Il referendum in Cile ha visto la vittoria di chi vuole l’elaborazione di una nuova Costituzione. Che tenga conto, anche, dei diritti dei popoli indigeni.
Il Cile vive un momento storico, dopo che i risultati del referendum del 25 ottobre hanno sancito che la Costituzione redatta sotto il regime di Augusto Pinochet nel 1980 verrà cancellata. Nell’autunno del 2019 erano esplose le proteste contro le disuguaglianze economiche e sociali, eredità del regime, che ancora caratterizzano la quotidianità cilena. E la forza dei manifestanti aveva convinto il presidente Sebastián Piñera a indire il referendum. Oggi il 78 per cento degli elettori si è espresso a favore di una nuova Costituzione. Le strade del paese si sono riempite di persone in festa e tra la folla esultante si sono viste anche bandiere dei popoliindigeni, che potrebbero d’ora in poi ricevere maggiore riconoscimento e tutela.
Una stagione di proteste
Nell’ottobre del 2019 l’aumento del prezzo dei trasporti pubblici a Santiago del Cile aveva portato migliaia di persone in piazza. Il problema non stava tanto nella singola misura, quanto piuttosto in un contesto da anni caratterizzato da tagli all’istruzione, alla sanità, alle pensioni, stipendi medi stagnanti e costo della vita in costante crescita. Ci furono settimane di altissima tensione, con decine di morti, centinaia di arresti e la proclamazione dello stato di emergenza. Questo aveva portato all’annullamento della Conferenza sul clima delle Nazioni unite (Cop25), trasferita in Spagna.
Per i manifestanti, i problemi di oggi del Cile sono collegati alla Carta costituzionale adottata nel 1980 dal dittatore Augusto Pinochet. Le disuguaglianze economiche e sociali che da trent’anni caratterizzano il Cile nascono da qui, ma più in generale la critica ha anche natura politica, per un paese che ancora si fonda su un documento di regime. La Costituzione cilena è totalmente fondata sul neoliberismo. Temi come lo sciopero sono molto limitati, l’accesso gratuito ai servizi sociali pubblici è di fatto inesistente, mentre le privatizzazioni la fanno da padrone. I diritti dei popoli indigeni, minoranza cospiscua nel paese, non trovano poi spazio nel testo. Questo sistema, negli anni, è sempre andato a beneficio di pochi e la Carta costituzionale, per come è stata concepita, non ha mai consentito alcun cambiamento.
Il Cile è un paese dove quasi un terzo della ricchezza nazionale è nelle mani dell’1 per cento della popolazione e nel 2012 le cinque persone più ricche, tra cui il presidente Piñera, detenevano il reddito dei cinque milioni di cileni più poveri. Mentre la base della piramide sociale arranca e i vertici continuano ad arricchirsi sulle sue spalle, l’aumento del prezzo dei biglietti della metropolitana è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. L’organizzazione strutturata delle proteste, che in poco tempo sono passate dai trasporti a tutto il “modello Cile”, hanno convinto il presidente a indire lo storico referendum per una nuova Costituzione. E dalle strade si è così passati alle urne.
La nuova Costituzione
Il referendum doveva tenersi ad aprile, poi l’emergenza coronavirus ha costretto a un rinvio, indebolendo momentaneamente la forza delle proteste. Il 25 ottobre scorso i cittadini sono stati finalmente chiamati alle urne e sulla scheda elettorale era presente un doppio quesito.
“Vuole una nuova Costituzione?”, quello principale, che ha portato il 78 per cento di voti favorevoli. In una seconda scheda, si chiedeva invece in che modo dovesse essere formata l’Assemblea costituente. La maggioranza, in questo caso, ha votato perché il gruppo sia eletto esclusivamente dai cittadini, escludendo la possibilità che esso possa essere composto per metà da membri eletti e per metà dagli attuali parlamentari. Un modo per garantire ai lavori per la nuova Costituzione la massima indipendenza e rottura con il passato.
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“A partire da oggi, dobbiamo tutti collaborare affinché la nuova costituzione sia la cornice per unità, stabilità, e futuro”, ha dichiarato il presidente Piñera. L’Assemblea costituente si insedierà nel 2021, dopo che i cittadini saranno chiamati alle urne per eleggere i suoi membri, e lavorerà al nuovo testo, che dovrà essere pronto per l’anno successivo. A quel punto si terrà un nuovo referendum, che darà alla popolazione cilena la possibilità di approvare o meno la nuova Costituzione. Il focus delle trasformazioni riguarderà quello che è stato il pilastro delle proteste dell’ultimo anno, vale a dire un rafforzamento del welfare state in una chiave di maggiore equità sociale ed economica, ma anche una serie di trasformazioni nel mercato del lavoro, tra scioperi e contratti collettivi. Di fatto, la nuova Carta costituzionale avrà un impianto post-liberista.
Sarà un complesso lavoro di mediazione. Come ha sottolineato il presidente Piñera, occorrerà bilanciare “l’eredità delle passate generazioni, la volontà di quelle di oggi, e le speranze di chi verrà domani”. In piazza in effetti in questi mesi ci sono stati un po’ tutti, dagli studenti ai pensionati, dal ceto medio alle minoranze più povere. Nella redazione del nuovo testo bisognerà tenere conto delle loro diverse istanze, ma allo stesso tempo non si potrà ignorare chi ha votato contro la cancellazione dell’attuale Costituzione.
L’iter per la nuova Carta costituzionale, insomma, si preannuncia intricato, ma per il momento a prevalere è la gioia collettiva. Migliaia di persone si sono riversate in piazza per festeggiare l’esito del referendum e la nuova epoca che si apre, tra balli, fuochi d’artificio e bandiere. E tra queste sono emerse anche quelle dei popoli indigeni cileni.
Una nuova era per i Mapuche e gli altri popoli indigeni
Il Cile è l’unico paese dell’America latina con una Costituzione che non riconosce l’esistenza dei popoli indigeni, per il semplice fatto che essi non vengono mai nominati nel testo. Un paradosso, se si pensa che circa il 13 per cento della popolazione del paese si identifica come indigena. Questo ha reso la loro vita negli ultimi 40 anni molto difficile, privi di diritti sulle terre ancestrali e senza alcuna forma di tutela nei confronti della propria cultura e delle proprie tradizioni.
Ecco perché se c’è qualcuno che più di tutti si augurava la vittoria del sì al referendum per la nuova Costituzione, quello era proprio il folto gruppo dei popoli indigeni, rappresentato in particolare dai Mapuche. Considerati da sempre cittadini di seconda categoria da parte delle istituzioni, vittime in diverse occasioni nel corso della storia recente di violenze e repressioni, da quando nell’autunno scorso sono esplose le manifestazioni antigovernative i Mapuche sono scesi in piazza al fianco degli altri cittadini cileni, un’alleanza che ha fatto da megafono alle loro rivendicazioni da anni soffocate. E nelle scorse ore, con il successo al referendum, nelle strade di Santiago del Cile e delle altre città del paese è comparsa nuovamente la Wenufoye (“canelo del cielo”), il simbolo del popolo Mapuche.
Per loro e per gli altri popoli indigeni si prospetta l’inizio di una nuova era. Nell’Assemblea costituente verranno riservati dei posti a loro rappresentanti, così che le loro richieste non restino ancora una volta inascoltate, ma possano trovare casa nel nuovo testo costituzionale.
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