L’Italia bandisce dai documenti della Pubblica amministrazione la parola “razza”, ormai scientificamente inadatta: al suo posto si userà “nazionalità”.
- La Pubblica amministrazione non potrà più usare la parola “razza”.
- Lo prevede un emendamento a un decreto votato da tutti i partiti.
- Al suo posto, nei documenti pubblici si userà il termine “nazionalità”.
Alla fine – forse – si è convinto anche il ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare Francesco Lollobrigida, che nelle ultime settimane quella parola l’aveva usata spesso. Il termine razza, d’ora in poi, sparirà da tutti i documenti ufficiali della Pubblica amministrazione: ministeri, uffici pubblici e quant’altro. Al suo posto, semmai, potrà essere usata la parola “nazionalità”.
La razza sparisce per legge
La novità è contenuta nel decreto PA, attualmente in discussione in commissione Affari costituzionali alla Camera, e più precisamente in un emendamento presentato da un parlamentare di opposizione, Arturo Scotto. “Sparisce finalmente la parola “razza” da tutti gli atti e documenti della Pubblica amministrazione – festeggia Scotto sui social – Si elimina un concetto antiscientifico facendo piazza pulita di frasi gravi su razza, ceppi, etnie. Grazie a tutti i gruppi che hanno votato la nostra proposta. Oggi diciamo con forza: mai più!”.
Già, perché la vera notizia è che l’emendamento è stato approvato all’unanimità da tutti gruppi, anche quelli della destra che solamente fino a pochi giorni fa utilizzava la parola razza, insieme alla variante etnia, a spron battuto: portato a giustificarsi dopo aver paventato un rischio sostituzione etnica in Italia dato dalla combinazione del calo delle nascite e dell’aumento dell’immigrazione, il ministro Lollobrigida aveva rincarato spiegando che “siccome la razza è prevista dalla Costituzione, di fatto essa ne afferma l’esistenza”. Aggiungendo: “Sarei anche per togliere quella parola dalla Costituzione, e voterei per l’abolirla se l’accezione che viene data di fatto implica un elemento negativo”.
La Costituzione e Mattarella sulla razza
In effetti la parola razza è presente nella Costituzione, precisamente nell‘articolo 3, ma con due attenuanti non da poco: la prima è che, per quanto ancora al passo coi tempi, la Costituzione rimane comunque un testo scritto nel 1947, in un’epoca storica ben diversa, in un paese da pochissimo uscito peraltro da più di un’esperienza colonialista.
La seconda è che l’articolo 3 (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali”) usa la parola razza proprio censurare ogni tipo di distinzione, razzismo o intolleranza come quelle che avevano contribuito a rendere così bui gli anni della Seconda Guerra Mondiale.
Meglio di tutti, come spesso gli capita, lo ha detto pochi giorni fa il presidente della Repubblica Sergio Mattarella: la Costituzione, ha spiegato il Capo dello Stato, “individua la persona umana, senza differenza, come portatore di diritti, sbarrando così la strada a nefaste concezioni di supremazia basate su razza e su appartenenza...”).
Attenuanti comprese, a quanto pare, anche dalla stessa attuale maggioranza:”Seppur non venga più utilizzato da tempo e sia citato nella Costituzione” ha spiegato il capogruppo di Forza Italia in commissione, Paolo Emilio Russo, quello di razza “è un concetto non più in linea coi nostri tempi, che potrebbe apparire discriminatorio nei confronti di qualcuno. Doveva dunque essere superato”.
Un concetto scientifico ormai superato
Lo stesso Istituto superiore di Sanità, in un documento pubblicato un anno fa sul proprio portale informativo sottolineava quanto il termine razza, abitualmente usato fino ad allora dalla comunità scientifica, sia diventato sostanzialmente obsoleto in seguito ai risultati di molti studi effettuati negli anni Settanta, dopo la scoperta del codice genetico: questi dimostrarono che guardando all’interno del dna le differenze tra quelle che erano definite “razze sono molto piccole, e che anzi tutte sembrano derivare da uno stesso gruppo di antenati comuni, diffusesi poi attraverso le migrazioni globali.
“Le differenze del colore della pelle, degli occhi e dei capelli, pur essendo le prime caratteristiche che l’occhio umano nota e utilizza per catalogare gli individui, sono dunque poco importanti rispetto al dna che è il vero responsabile della struttura e dello sviluppo degli esseri umani” spiegava l’Iss, che concludeva: “Nonostante la scienza oggi abbia ampiamente dimostrato l’assenza di differenze tra gli esseri umani, i pregiudizi razziali restano difficili da estirpare e costituiscono un aspetto sui cui la politica, la sanità, la società e la scienza dovrebbero interrogarsi”. Un monito che, forse, è stato finalmente recepito.
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