Riccardo Gatti, Open Arms: “Non c’è più la volontà di salvare i migranti in mare”

“Ci sentiamo scogli, baluardi dello stato di diritto”. L’intervista a Riccardo Gatti, a bordo con l’ong Open Arms per una nuova missione per salvare i migranti nel Mediterraneo centrale.

Il 17 agosto al largo della costa della Libia nord-occidentale, si è verificato il peggior naufragio di migranti dell’anno nel Mediterraneo. Trentasette persone sono state soccorse dai pescatori e sono state portate indietro nei centri di detenzione libici. L’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) insieme all’Unhcr, l’agenzia Onu per i Rifugiati, fanno sapere che in quel naufragio hanno perso la vita almeno 45 persone. Intanto sono quasi 500 i migranti morti nel Mediterraneo da inizio anno.

Oim e Unhcr inoltre avvertono: “Senza un’operazione di soccorso dedicata e un meccanismo per gli sbarchi guidati dall’Unione Europea, altre vite andranno perse nel Mediterraneo”.

Non si fa abbastanza per evitare i naufragi

Attualmente nel Mediterraneo centrale per soccorrere i migranti ci sono solo l’imbarcazione Louise Michel voluta e finanziata dall’artista inglese Banksy e la Sea Watch 4. Nei prossimi giorni si apprestano ad arrivare nell’area anche la Mare Jonio della missione italiana Mediterranea e il veliero Astral di Open Arms.

Quest’ultima è tornata in mare mercoledì 19 agosto a Barcellona. A bordo c’è anche l’italiano Riccardo Gatti a cui si deve, oltre che centinaia di salvataggi, anche la prima inchiesta giudiziaria contro una nave mercantile italiana coinvolta in un respingimento illegale verso la Libia.

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Dal primo di gennaio al 19 agosto sono 36.221 i migranti giunti in Europa via mare © David Ramos/Getty Images

L’uomo e il mare. E i migranti, vite da salvare

Riccardo Gatti tra le onde è riuscito a salvare negli anni oltre cinquemila vite umane. Un terzo del numero di abitanti del suo paese natale, un comune nel lecchese, Calolziocorte, lasciato a 22 anni per trasferirsi in Spagna. Dal 2016 è capomissione e comandante degli equipaggi che, con la ong spagnola Pro Activa Open Arms, si alternano nel Mediterraneo per prestare soccorso ai naufraghi e prima ancora, nel 2015, è stato a bordo delle navi di soccorso nel mar Egeo con Medici Senza Frontiere. Gatti ha ricoperto il ruolo di comandante a bordo della nave Astral e poi della Golfo Azzurro e della nave Open Arms.

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Riccardo Gatt dal 2016 è capomissione e comandante degli equipaggi della Ong spagnola Pro Activa Open Arms © Open Arms

La nuova missione di Open Arms e la situazione del Mediterraneo

Abbiamo intervistato Riccardo Gatti a bordo dell’Astral per parlare della situazione che li aspetta nel Mediterraneo e degli obiettivi della loro missione di osservazione, salvataggio e denuncia. Una missione che prevede tante persone da soccorrere e nessuna voglia dei governi che si affacciano sul Mediterraneo che dovrebbero farlo, di appoggio logistico o materiale alle ong. Gatti sfodera subito un esempio: “Abbiamo visto come Malta abbia vietato evacuazioni dettate dal medico di bordo o compiuto manovre per far si che non fossero sbarcate le persone. Ci aspettiamo questo, un atteggiamento ostile da parte dei governi e da parte dei miliziani libici che pattugliano le coste nord africane. Ci attende una gran lavoro perché la situazione di oggi vede quattro imbarcazioni alla deriva secondo i dati di Alarm Phone e una quindi con a bordo 100 persone, scomparsa dai radar”.

