La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
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Il Coesistenza festival è un luogo per parlare del rapporto tra uomo e fauna selvatica, una relazione complessa ma imprescindibile.
La parola coesistenza, da dizionario, indica l’esistere insieme, il manifestarsi contemporaneamente. Ma se pensiamo alla coesistenza tra l’essere umano e tutto ciò che è natura, come potremmo definirla? In un momento storico in cui il rapporto tra umanità e ambiente è sempre più critico e difficoltoso, è necessario ricordare cosa significa coesistere e, soprattutto, che è qualcosa di possibile. Con questo intento è nato il Coesistenza festival.
Definire la coesistenza non è facile, soprattutto quando si parla del rapporto tra la nostra specie e tutte le altre, animali e vegetali, che si basa su una linea di equilibrio che spesso ci permettiamo di oltrepassare e manomettere. Prima di iniziare il viaggio nella conoscenza di questa parola, di questo concetto, bisogna ricordare che si tratta di un qualcosa di imprescindibile, perché nulla esisterebbe senza. E, ancor di più, che la nostra specie deve essere messa sullo stesso piano delle altre, in caso venisse la tentazione di pensarla un po’ sopra.
“Prima ancora di delineare i dettagli della coesistenza dovremmo chiedere a noi stessi se siamo in grado di concepire una realtà in cui ognuno sia disposto ad accettare una versione di sé pronta ad accettare l’altro”
Un tema così complesso, delicato e ampio, ma soprattutto necessario, va osservato da diverse angolature, va attraversato, sperimentato e vissuto, per essere compreso appieno. Qualcosa di non facile, ed è infatti il motivo per cui tre anni fa è nato un festival che unisce realtà, conoscenze e stimoli proprio per avvicinare in maniera aperta e informata a questa dimensione.
Il Coesistenza festival fa incontrare per tre giorni, quest’anno dal 30 agosto al 1° settembre nelle vie di Lundo, in Trentino, organizzazioni, associazioni, enti parco, ricercatori, scienziati, artisti, giornalisti e appassionati per parlare della relazione tra uomo e natura, “quella con lupi, orsi di certo ma anche cervi, cinghiali e tutto ciò che di ‘selvatico’ entra a contatto con il nostro universo addomesticato”. Non solo, questo verrà fatto attraverso le neuroscienze, l’antropologia, l’etica e lo studio del paesaggio, “come lenti speciali per indagare, interpretare e capire il rapporto fra uomo e natura”.
Si parlerà quindi di quali sono le necessità, le strategie, i limiti della coesistenza attraverso diversi linguaggi e strumenti, per allargare il dialogo e partecipare a una visione comune. “Il festival è pensato come un’occasione in cui ciascuno, seguendo il proprio interesse e le proprie inclinazioni, può imbattersi in spunti di riflessione, dati, racconti, testimonianze e informazioni utili a costruire un intimo e personale idea di relazione fra uomo e ambiente, attribuendo valori e senso a un concetto che rappresenta la base della nostra vita”, spiegano gli organizzatori.
“Siamo convinti che il cammino della coesistenza tra uomo e ambiente naturale non possa essere percorso senza il pieno coinvolgimento delle comunità locali. Per questo abbiamo deciso di rendere il festival in movimento, anno dopo anno, raggiungendo così quante più realtà possibili”, racconta Francesco Romito, vicepresidente di Io non ho paura del lupo, associazione che insieme a Pams Foundation ha avviato la visione di questo festival. “Dopo l’Altopiano della Lessinia, la Valle di Ledro, ora il Festival è lieto di approdare nelle Giudicarie, un territorio magnifico dove la natura si è sviluppata a fianco delle comunità umane”.
Sono infatti importantissime le storie e le esperienze di tutti i territori che rappresentano esempi positivi di questo rapporto, con i lupi e gli orsi soprattutto, dimostrando che la risposta non è la polarizzazione, ma la collaborazione consapevole di tutte le parti coinvolte, abbracciando le complessità di questo tema. Storie che dimostrano che la coesistenza non è una possibilità, ma è l’unica via possibile.
“La coesistenza ha radici che affondano nella necessità, più che nella possibilità. E senza essa, probabilmente, nemmeno noi saremmo possibili”.
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