o ricreative, proposte alle detenute. Le attività pensate per le donne sono molto limitate, relegate a quelle più stereotipizzate, come il corso di cucito o “lavoretti” simili. I laboratori, anche specializzanti, sono offerti principalmente agli uomini. Per quanto riguarda le attività ricreative, la situazione non cambia di molto. Anche se ad esempio praticare sport può portare enormi benefici, fisici e mentali. Un esempio positivo è infatti l’Atletico Diritti, la squadra femminile di calcio a cinque che si allena e gioca all’interno del carcere di Rebibbia, il più grande carcere femminile in Europa.

Ci serve qualcosa per dare spazio a noi stessi. Noi donne di Rebibbia col calcio siamo rinate. Quando giochiamo non ci sentiamo carcerate. Non ci sono rivali. Con lo sport si va lontano, anche noi ci riqualifichiamo. Guardate dove siamo arrivate, a fare un campionato col cuore che freme.

Detenute che giocano con l’Atletico Diritti

Sovraffollamento

Il tasso di affollamento delle carceri femminili è del 112,3 per cento e nelle sezioni femminili del 115 per cento, ed è superiore a quello delle carceri maschili. Una situazione che in generale rimane critica.

Tutti questi ostacoli e la necessità di maggiore attenzione alla condizione delle donne in carcere hanno portato l’associazione Antigone a stilare dieci proposte realistiche, fattibili e soprattutto necessarie per i diritti delle detenute.

Quello che sarebbe chiesto è un pensiero. Per pensare diversamente alla condizione femminile. Come ci sono ostacoli legati al gender gap fuori, questo diventa ancora più amplificata nei confronti della donna detenuta.

Valeria Verdolini, presidente di Antigone Lombardia

Le 10 proposte di Antigone per la condizione delle donne in carcere

“Nella legislazione italiana mancano norme che guardino ai bisogni specifici delle donne detenute”, si legge nel report “Allo stesso modo, le norme in materia di organizzazione degli uffici e del personale non adottano una prospettiva di genere e non guardano ai rischi di discriminazione”.

  • Va istituito nel dipartimento dell’amministrazione penitenziaria un ufficio che si occupi di detenzione femminile, che deve essere diretto da esperti in politiche di genere.
  • Vanno previste azioni positive dirette a rimuovere gli ostacoli che le donne incontrano nell’accesso al lavoro, all’istruzione, alla formazione professionale.
  • Le camere di pernottamento delle detenute devono disporre di tutto ciò che è necessario per soddisfare le esigenze igieniche e sanitarie specifiche delle donne, compresi gli assorbenti igienici forniti gratuitamente.
  • Alle donne detenute deve essere assicurato un servizio di prevenzione e di screening dei tumori femminili equivalente a quello delle donne in libertà. In particolare il pap test e il test di screening per il cancro al seno o all’apparato riproduttivo devono essere offerti alle detenute parimenti a quanto avviene nella comunità libera per le altre donne della medesima età.
  • In fase di accoglienza della donna in carcere deve essere assicurato dagli operatori del carcere e da quelli del Servizio sanitario nazionale un approfondito esame diretto a verificare se la donna ha subito violenza sessuale o altri abusi o forme di violenza prima dell’ammissione in carcere. Se durante la detenzione vengono accertati o denunciati episodi di violenza sessuale o altri abusi o maltrattamenti, la donna deve essere prontamente informata del diritto di rivolgersi all’autorità giudiziaria.
  • Alla donna vittima di violenza presa in carico dal punto di vista sanitario, psicologico e sociale durante la detenzione deve essere assicurata continuità di cura una volta fuori.
  • Nelle carceri dove sono recluse donne vi deve essere staff adeguatamente formato e specializzato sulla violenza di genere. Tutto il personale incaricato di lavorare con le donne detenute deve ricevere una formazione relativa alle esigenze specifiche di genere e ai diritti delle donne detenute.
  • Vanno previste azioni dirette a evitare ogni forma di discriminazione basate sul genere nei confronti delle donne che lavorano nello staff penitenziario a tutti i livelli.
  • In accordo con il principio per cui la vita in carcere deve approssimarsi il più possibile a quella nella comunità libera, in tutte le carceri che ospitano sia uomini che donne vanno previste attività diurne congiunte, così da incrementare le opportunità in particolare per le donne detenute.
  • Le carceri e le sezioni femminili devono essere improntate il massimo possibile al modello della custodia attenuata.

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