Circa 40.000 persone hanno sostenuto le richieste indigene, che si oppongono a un progetto di revisione del trattato fondativo della Nuova Zelanda.
Perché i catalani vogliono tenere un referendum sull’indipendenza nel 2017
Perché si tiene il referendum in Catalogna sull’indipendenza se è già una regione autonoma? Tutto è pronto per il voto – anche se è stato dichiarato anticostituzionale. Si terrà e, se sì, cosa decideranno i catalani?
La Catalogna ha un suo parlamento, un suo inno, una sua bandiera e due lingue ufficiali, il castigliano (lo spagnolo) e il catalano. Come tutte le 17 regioni spagnole è una comunità autonoma. Il suo governo, una coalizione di partiti separatisti di destra e di sinistra, vorrebbe che la regione fosse libera di decidere se “staccarsi” dal governo di Madrid, diventando indipendente. Così ha indetto un referendum, teoricamente in programma per il primo ottobre, scatenando una profonda crisi politica a livello nazionale che vede schierati da una parte le corti spagnole e il governo centrale del primo ministro Mariano Rajoy, dall’altra il governo catalano o Generalitat guidato dal presidente Carles Puigdemont e decine di migliaia di manifestanti scesi in piazza a sostegno del referendum.
Cos’è il referendum per l’indipendenza della Catalogna 2017
Il 9 giugno Puigdemont ha annunciato che si sarebbe tenuta una consultazione sull’indipendenza in cui i cittadini sarebbero stati chiamati a rispondere alla domanda: “Volete che la Catalogna sia una repubblica indipendente?”. La data era stata fissata per il primo ottobre, dopo che il parlamento regionale ha adottato il 6 settembre la Ley del referéndum de autodeterminación vinculante sobre la independencia de Cataluña – sostenuta da 72 voti a favore, il numero minimo necessario, mentre 52 parlamentari si sono astenuti lasciando l’aula in segno di protesta. Secondo la legge se dovesse vincere il “sì”, il risultato sarebbe vincolante, nonostante il referendum non preveda quorum. Se invece dovesse vincere il “no” si andrebbe alle elezioni regionali anticipate.
La Corte costituzionale spagnola non ha esitato a esprimersi sull’approvazione della legge: il giorno seguente, infatti, l’ha sospesa perché viola la Costituzione. Il governo spagnolo è intervenuto duramente per far rispettare la sentenza. Sono stati arrestati 14 funzionari del governo catalano coinvolti nell’organizzazione del referendum, perquisiti gli uffici di enti governativi locali e della no profit Fundació puntCat che gestisce i domini internet catalani (quelli che terminano in .cat), sequestrati materiali elettorali come cartelli, urne e oltre 10 milioni di schede e congelati i fondi del governo catalano. Inoltre, la Corte costituzionale ha imposto multe da 6 a 12mila euro al giorno per i funzionari che continueranno a organizzare il referendum.
Come ha reagito il governo catalano
Il Generalitat si è espresso duramente sulle azioni del governo di Madrid anche sui social, ad esempio twittando, “Pensiamo che il governo spagnolo abbia oltrepassato la linea rossa che lo separa dai regimi autoritari e repressivi”.
“Lo stato spagnolo ha sospeso di fatto l’autogoverno della Catalogna”, questa è stata la condanna di Puigdemont che, oltre a sostenere che “in questo modo il governo spagnolo viola la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”, ha reso chiare le intenzioni del suo governo di procedere con la votazione. È la Costituzione spagnola stessa a prevedere che il governo centrale possa intervenire direttamente negli affari di una comunità autonoma nel momento in cui questa non rispetta i suoi obblighi costituzionali – ma in teoria, come prevede l’Articolo 155, la sospensione dell’autogoverno può avvenire solo se sostenuta da una maggioranza in Senato.
#President @KRLS: “Considerem q el Govern espanyol ha ultrapassat la línia vermella que el separava dels règims autoritaris i repressius”
— Govern. Generalitat (@govern) 20 settembre 2017
Di fatto le azioni del governo di Mariano Rajoy potrebbero giocare a suo sfavore qualora il referendum dovesse tenersi. Come dimostrano le molteplici manifestazioni spontanee nelle piazze catalane a favore dell’indipendenza e contro il governo centrale, e la distribuzione di un milione di schede da parte dei sostenitori del referendum, la durezza della risposta dell’esecutivo potrebbe spingere più cittadini nelle braccia della fazione di Puigdemont, il quale sostiene che:
“Siamo arrivati a questa situazione inaccettabile dopo aver chiesto a Madrid di aprire un dialogo politico decine di volte… invece di dialogare, il governo spagnolo ha scelto di affidarsi alla polizia e ai giudici, portandoci oltre i limiti di una democrazia che si rispetti”
Perché un referendum in Catalogna proprio ora
È negli ultimi dieci anni che la miccia del nazionalismo catalano si è accesa in maniera così esplosiva. Nel 2006 i parlamenti catalani e spagnoli hanno approvato uno statuto per garantire alla Catalogna più poteri e controllo delle sue finanze, un’integrazione dello Statuto di autonomia del 1979, documento in cui vengono ufficialmente riconosciute la “nazionalità” catalana e il catalano come lingua ufficiale (insieme al castigliano). Questo rafforzamento dell’autonomia è stato sostenuto dall’allora primo ministro José Luis Rodríguez Zapatero – che ha portato avanti riforme sociali progressiste come la legalizzazione dei matrimoni gay.
