Aumentano i giornalisti uccisi e incarcerati. La Cina è il paese con più giornalisti in carcere, ma il posto più pericoloso rimane il Sudamerica.
Reporter senza frontiere. Cala il numero di giornalisti uccisi nel mondo
Quasi dimezzato il numero di giornalisti morti nel mondo. Sono stati 49 nel 2019, rispetto agli 80 dello scorso anno.
Nel corso del 2019 il numero di giornalisti uccisi in tutto il mondo è calato di circa il 40 per cento rispetto all’anno precedente. Arrivando così a registrare “un calo storico”. A spiegarlo è il bilancio annuale dell’associazione Reporter senza frontiere, secondo il quale il numero di morti è stato pari a 49, di cui 46 uomini e tre donne. Nel 2018 il totale era stato pari a 80.
L’Africa il continente più pericoloso sommando uccisioni e detenzioni arbitrarie
Nello specifico, i reporter uccisi sono in 36 casi professionisti, in dieci non professionisti e in tre collaboratori di alcuni organi d’informazione. In termini geografici, è l’Africa la macro-regione più pericolosa per i giornalisti, se si tiene conto non soltanto del numero di morti (un sesto dei reporter uccisi proviene da una nazione africana) ma anche delle detenzioni arbitrarie: sono infatti 47 i professionisti imprigionati nel continente, la maggior parte dei quali in Egitto.
Nella nazione nordafricana, infatti, sono in tutto 29 i giornalisti reclusi, “molti dei quali senza neanche essere stati messi al corrente delle accuse mosse nei loro confronti. In questo senso l’Egitto fa perfino peggio dell’Arabia Saudita. Tra le persone arrestate c’è anche la blogger Esraa Abdel Fattah, nota per aver avviato uno sciopero della fame per denunciare i trattamenti disumani subiti nel corso del suo interrogatorio.
#UPDATE Forty-nine journalists were killed across the world in 2019, Reporters Without Borders said Tuesday, the lowest death toll in 16 years https://t.co/BfBJGxwtv9 #RSF pic.twitter.com/3roVIsUuE5
— AFP news agency (@AFP) December 17, 2019
In particolare, è la Somalia che – per il terzo anno consecutivo – risulta la nazione africana più pericolosa. Qui hanno perso la vita la reporter del canale Youtube Integration Tv Hodan Nalayeh, il corrispondente di Seychelles Sbc Tv Mohamed Sahal Omar e ancora il cameraman Abdinasir Abdulle Ga’al. Ma anche in Libia, Ciad e Nigeria si sono registrate uccisioni. Così come in Ghana, dove il giornalista d’inchiesta e corrispondente della Bbc, Ahmed Hussein Suale, è stato crivellato di colpi d’arma da fuoco nella sua vettura ad Accra.
Reporter senza frontiere ha quindi specificato che più della metà dei giornalisti uccisi ha perso la vita in zone di pace. “Il Messico ha registrato dieci morti, come nell’anno precedente”, specifica il rapporto dell’associazione. Il che fa della nazione cento-americana la più pericolosa al mondo, al pari della Siria. In America Latina, il totale dei reporter uccisi è stato pari a 14, il che rende il continente più pericoloso anche del Medio Oriente.
“Per i giornalisti sta comparendo la frontiera tra zone di guerra e di pace”
Più in generale, il rapporto sottolinea come le zone di guerra (non solo Siria, a anche Iraq, Yemen o Afghanistan) siano risultate meno pericolose rispetto allo scorso anno: “La frontiera tra paesi in conflitto e in pace sta scomparendo per i giornalisti”, ha spiegato il segretario generale Christophe Deloire.
#BilanRSF 2019 :
→
10
20
30
49 journalistes tués
50
57 journalistes otages
60
70
80
90
100
200
300
389 journalistes emprisonnéshttps://t.co/sejAPPemQC— RSF (@RSF_inter) December 17, 2019
A livello globale, il numero di giornalisti reclusi è pari a 389, in crescita del 12 per cento rispetto al 2018. Si tratta di un dato giudicato “particolarmente preoccupante”, anche in ragione “del moltiplicarsi degli arresti legati ai movimenti di protesta che sorgono nel mondo, in particolare in Algeria e ad Hong Kong, ma anche in Cile e Bolivia”. Ciò nonostante, quasi la metà dei reporter reclusi (186) è dietro le sbarre in sole tre nazioni: Cina, Egitto e Arabia Saudita.
Infine, l’associazione riferisce di 57 giornalisti tenuti in ostaggio nel mondo: una cifra in questo caso quasi identica a quella del 2018, concentrata in Siria, Yemen, Iraq e Ucraina. Nessuna liberazione è stata registrata nel corso di quest’anno.
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