L’ong Reporter senza frontiere tiene traccia degli arresti di giornalisti dal 1995, ma non aveva mai registrato un numero così alto. A fine 2021 sono 488.
Pham Chi Dung ha 55 anni e dovrà passare i prossimi 15 dietro le sbarre. La sua colpa? Aver fondato l’Associazione dei giornalisti indipendenti del Vietnam, in un paese in cui i media sono di proprietà del partito comunista al potere e ne seguono pedissequamente le linee guida. Ammonta a 15 anni anche la condanna inflitta ad Ali Aboluhoom per aver pubblicato dei tweet ritenuti blasfemi dalle autorità saudite. Questi sono due dei 488 giornalisti e operatori dell’informazione che si trovano in carcere per aver svolto il loro lavoro. L’ong Reporter senza frontiere svolge questo censimento annuale dal 1995, ma non ne aveva mai registrati così tanti.
La libertà di stampa sacrificata dai regimi autoritari
I 488 giornalisti rinchiusi in carcere sono addirittura il 20 per cento in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Un altro record è legato al fatto che ben 60 di loro siano donne (il 33 per cento in più rispetto a dicembre 2020). “Il numero estremamente elevato di giornalisti detenuti arbitrariamente è opera di tre regimi dittatoriali”, ha affermato il segretario generale di Rsf Christophe Deloire. “È un riflesso del rafforzamento del potere dittatoriale in tutto il mondo, un accumulo di crisi e la mancanza di scrupoli da parte di questi regimi. Potrebbe anche essere il risultato di nuove relazioni di potere geopolitico in cui i regimi autoritari non sono sottoposti a pressioni sufficienti per frenare le loro repressioni”.
"Mother! I love you! I am not afraid at all. Please take care of your health!" These were the last words of the eminent journalist Pham Doan Trang, sentenced yesterday to 9 years of prison in #Vietnam🇻🇳. @RSF_inter calls for her immediate release.👇 https://t.co/3el1quAJMX
In Myanmar i militari mettono a tacere i giornalisti
Fino all’anno scorso infatti in Myanmar soltanto due giornalisti erano in carcere. Poi i militari hanno ripreso il potere con il colpo di stato del 1° febbraio, e il risultato è che oggi i giornalisti detenuti sono 53, di cui nove donne. Era in strada a filmare le proteste popolari Ma Thuzar, una freelance che lavorava per un’agenzia fotografica birmana e per il Friday Times news journal, costretto a cessare le pubblicazioni ad aprile. Già a maggio quaranta agenti di polizia hanno fatto irruzione nella sua casa e, non trovandola, hanno prelevato il marito (anch’egli giornalista ma ormai in pensione) per poi rilasciarlo cinque giorni dopo. Ma Thuzar si è nascosta per quattro lunghi mesi ma, alla fine, è stata arrestata. Ora si trova nel carcere di Insein, dove vengono reclusi gli oppositori politici.
La repressione nella Bielorussia di Lukashenko
Uno degli arresti più clamorosi risale al 23 maggio 2021, quando un volo Ryanair da Atene a Vilnius, con 171 passeggeri a bordo, è stato dirottato a Minsk. Le autorità bielorusse inizialmente hanno giustificato l’operazione parlando di una presunta bomba a bordo, ma il vero scopo era quello di arrestare il giornalista dissidente Raman Pratassevich insieme alla sua compagna Sofia Sapega. Dalla metà di giugno è detenuto in una località segreta. Sono stati diffusi dei video in cui rilascia confessioni palesemente estorte.
Raman Pratassevich's forced confession on Belarusian state television is coerced. There are visible marks on his wrists, as he was forced to incriminate himself and praise his jailers. https://t.co/G44Da79g18
— Oxford City Amnesty (@OxfordAmnesty) June 10, 2021
Attualmente 17 uomini e 15 donne sono detenuti in Bielorussia. Secondo Reporter senza frontiere questo è un segnale chiaro della repressione messa in atto dal regime di Alexander Lukashenko, presidente del paese dal 1994, nei confronti degli oppositori. In particolare di quelli che paventano brogli nella sua rielezione dell’agosto 2020. Sono dietro le sbarre anche Daria Chultsova e Katsiaryna Andreyeva del canale televisivo indipendente Belsat, condannate a due anni per aver dato notizia di una manifestazione non autorizzata.
Zhang Zhan, colpevole di aver criticato il governo cinese
Per il quinto anno consecutivo, lo stato che ha imprigionato il maggior numero di giornalisti è la Cina, in particolar modo dopo l’entrata in vigore della legge sulla sicurezza nazionale nella regione amministrativa speciale di Hong Kong. Per la precisione sono 127, di cui 19 donne.
C’è una storia che ha destato scalpore in tutto il mondo. Quella di Zhang Zhan, ex-avvocata che all’inizio del 2020 si era trasferita a Wuhan e da lì per settimane aveva diffuso video che denunciavano la carente gestione della pandemia da parte del governo cinese. Dopo un processo farsa durato appena tre ore, è stata condannata a quattro anni di detenzione. Stando alle informazioni ottenute da Reporter senza frontiere, a fine 2021 Zhang Zhan versa in condizioni di salute molto critiche.
Zhang Zhan is on a hunger strike in Shanghai’s Women Prison after she has been sentenced to four years in prison. Her crime? Reporting on China’s handling of the #Covid19 pandemic in Wuhan.
Dal 1° gennaio al 1° dicembre 2021 46 giornalisti sono stati uccisi per motivi connessi al loro lavoro. Era dal 2003 che non si scendeva al di sotto della soglia di cinquanta, e il motivo è da ricondurre soprattutto al calo dell’intensità dei conflitti in Siria, Iraq e Yemen. Anche la pressione internazionale per proteggere gli operatori dell’informazione sembra aver sortito effetti positivi. Il dato di quest’anno segnala quindi un miglioramento, ma ciò non toglie che anche nel 2021 gli assassini si siano susseguiti al ritmo di quasi uno alla settimana. Nel 65 per cento dei casi si è trattato di esecuzioni vere e proprie. Lo stato più pericoloso è il Messico con sette omicidi, seguito dall’Afghanistan a quota sei e da Yemen e India, con quattro ciascuno.
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