Dopo aver raccontato la battaglia delle donne contro l’Isis, la regista Benedetta Argentieri torna in Siria per documentare la rivoluzionaria trasformazione in atto con il film Blooming in the desert.
Sono sopravvissute all’aridità della guerra e del fondamentalismo e ora stanno sbocciando come fiori nel deserto. Sono le donne di Raqqa, protagoniste del documentario Blooming in the desert (“Fiorire nel deserto”), della giornalista e regista Benedetta Argentieri che, come nel precedente I am the Revolution, torna a offrire all’Occidente uno sguardo inedito e spiazzante su questa parte di mondo, dove le donne stanno riscrivendo il futuro del loro popolo e rivoluzionando un paradigma che le ha a lungo imprigionate.
Girato tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, poco prima che la pandemia fermasse il mondo, questo short doc ora ci mette a tu per tu con tre protagoniste coraggiose che con il loro quotidiano impegno stanno cercando di dare un volto nuovo a una terra martoriata da anni di oppressione. Sono esempi concreti di quello che il Movimento delle donne sta facendo nel nord est della Siria, dove l’esperienza di una democrazia nata dal basso (con l’adozione della Carta del contratto sociale del Rojava-Siria) ha permesso alle donne di assumere nuovi ruoli nella società, superando quel limite che la tradizione aveva loro da sempre imposto.
È proprio qui, in questo contesto di confederalismo democratico, talmente capillare e strutturato da sfidare persino le democrazie più avanzate, che il documentario Blooming in the desert ci accompagna. È qui che conosciamo Maryam, Hind e Awatef, grazie allo sguardo discreto e acuto della regista, che “come una mosca” le ha seguite senza interferire, per mostrarci la loro nuova vita, fatta di diritti e poteri che non avevano mai nemmeno osato sognare. Né ai tempi del regime di Bashar al-Assad, né tantomeno durante l’oppressione del Califfato, quando le donne potevano uscire di casa solo con il burka, coprendosi il viso, gli occhi e le mani.
Le donne a Raqqa soffrivano già di schiavitù domestica, tradizioni obsolete e cultura patriarcale, ma quando Isis ha preso la città, sono state persino private dei loro diritti umani fondamentali.
Maryam Ibrahim, co-presidente del Movimento delle donne di Raqqa
Presentato a Milano all’evento Cinema in giardino, che ha visto ospite anche la regista per un dialogo sul tema del cinema indipendente, Blooming in the desert è ora visibile sulla piattaforma Open Ddb, attraverso una donazione che contribuirà a sostenere il lavoro delle donne di Raqqa.
Blooming in the desert, la trama del documentario
Due anni dopo la sconfitta di Isis a Raqqa, (liberata il 17 ottobre 2017 dalle Forze democratiche siriane), le macerie invadono ancora le strade della città, in uno scenario desolante. A dare nuova speranza alla popolazione è il Movimento delle donne.
Seguendo tre di loro, Maryam Ibrahim, Hind Abdulaziz e Awatef Al Issa, scopriamo la quotidianità di una città che sta tentando di curare ferite profondissime, dove la violenza degli estremisti ha traumatizzato i bambini e diviso le famiglie, seminando morte e distruzione. Ma è proprio qui che stanno germogliando i fiori seminati da altre donne coraggiose: le soldatesse della Ypj (Unità per la protezione delle donne) che, dopo aver contribuito alla sconfitta militare dell’Isis, hanno preparato il campo per la trasformazione sociale e politica ora in atto. Una trasformazione che oggi viene portata avanti da donne come Maryam, Hind e Awatef, impegnate su diversi fronti nella ricostruzione di una nuova società, fondata sui principi della Federazione democratica della Siria del Nord: autogoverno, ecologia, autodifesa e liberazione delle donne.
Più dell’80 per cento di Raqqa è stata distrutta, ma questa devastazione contrasta con l’energia e l’entusiasmo delle donne e delle persone che vogliono andare avanti.