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Migranti nel mar Mediterraneo © Francesco Malingri / Mediterranea

La vostra missione ha l’obiettivo di sempre: difendere i diritti umani in mare.
Noi difendiamo i diritti da coloro che dovrebbero garantirli: governi che hanno nello loro costituzioni l’obbligo di tutelare, proteggere e lavare la vita delle persone in mare. Come l’Italia. Nel 2020 oltre settemila persone sono state ricondotte in Libia, mentre almeno 302 hanno perso la vita lungo la sola rotta del Mediterraneo centrale dove noi siamo diretti. I governi europei vanno avanti da anni con il progetto di esternalizzazione delle frontiere pagando ora la Libia ora la Tunisia per trattenere i migranti. Ma così facondo non si bloccano le partenza che arrivano da tutto il continente africano ma anche dalla Siria, dall’Asia e non solo. Si scappa da guerre, dalla fame, dalla crisi climatica. E lo si fa come ultima scelta, nessuno mette i suoi figli su una barca a meno che l’acqua non sia più sicura della terra.

Come ci si muove in mare con così tanti migranti e poche informazioni?
Il dramma in cui agiremo consiste in questo: se non trovi queste persone, loro muoiono. La situazione è resa ancora più amara dal fatto che ci sono imbarcazioni, droni, veicoli e sommergibili delle marine dei paesi del Mediterraneo, ma ci sono anche le navi di appoggio alle piattaforme petrolifere che non fanno nulla pur avendo una strumentazione eccezionale. È uno schifo, lasciatemelo dire.

Nel frattempo l’Italia continua a sottoscrivere accordi con la Libia sostenuti anche dall’Europa.
Nonostante le numerose denunce di violazioni dei diritti umani, gli “inimmaginabili orrori” nei centri di detenzione libici, questi luoghi sono finanziati dal governo libico (documentati dall’Onu nel 2018 che ha evidenziato come avvengano compravendite di esseri umani, torture, violenze sessuali, stupri e abusi di ogni tipo, commessi dai funzionari pubblici, dai miliziani che fanno parte di gruppi armati e dai trafficanti, n.d.r. ).

Il governo italiano e l’Unione Europea hanno deciso di non revocare l’accordo, che sarà prorogato automaticamente per altri due anni.

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Riccardo Gatti tra le onde è riuscito a salvare negli anni oltre 5mila vite umane © Open Arms

Questo accade nonostante le ci siano le prove delle violazione dei diritti umani in Libia. In più si aggiunge una situazione in Tunisia socialmente e politicamente drammatica.
La missione di supporto dell’Onu in Libia (Unsmil) e l’Uhchr hanno denunciato l’incapacità delle autorità libiche di limitare e contrastare le violenze di massa contro i migranti nei centri. Nonostante la Libia ma anche la Tunisia non siano luoghi sicuri per il rimpatrio dei migranti,  l’atteggiamento di Italia e Ue è sempre lo stesso. Da anni. Pagare per non far arrivare i migranti in Italia. Settimana scorsa Di Maio (il ministro degli Esteri) e Lamorgese (la ministra dell’Interno), insieme a due commissari dell’Ue erano in Tunisia per accordarsi sulla gestione dei flussi dei migranti alla modica cifra di 11 milioni di euro. Ecco un’altra prova di questa volontà.

Ci sono convenzioni internazionali, regolamenti europei e gli art.10, 11 e 117 della Costituzione italiana che invitano o obbligano a salvare le persone in difficoltà in mare. Perché accade il contrario?
Premetto che l’Italia, tra i paesi del Mediterraneo, ha tra i migliori porti attrezzati per il soccorso e il recupero in mare, ma la guardia costiera riceve da anni, governo dopo governo, l’ordine di non muoversi. Questo è gravissimo. Rappresenta la distruzione di un modello di realtà in pensiamo di vivere. Non siamo in uno stato di diritto. Finanziare la guardia costiera libica è sinonimo di disprezzare la vita umana. È gravissimo che noi dobbiamo partire con l’Astral per prestare soccorso e recuperare vite in mare con medici a bordo e documentare quello che sta succedendo.

