Nella Repubblica Democratica del Congo ci sono 16 blocchi di esplorazione petrolifera. Entro la fine di luglio 2022 ne verranno messi all’asta altri 11.
Due di essi si estendono nel parco nazionale di Virunga. Altri sono collocati nelle torbiere tropicali.
L’obiettivo dichiarato del governo congolese è puramente economico. La tutela del pianeta non è stata presa in considerazione.
Il governo della Repubblica Democratica del Congo dà il benvenuto alle compagnie petrolifere, mettendo all’asta vaste porzioni del proprio territorio. Poco importa se quel territorio è un paradiso di biodiversità, e poco importa se gli scienziati chiedono a gran voce di lasciare gli idrocarburi sottoterra per evitare conseguenze catastrofiche e irreversibili sul clima. Per l’amministrazione congolese, i guadagni economici sono più importanti.
Più spazio per l’estrazione di petrolio nella Repubblica Democratica del Congo
La notizia è ufficiale, perché l’ha comunicata al Financial times il ministro degli Idrocarburi Didier Budimbu. Attualmente, nella Repubblica Democratica del Congo ci sono 16 blocchi di esplorazione petrolifera, per una produzione complessiva di circa 25mila barili al giorno. Già entro la fine di luglio 2022 ne verranno messi all’asta altri 11.
Due di essi si estendono nel parco nazionale di Virunga, un gioiello naturalistico e anche turistico, il più importante santuario di gorilla di montagna (Gorilla beringei beringei) in tutto il mondo. Già nel 2014 due compagnie petrolifere – Soco International e Dominion Petroleum – si erano ritirate dalla zona, soprattutto per la bufera mediatica scatenata dal documentario Virunga, prodotto da Leonardo DiCaprio e vincitore dell’Oscar nel 2014. “Stavolta non ci fermeremo”, promette Budimbu al quotidiano finanziario londinese.
Altri blocchi invece sono collocati nelle torbiere tropicali, terreni impregnati d’acqua e materiale organico che immagazzinano grandi quantità di CO2. La Cuvette centrale, da sola, ne contiene circa 30 gigatonnellate, una quantità simile a quella che emessa ogni anno dall’intero sistema economico globale. Intaccando questo ecosistema, si rischia che vaste quantità di questa CO2 vengano riversate in atmosfera.
2/ Ahead of #COP27 the DRC’s government must prioritize #climateaction by protecting the fragile ecosystems🌳. They must also stop issuing licenses for harmful oil exploration activities and chart a path to a sustainable energy future🇨🇩. What can YOU do?https://t.co/pLKh9Y7tK6
Le ragioni del profitto vincono su quelle del pianeta
“Se le esplorazioni petrolifere saranno condotte in queste zone, ci dovremo aspettare una catastrofe climatica globale. E non potremo fare altro che stare a guardare, impotenti”, avverte Irene Wabiwa, referente dell’organizzazione ambientalista Greenpeace a Kinshasa.
Ma perché far correre un rischio così grosso all’umanità? Perché l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha ridotto l’offerta di petrolio facendone schizzare i prezzi verso l’alto. Diversi stati, compresi gli Stati Uniti di Joe Biden, si sono trovati alla ricerca di nuovi fornitori, anche a costo di mettere da parte le proprie ambizioni legate alla transizione energetica.
E il governo della Repubblica Democratica del Congo ha voluto approfittare di quest’occasione per risollevare le disastrate finanze pubbliche, al fine di attivare programmi contro la povertà e ridare slancio alla crescita economica. “Questa è la nostra priorità”, spiega Tosi Mpanu Mpanu, principale rappresentante dell’amministrazione per le questioni climatiche e consulente del ministero degli Idrocarburi, in un’intervista citata dal New York Times. “La nostra priorità non è quella di salvare il pianeta”.
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