Benedetta Argentieri, regista
One year ago today, I started shooting in Raqqa. It was the first time women took to the streets for November 25. It was…
Il Movimento delle donne nel nord est della Siria affonda le radici nel processo di emancipazione femminile avviato dalle donne curde turche ai tempi del Pkk e affermatosi poi nel Rojava, dove le milizie del Ypg (Unità di protezione delle donne) hanno contributo alla liberazione di quest’area dall’oppressione dell’Isis. Qui ha preso vita un nuovo sistema di organizzazione della società che fonda le sue radici sui principi del femminismo, dell’ecologia sociale e del municipalismo libertario, che trascende lo stato e prende il nome di Confederalismo democratico.
“Oggi il movimento delle donne è uno dei pilastri del confederalismo democratico in tutte le strutture, a partire dalla municipalità”, spiega la regista. “Ciò Significa che a capo di queste strutture ci devono essere sempre sia un uomo che una donna. Quella delle donne è una struttura che corre parallela a quella degli uomini, che non possono interferire con le decisioni del movimento. Quindi ci sono spazi in cui si lavora insieme, ma senza reciproca dipendenza”. Questo sistema, che prevede l’elezione dei rappresentanti tramite assemblee, ha di fatto “allargato gli spazi per le donne, cui prima veniva impedita la partecipazione diretta, aprendola a tutti i livelli”.
Volevo mostrare come è possibile il cambiamento e come una società può risorgere. Volevo mostrare le tante difficoltà che stanno attraversando queste donne.
Benedetta Argentieri, regista
Maryam, Hind e Awatef: chi sono le protagoniste di Blooming in the desert
Per scegliere le sue protagoniste la regista racconta di aver svolto un’accurata ricerca: “Abbiamo contattato il Movimento delle donne e spiegato loro il progetto. Con il loro aiuto abbiamo fatto una serie di interviste per trovare le persone giuste. Volevamo mostrare diversi aspetti di come si costruisce il confederalismo democratico e quale ruolo possono avere le donne”. La ricerca ha dovuto tenere conto anche di un altro aspetto cruciale, in un luogo che è ancora bersaglio dell’odio estremista. “Non tutte sono pronte ad esporsi così tanto. Loro ricevono tantissime minacce di morte e per noi era importante anche preservarle da ulteriori pericoli. Purtroppo ci sono stati tanti attacchi ed esecuzioni contro le donne da parte di cellule dormienti di Isis”.
È così che la regista ha scelto di dare voce a Maryam Ibrahim, co-presidente e coordinatrice del Movimento delle donne nella regione di Raqqa che, dopo aver vissuto qui sotto lo Stato Islamico, è fuggita per aiutare le Forze democratiche siriane prima che la città fosse liberata. “Dopo la liberazione ci siamo organizzate, ma oggi stiamo organizzando altre donne nella città e nella campagna di Raqqa”, racconta Maryam rievocando il periodo più nero della sua vita. “Non avrei mai immaginato che un giorno sarei stata in politica o in qualsiasi altro campo diverso dall’essere a casa”.
Un altro aspetto fondamentale per ricompattare il tessuto sociale è quello culturale. Ecco perché il documentario mostra il lavoro della diciannovenne Hind Abdulaziz, membro del comitato culturale e artistico di Raqqa. Scappata dalla città assediata dall’Isis anche lei è tornata dopo la liberazione e ora si adopera per far rivivere la musica tradizionale, partecipando anche come cantante e musicista nella Raqqa Folklore Band. “Durante il periodo dell’Isis non erano ammessi canti o folklore. Per la religione erano considerati peccato e quindi proibiti”, racconta Hind nel documentario.
La terza protagonista di Blooming in the desert è Awatef Al Issa, responsabile dell’area delle donne nel comune di Raqqa. Oggi capostipite della sua famiglia, Awatef ha iniziato a lavorare in una panetteria a Qamishlo dopo essere dovuta scappare da Raqqa, lasciandosi alle spalle tutto ciò che aveva. Nel documentario la vediamo mentre porta aiuti concreti e sostegno umano alle persone più bisognose e vulnerabili. Spiega: “Attualmente, il nostro progetto principale è un programma di supporto comunitario basato sul sostegno alle famiglie povere della comunità, per eliminare le piaghe sociali che derivano dalla povertà”.
