È stato pubblicato lunedì 11 luglio il nuovo rapporto dell’Ipbes, la Piattaforma intergovernativa scientifica e politica sulla biodiversità e gli ecosistemi delle Nazioni Unite. Il documento è stato curato da 82 scienziati, sulla base di una bibliografia che consta di ben 13mila riferimenti, tra studi e fonti locali d’informazione. Un lavoro durato quattro anni, che viene considerato, per la biodiversità, l’equivalente di quello che produce l’Ipcc per il clima. E i risultato che vi sono contenuti sono inquietanti.
Lo studio dell’Ipbes spiega a chiare lettere che gran parte dell’umanità dipende direttamente dalla sopravvivenza di 50mila specie selvatiche. Fondamentali per l’alimentazione, per la produzione di energia, per l’ottenimento di materiali, per la fabbricazione di medicinali, per il turismo o per altre necessità. In particolare, secondo Marla Emery, tra gli autori del rapporto, “il 70 per cento dei poveri del mondo è legato direttamente ad esse”. Ciò nonostante, le attività dell’uomo continuano ad ignorare pressoché totalmente tale evidenza scientifica.
L’Ipbes spiega infatti che il sovrasfruttamento della biodiversità riguarda il 34 per cento dei pesci esistenti nel mondo e mette in pericolo ad oggi 1.341 mammiferi selvatici, nonché il 12 per cento delle specie di alberi. Basti pensare che il commercio di specie selvatiche è il terzo al mondo tra quelli illegali, dopo la tratta di esseri umani e il traffico di stupefacenti: un business che vale, secondo le diverse stime, tra 69 e 199 miliardi di dollari all’anno. Così, la crisi della biodiversità non ha fatto che intensificarsi nel corso degli ultimi decenni. Arrivando a minacciare direttamente una grande varietà di specie selvatiche, comprese piante, alghe, funghi, fauna terrestre e acquatica.
🌱📗 The @IPBES#ValuesAssessment report on sustainable use of wildlife calls for sustainable management of wildlife to safeguard the well-being of billions of people and halt #biodiversity decline.
Di fronte a tale situazione l’Ipbes propone una serie di soluzioni concrete, praticabili e di immediata efficacia, come ad esempio la riduzione della pesca illegale o l’eliminazione delle sovvenzioni nefaste al sovrasfruttamento delle specie. Ancora, il gruppo di esperti suggerisce di introdurre delle certificazioni per l’uso delle risorse forestali e di imporre una redistribuzione equa dei ricavi legati allo sfruttamento della biodiversità. A favore in particolare delle popolazioni autoctone e nell’ottica di un maggiore rispetto degli equilibri della natura da parte delle nazioni più ricche.
According to the latest @IPBES report, we have to start taking into account all the benefits nature provides to humans! Redefining what it means to have a “good quality of life” is key to living sustainably on Earth. #GASPWorldhttps://t.co/MKkHvPjwCl
— Global Alliance for a Sustainable Planet (@gaspworld) July 12, 2022
Gli scienziati concludono d’altra parte il loro rapporto sottolineando che “l’illusione di un’umanità che possa esistere separatamente dal resto della natura ha condotto a crisi ambientali gravissime, come i cambiamenti climatici o lo stesso declino della biodiversità”. Occorre cambiare registro e farlo da subito. La prima occasione utile per farlo sarà la riunione conclusiva della Cop 15, che non si terrà in Cina come previsto ma dal 5 al 17 dicembre a Montreal, in Canada.
Un pomeriggio di confronto sui temi della biodiversità in occasione della presentazione del primo Bilancio di sostenibilità territoriale della Sardegna.
Dal 2015 i fondi sono aumentati del 136 per cento a livello globale, 25,8 miliardi l’anno. Ma la strada è ancora molto lunga, tra disparità e resistenze.