Nel 2010 la Corte costituzionale spagnola ha annullato alcune parti dello Statuto, sostenendo che non esistono basi legali per riconoscere la Catalogna come una “nazione” all’interno della Spagna. Questo ha scatenato l’ira di più di un milione di catalani che sono scesi in piazza il 10 luglio dello stesso anno in una manifestazione chiamata “Siamo una nazione, e vogliamo decidere”.
La sentenza della Corte è coincisa con una crescita del nazionalismo catalano in risposta anche alla crisi economica che ha colpito la Spagna a partire dal 2008. La popolazione della Catalogna, intorno ai 7,5 milioni di abitanti, corrisponde al 16 per cento di quella spagnola ma la regione – motore economico del paese – genera circa il 20 per cento del prodotto interno lordo (pil) e il 25 per cento delle esportazioni. La crisi ha contribuito a scaldare gli animi degli indipendentisti, secondo i quali la regione paga troppo allo stato centrale per risolvere i problemi di quelle più povere: secondo il Generalitat il deficit fiscale, cioè le tasse che paga allo Stato meno i contributi che riceve, è di circa 15 milioni di euro, l’8 per cento del pil regionale – il ministero del Tesoro di Madrid sostiene invece che la cifra si è aggirata intorno ai 10 milioni di euro nel 2014, il 5 per cento del pil catalano. In questo clima, i separatisti hanno avanzato l’ideologia del nazionalismo come l’unica soluzione possibile alla crisi, a causa della quale la Catalogna ha raggiunto livelli di disoccupazione del 19 per cento.
Al referendum vincerebbe il sì?
I governi regionali degli ultimi anni hanno progressivamente stretto la morsa sulla possibilità di indire un referendum, anche se non è chiaro se la maggioranza dei cittadini voterebbe a favore dell’indipendenza. Gli stessi sondaggi del governo catalano condotti dal Centre d’estudis d’opinió a luglio hanno trovato che il 41 per cento della popolazione vorrebbe staccarsi da Madrid. A novembre 2014, l’80 per cento dei votanti si è espresso a favore dell’indipendenza in un referendum consultivo indetto dal precedente presidente catalano, Artur Mas – che ha ignorato la sentenza della Corte costituzionale che aveva dichiarato il referendum illegittimo e che per questo non potrà coprire incarichi pubblici per due anni, sentenza emessa a marzo di quest’anno. Ma nella consultazione di tre anni fa hanno votato solo 2,3 milioni sui 5,4 milioni aventi diritto.
Una breve storia del separatismo catalano
Il separatismo catalano si fonda su un percepito diritto all’autodeterminazione basato su un’identità culturale storica distinta da quella spagnola. È vero che la regione in passato è stata un’entità politica indipendente, a partire soprattutto dall’Undicesimo e dal Dodicesimo secolo con il consolidamento della Contea di Barcellona, zona di frontiera dell’impero carolingio. La sua effettiva integrazione nel Regno di Spagna avvenne l’11 settembre 1714 quando finì l’assedio di Barcellona e la fazione alleata a Carlo VI d’Asburgo venne sconfitta dall’esercito franco-spagnolo di Filippo V, il primo re borbone di Spagna. Questa data viene ricordata come “La giornata nazionale della Catalogna”, giorno in cui molti separatisti scendono in piazza, e addirittura commemorata durante le partite di calcio del Barcellona, quando i tifosi fanno cori a sostegno dell’indipendenza al minuto 17:14.
Successivamente, l’autonomia catalana e l’utilizzo della lingua regionale vennero soppresse a favore del consolidamento di una nazione spagnola centralizzata. Nel Diciottesimo secolo, in concomitanza con la forte industrializzazione della regione e un rinascimento culturale catalano, emerse il nazionalismo regionale. Quando nel 1931 la Spagna divenne una repubblica venne restaurato il Generalitat – ma quest’autonomia vide un periodo di dura repressione durante il regime del generale Francisco Franco che prese controllo della regione nel 1938, fino alla sua morte nel 1975. Fu con l’odierna monarchia parlamentare spagnola nata dalle ceneri del franchismo che venne istituito lo Statuto del 1979, segnando la risurrezione dell’autonomia catalana.
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