Si è creato un rapporto molto bello con le protagoniste. Ogni volta si viene accolti così nella vita delle persone si crea rapporto di ammirazione e gratitudine.
Benedetta Argentieri, regista
Una rivoluzione che non si ferma
Da tempo impegnata come corrispondente dal Medio Oriente, la regista aveva già iniziato a raccontare la rivoluzionaria portata del Movimento delle donne con il documentario I am the Revolution, uscito nel 2018 e presentato in Italia al Riviera international film festival. Un vero e proprio viaggio tra Afghanistan, Iraq e Siria, con protagoniste altre tre donne leader, impegnate a combattere per la libertà e l’uguaglianza di genere in mezzo alla guerra e al fondamentalismo. Blooming in the desert oggi arriva come il naturale prosieguo di questo documentario, come ci racconta la regista. “Nell’estate del 2017, stavo girando I am the Revolution nella periferia di Raqqa, dove Rojda Felat, comandante delle Forze democratiche siriane, stava guidando la liberazione della città dall’Isis. Qui abbiamo visto che, accanto alla conquista territoriale, era in atto una rivoluzione. La loro era prima di tutto una lotta politica che aveva come obiettivo centrale l’uguaglianza delle donne”.
Due anni dopo quel giorno, Benedetta Argentieri ha deciso di tornare a Raqqa proprio per vedere da vicino la trasformazione di cui ci le aveva parlato Felat. “Aveva ragione”, ammette la regista. “Nonostante le violenze subite le donne di Raqqa hanno continuato a lottare per i loro diritti e stanno ricostruendo la loro città”.
Un momento simbolico cui Benedetta Argentieri ha assistito personalmente e che l’ha molto colpita è stata la prima marcia per la violenza sulle donne, svoltasi a Raqqa il 25 novembre 2019. “Centinaia di donne sono scese in strada, gridando slogan e portando striscioni. Sono rimasta scioccata. Non mi sarei mai aspettata di vedere così tante persone”.
È stata una bellissima esperienza per me vedere come questa popolazione araba abbia abbracciato il confederalismo democratico e vedere tutte queste donne che sono entusiaste nel partecipare alla costruzione della società.
Benedetta Argentieri, regista
Ad aiutare la regista e la sua piccola troupe tutta al femminile durante le riprese è stato proprio il Movimento delle donne. “Dovevamo essere accorte, per esempio evitando di girare per più di venti minuti nello stesso posto. Inoltre quando siamo andate non c’erano alberghi aperti e l’invasione della Turchia era in un momento di alta intensità, creando momenti di incertezza”.
Uno straordinario esempio di forza
Com’è facile intuire, lavorare in questa parte del mondo oggi richiede non solo coraggio e determinazione, ma anche tanta passione. Quella che ogni volta muove Benedetta Argentieri è legata soprattutto al fascino suscitato in lei dalla forza delle donne che qui ha potuto conoscere da vicino.
“Io ho scelto di fare la corrispondente da queste zone molti anni fa e quando sono arrivata nel nord est della Siria vedere la costruzione di un’alternativa dal basso così avanzata, rispetto persino alla nostra società, per me è stato molto affascinante. In questi anni in cui ho viaggiato molto, per me queste donne sono diventate un esempio di forza e di cosa vuol dire impegnarsi. È affascinante e di grande ispirazione per me vedere che proprio in questi posti, dove gli spazi politici e sociali sono sempre stati a predominanza maschile, oggi si costruisce una vera alternativa che appare quasi impensabile persino per le donne occidentali”.
Essere una femminista qui è la lotta più dura, perché significa scontrarsi con il patriarcato e una mentalità che ha dominato a lungo.
Benedetta Argentieri, regista
Raccontare da vicino l’esperienza di queste donne è diventato per la regista un impegno a offrire una visione più reale e completa di quella generalmente veicolata dalla stampa. “I media mainstream hanno una visione molto ristretta e coloniale rispetto a ciò che è davvero questo tipo di lotta. Tante volte abbiamo visto le donne del Ypj ritratte coi fucili e spogliate del senso politico della loro azione. Coi miei lavori cerco di restituire proprio questo senso politico al movimento delle donne per non lasciare che ci si fermi alla superficie”.
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