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Uno dei salvataggi in mare da parte delle Ong © David Ramos/Getty Images

Per realizzare attività di soccorso in mare, dato l’immobilismo delle istituzioni, l’associazione ResQ – People Saving People ha deciso mettere in cantiere una nuova nave tutta italiana per soccorrere i naufraghi e testimoniare quanto accade a poche miglia dalle nostre coste. Qual è significato di questa azione della società civile? Un segnale della necessità di colmare un vuoto istituzionale?
Noi come ong siamo disponibili a dare appoggio ad una realtà come questo e a formare il loro personale con la nostra esperienza come avevamo fatto con Mediterraneo. Come dicevi però preoccupa l’altro lato di questa splendida iniziativa: se non si muovono le associazioni o la società civile i governi non fanno nulla. Credo però che questa resti un’esperienza unica perché vedo che manca la volontà collettiva in Italia, quella che parte dal basso, di accogliere.

Infatti un ostacolo difficile da superare nell’Italia di oggi è quello della retorica del contagio “d’importazione” – che prende di mira i migranti dimenticando che L’Iss ha dichiarato che solo il 3-5 per cento dei contagi da Covid-19 di oggi arrivano dai migranti mentre il 25-40 per cento derivano dai concittadini che ritornano dai viaggio all’estero. È la manifestazione della xenofobia nel nostro paese?
Questo modo di percepire gli stranieri è il riflesso di come la politica italiana ed europea guardano ai migranti da anni. Vista la pandemia le istituzioni hanno introdotto la quarantena. Ma senza dare regole, non ci sono indicazioni chiare per il covid. E poi stiamo da anni subendo ispezioni abusive sulle navi delle ong. Quelle stesse navi che per anni hanno operato sotto la direzione della Guardia costiera italiana, ora hanno le navi non consone.

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Migranti salvati nel Mediterraneo © David Ramos/Getty Images

È un modo per mettere i bastoni “nell’elica” a chi come voi salva vite in mare?
Il boicottaggio che siamo subendo non è più solo legale e logistico ma amministrativo. Quando arriviamo in porto siamo sempre più soggetti ad ispezioni straordinarie. Queste procedure trovano sempre “qualcosa”, come era successo a noi. Da “c’è olio sotto il motore” fino a “avete un problema al congelatore”. E poi, dopo 38 giorni di mare quando quando eravamo a bordo della Golfo Azzurro, ti fanno fare una simulazione anti-incendio e mettono in discussione il fatto che tu non abbia messo gli stivali al momento giusto. Tutte contestazioni amministrative a cui non puoi ribattere.

Stavo sistemando dei documenti degli anni passati, quando eravamo coordinati dalla Guardia costiera, e ho visto che con la Golfo Azzurro stavamo navigando con 682 persone a bordo, 282 in più del massimo che noi c’eravamo imposti. Il motivo di questo sovraffollamento era la richiesta diretta della Guardia costiera che ci aveva concesso il porto di Pozzallo più vicino alla zona Sar anziché quello di Augusta (entrambi porti siciliani). È cambiata la volontà di salvare vite.

Come vi sentite davanti a questo “disegno” che si intravvede nel tuo racconto?
Io, i miei compagni e le mie compagne ci sentiamo dalla parte giusta e questo “dà motore”, ci carica perché ci sentiamo scogli, baluardi dello stato di diritto. Il fatto è che noi ci aspettiamo di tutto, anche che vengano affondate le navi, come la Francia fece all’inizio contro la prima nave di Greenpeace. Oggi non si affondano più le imbarcazioni ma si mettono in secco con azioni amministrative, dopo che anche sul piano legale abbiamo ottenuto vittorie su vittorie negli anni perché non c’è niente da attaccare. Il metodo amministrativo ha tempi invece tempi lunghi e fa meno rumore e soprattutto permette scuse come “li abbiamo fermati perché la loro nave non è a norma”.

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