La raccolta differenzata tocca quota 66,6 per cento a livello nazionali, con disparità territoriali ancora forti ma in diminuzione. Aumenta l’export.
Riapre il macello delle torture di Italcarni, ma con un nuovo nome
Dopo solo un anno lo stabilimento di Ghedi, nel quale venivano maltrattati gli animali e lavorata carne infetta, riapre i battenti.
Nell’ottobre del 2015, grazie alle telecamere nascoste fatte installare dal sostituto procuratore Ambrogio Cassiani, la procura di Brescia, i Nas di Cremona e la Guardia forestale hanno avviato un’inchiesta che ha portato al sequestro dell’azienda di macellazione Italcarni di Ghedi. Le immagini rivelarono pratiche terribili a danno degli animali.
Torture e carne putrefatta
Le mucche giungevano spesso ai cancelli dello stabilimento già morte, quelle ancora vive venivano invece sottoposte a quelle che è inevitabile definire torture. I bovini agonizzanti venivano trascinati sul pavimento agganciati a delle catene, presi a bastonate o sollevati di peso con i bracci meccanici dei muletti, talvolta addirittura infilzati. Molti di questi animali sono le cosiddette “mucche a terra”, vecchie mucche da latte ormai prosciugate e destinate al mattatoio. L’atroce trattamento riservato agli animali aveva conseguenze sull’effettiva qualità della carne, in alcuni campioni infatti sono state trovate concentrazioni di batteri fino a 50 volte superiori a quelle consentite dalla legge, tra cui la salmonella. Questa carne veniva poi certificata e messa in vendita, mettendo a repentaglio la salute dei consumatori.
Le condanne
Il macello incriminato fu sottoposto a sequestro e le persone indagate furono sei, il titolare dell’azienda, tre collaboratori e due veterinari dell’Asl, accusati di maltrattamento di animali, adulterazione di carne destinata all’alimentazione umana, falso in atto pubblico, contraffazione dei cibi e smaltimento illecito dei rifiuti. Lo scorso luglio l’accusa ha chiesto la condanna a cinque anni per Gian Antonio Barbi e tre anni e sei mesi per Mario Pavesi, i due veterinari coinvolti. Mentre Federico Osio, l’amministratore di Italcarni (che in un video viene ripreso mentre lega la zampa di una mucca con una catena e poi sale a bordo di un muletto per tirarla giù dal camion), e i tre dipendenti hanno chiesto il patteggiamento. La sentenza, attesa lo scorso ottobre, è slittata e arriverà il 30 gennaio.
Nuovo nome, vecchia gestione
Il processo di primo grado è ancora in corso ma il macello di Ghedi è tornato operativo, però con un nuovo nome, è stata infatti rimossa la vecchia insegna “Italcarni” che evoca spiacevoli ricordi, in favore della nuova denominazione A.D.M carni. Il cambiamento però potrebbe limitarsi a questo provvedimento di facciata, i proprietari infatti sono gli stessi di prima. Manca solo Federico Osio (in attesa di sapere se il giudice accoglierà la sua richiesta di patteggiare una condanna a due anni e sei mesi), poco male, la famiglia Osio è comunque ben rappresentata nella “nuova” società, di cui fanno parte la moglie, Ivonne Cosio, e la madre, Rina Lazzari.
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