Due termini correlati che esprimono concetti leggermente diversi. Abbiamo chiesto aiuto a Vidas per capire.
Cos’è reale? Non prendiamoci troppo sul serio
L’umorismo apre gli orizzonti a infinite interpretazioni del reale, e allora la realtà non è più soltanto inesorabilmente quella che ci fa soffrire e questa rivelazione è già sufficiente ad alleviare il peso dell’esistenza.
E’ un’arte quella di imparare a
vivere dosando nelle giuste proporzioni serietà
e umorismo. La vita è una cosa seria, certo chi lo
negherebbe mai, eppure maestri di tutti i tempi e di tutte le
tradizioni accennano spesso – con un sorriso che sembra celare
molto più di quanto esprime – al fatto che la vita è
un gioco. E anche il gioco è una cosa seria, provate a
chiederlo ai bambini!
Solo un paradosso può spiegare in profondità la
natura di un esperienza così ricca come quella della vita,
di cui siamo protagonisti e spettatori, per invitarci a trovare il
giusto equilibrio. E maestri di vita si rivelano questa volta i
bambini che vivono pienamente un loro gioco, che siano nel ruolo
delle “guardie”, che siano nel ruolo dei “ladri”, che facciano il
“medico” o il “paziente”, in cui l’importante non è essere
da una parte o dall’altra, l’importante è giocare a fondo la
propria parte, recitarla bene, immedesimandovici con passione,
senza però mai dimenticare che quello è solo il ruolo
che si sta momentaneamente giocando, la propria vera
identità e un’altra.
E’ lo stesso invito posto da grandi psicologi e filosofi. Il
dottor Roberto
Assagioli ha sempre posto una grande enfasi ,
nell’ambito del percorso di crescita personale, sul metodo della
sdrammatizzazione e dell’umorismo. “Molte persone – ha scritto –
sono solite prendere la vita, le situazioni, le persone, con
eccessiva serietà; esse tendono a prendere tutto in tragico.
Per liberarsi dovrebbero coltivare un atteggiamento, più
sciolto, più sereno, più impersonale. Si tratta di
apprendere a vedere dall’alto la commedia umana, senza troppo
parteciparvi emotivamente; di considerare la vita del mondo come
una rappresentazione teatrale in cui ognuno recita la propria
parte. Questa va recitata nel miglior modo, ma senza identificarsi
del tutto col personaggio che si impersona”.
Perché la
nostra vera identità non va ricercata
nell'”abito” che portiamo e neppure nell’intestazione del biglietto
da vista o nell’entità del conto in banca, perché le
cose veramente importanti della vita, della nostra vita personale,
riguardano ben altro, riguardano affetti, emozioni, talenti
più o meno sviluppati, valori e ideali, sogni e speranze.
Queste sono le cose reali, le cose veramente importanti nella vita,
l’ascolto e il rispetto delle quali determinano anche il grado di
salute fisica e psichica, e questo è quello che forse
già sappiamo ma che molto spesso dimentichiamo, soffrendo in
modo esagerato per cose che sono poi facilmente ridimensionabili di
fronte alle grandi questioni dell’esistenza.
Ed è qui che l’umorismo si rivela a sua volta grande
maestro perché aiuta a ridare giuste proporzioni ai diversi
aspetti della realtà. Il filosofo Hermann Keyserling aveva
affermato, a questo proposito: “Osservando e vivendo la vita in
modo ampio ed elevato si vede che essa ha dei lati seri, duri,
dolorosi, ma anche degli aspetti lieti, lievi, luminosi e anche
degli aspetti comici, buffi. Questi costituiscono il giusto
contrappeso ed equilibramento di quelli. L’arte di
vivere consiste nell’alternare opportunamente i
diversi elementi e atteggiamenti; e il farlo è in nostro
potere più di quanto si creda”.
Troppa serietà denota anche troppa rigidità,
incapacità di percepire il mondo nei suoi molteplici
aspetti, nei diversi punti di vista, tra i quali ce ne sarà
sempre uno che permetterà di sorridere. Per saper sorridere
di se stessi occorre una grande apertura
mentale e fiducia in se stessi, per non perdere la
propria identità anche se per un momento si perde la propria
dignità; per trovare la sfumatura umoristica anche nella
tragedia occorre una grande fiducia nella vita che non è mai
veramente “contro di noi” anche quando gli eventi sembrano
dimostrare il contrario, c’è sempre una possibilità
di vedere le cose anche in un altro modo, e a volte è anche
l’assurdità di questo tentativo che fa sorridere, che fa
ridere, e la realtà diventa allora più sopportabile,
anche solo per il benefico effetto della risata. “”In una
discussione con mia moglie ho sempre io l’ultima parola”, dice un
uomo all’amico. “Ah, si? E come fai?”. “Le dico: Si cara!””.
L’umorismo apre gli orizzonti a infinite interpretazioni del
reale, e allora la realtà non è più soltanto
inesorabilmente quella che ci fa soffrire e questa rivelazione
è già sufficiente ad alleviare il peso
dell’esistenza. In un racconto di Isaac Asimov, il famoso scrittore
di fantascienza, si arriva a ipotizzare che le barzellette abbiano
origine extraterrestre, messe in circolazione per consentire agli
uomini di “vivere meglio” e di sviluppare maggiori capacità
adattive.
Tra le qualità dell’uomo autorealizzato – senso del giusto,
capacità di interconnessione, lealtà,
vitalità, bellezza, bontà, unicità,
verità, indipendenza – Avraham Maslow, il padre della
psicologia
umanistica, inserisce anche l’umorismo e la
giocosità. Un messaggio per sottolineare la grande
importanza di queste qualità in una persona che abbia ormai
conquistato quella sufficiente dose di fiducia in se stessa e nella
vita per non sentirsi più in contrapposizione e competizione
con gli altri, per non sentirsi più “minacciata” dagli
eventi, ma per riconoscere invece le molteplici possibilità
di interazione e collaborazione che si presentano ogni momento per
migliorare una realtà che condividiamo tutti.
Saper ridere può essere segno di grande
maturità, ma bisogna fare una distinzione. Vi
è una differenza radicale tra comicità – nel senso di
derisione – e umorismo. La prima è antagonistica,
aggressiva, spesso crudele; invece il secondo è pervaso di
indulgenza, di bontà, di comprensione. Consiste nel veder
dall’alto, nella loro vera luce e nelle loro giuste proporzioni le
debolezze umane. E il vero umorista sorride soprattutto di se
stesso
Immagine: Escher,
“Angeli”
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