Mancano 3.700 GW per centrare l’obiettivo di triplicare le rinnovabili, secondo Ember. Ma ora c’è chi teme un rallentamento della crescita solare dopo anni.
Thailandia, la “regina del solare” apre la strada al fotovoltaico nel Sudest asiatico
Nel 2008 la produzione nazionale era pressoché nulla, circa due megawatt. Poi una brillante imprenditrice, Wandee Khunchornyakong, ribattezzata la regina tailandese del solare, ha ottenuto le autorizzazioni per costruire 34 impianti fotovoltaici nelle soleggiate zone rurali nordorientali della Thailandia. La ricerca dei finanziamenti inizialmente è stata molto difficile perché erano in pochi a credere che
Nel 2008 la produzione nazionale era pressoché nulla, circa due megawatt. Poi una brillante imprenditrice, Wandee Khunchornyakong, ribattezzata la regina tailandese del solare, ha ottenuto le autorizzazioni per costruire 34 impianti fotovoltaici nelle soleggiate zone rurali nordorientali della Thailandia. La ricerca dei finanziamenti inizialmente è stata molto difficile perché erano in pochi a credere che l’investimento fosse rimunerativo. Wandee però non demordeva: era sicura che con un’economia in crescita basata sui combustibili fossili e le risorse domestiche di gas prossime all’esaurimento, l’energia solare avrebbe sostenuto l’autonomia energetica del paese e lo sviluppo sostenibile delle zone rurali.
Così nacque la Solar power company group (Spcg) che, già nel 2014, è arrivata a produrre 250 megawatt di energia pulita, con un risparmio di oltre 200mila tonnellate di CO2 l’anno, equivalenti al traffico di 40mila auto o 500mila barili di petrolio, secondo i dati della Banca Mondiale che ha sostenuto l’investimento.
Oggi Spcg è il maggiore fornitore di energia solare della Thailandia con il 20 per cento del totale e mira a raddoppiare la produzione fino a 500 megawatt entro il 2020. Nel 2013 Khunchornyakong ha ricevuto il titolo di imprenditrice dell’anno e nel 2014 il Lighthouse Activity Award da parte della Convenzione quadro delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici (Unfccc) che premia progetti contro il riscaldamento globale e allo stesso tempo affrontano sfide economiche, sociali e ambientali più ampie: tra queste l’empowerment delle giovani donne.
Occorre riconoscere anche il merito del governo tailandese che, comprendendo la necessità di dover diversificare il portafoglio energetico, ha offerto incentivi non solo ai grandi impianti fotovoltaici ma anche alla piccola produzione individuale o locale che ha aperto molte opportunità di sviluppo alle comunità isolate, cioè non raggiunte dalla rete elettrica nazionale, e nelle quali le emissioni di gas serra, secondo dati dell’Onu, sono aumentate del 70 per cento tra il 2000 e il 2010.
Ora Spcg guarda anche ai paesi vicini, ad esempio alla Birmania (Myanmar) dove solo il 13 per cento della popolazione ha accesso all’elettricità e più di 43 milioni di persone devono scegliere se rimanere al buio o ricorrere ai generatori a diesel, costosi e inquinanti. Durante la conferenza sul clima di Parigi del 2015 (Cop 21), il primo ministro Prayut Chan-o-cha ha dichiarato che la Thailandia ha un piano per ridurre le emissioni del 20-25 per cento entro il 2030 attraverso una convinta adesione allo sviluppo sostenibile e l’aumento delle energie rinnovabili. L’obiettivo è arrivare a produrre circa 6.000 megawatt grazie al fotovoltaico entro il 2036, pari al 30 per cento del mix di rinnovabili e al 9 per cento del fabbisogno elettrico totale del paese. Sembra lontanissimo il 2014 quando il solare copriva solo il 4 per cento di un fabbisogno molto più contenuto. Dunque, lunga vita alla regina tailandese del solare.
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