La medicina palliativa si prende cura dei pazienti che non possono più guarire. Deve essere rapida, efficace, in grado di migliorare la qualità di vita delle persone. L’Hospice Cascina Brandezzata di Milano la pratica con un approccio integrato tra medicina accademica e complementare.
Ricerca in omeopatia, il racconto di chi la fa in Italia
Con rigore e professionalità, i ricercatori italiani sperimentano l’omeopatia per approfondirne le dinamiche e gli utilizzi. Del resto l’omeopatia nasce proprio dalla ricerca: per mettere a punto e capire l’azione dei medicinali omeopatici, il Dottor Samuel Hahnemann sperimentava su se stesso, sui suoi familiari, amici e pazienti. Ad oggi digitando la parola ‘homeopathy’ su Pubmed,
Con rigore e professionalità, i ricercatori italiani sperimentano l’omeopatia per approfondirne le dinamiche e gli utilizzi. Del resto l’omeopatia nasce proprio dalla ricerca: per mettere a punto e capire l’azione dei medicinali omeopatici, il Dottor Samuel Hahnemann sperimentava su se stesso, sui suoi familiari, amici e pazienti. Ad oggi digitando la parola ‘homeopathy’ su Pubmed, la principale banca dati di ricerca scientifica al mondo, si trovano oltre 1.000 tra meta-analisi, studi osservazionali e pre-clinici, solo per citarne alcuni.
Per saperne di più, abbiamo incontrato il Prof. Paolo Bellavite, medico chirurgo e specialista in ematologia, che ci ha spiegato come in tanti anni di ricerche abbia verificato che alcuni principi attivi naturali, ad esempio quelli contenuti nell’Arnica montana, quando vengono applicati in modo omeopatico agiscono su più livelli, con minori effetti collaterali e raggruppando in un solo farmaco funzioni che, in medicina convenzionale, richiederebbero l’assunzione di più farmaci distinti.
Come si è avvicinato all’omeopatia? È un tema di cui si è sempre interessato?
Ho cominciato ad avvicinarmi all’omeopatia per ragioni personali, per curare un’allergia e un’asma bronchiale che mi affliggevano all’inizio della mia carriera medica, quando lavoravo già in Università. Non avendo trovato soluzione con le cure convenzionali mi sono rivolto a un omeopata, traendone grande beneficio. Da quel momento ho scoperto che esistevano altri orizzonti oltre alla medicina “ufficiale”. In quegli anni ero impegnato nella ricerca universitaria sulle malattie infettive e sui sistemi di difesa del nostro organismo e non avevo nessun tipo di interesse per l’omeopatia, studiavo le medicine convenzionali. Non ero scettico, diciamo solo che l’omeopatia non attirava la mia attenzione. Dopo averne tratto vantaggio per la salute, mi sono progressivamente reso conto che l’omeopatia è una materia interessante anche per un ricercatore, uno scienziato, perché porta in sé concetti fondamentali per la patologia, per l’interpretazione della malattia. Sono un patologo generale, mi interessa capire cosa sono le malattie. E quello che dice l’omeopatia sulle malattie è estremamente interessante poiché non le vede sempre come nemiche, ma anche come passaggi verso la guarigione.
Che tipo di ricerche ha fatto nel corso degli anni? Cos’hanno evidenziato?
Nel campo della medicina convenzionale ho fatto ricerche sugli aspetti molecolari, cellulari e farmacologici dell’infiammazione, con particolare attenzione ai granulociti e macrofagi, al metabolismo ossidativo e alla formazione di radicali liberi e allo loro tossicità. In seguito mi sono interessato anche alla farmacologia delle piastrine. In campo omeopatico semplicemente ho cominciato a utilizzare gli stessi metodi che usavo per studiare i farmaci convenzionali provandoli sulle cellule del sangue, utilizzando però i medicinali omeopatici. Mettendo in provetta medicinali omeopatici ho cominciato a riscontrare buoni risultati e questo mi ha portato ad approfondire sempre di più le ricerche in laboratorio. Successivamente mi sono interessato allo studio di un modello di ansietà per studiare farmaci naturali simili agli ansiolitici “classici”, anche qui con ottimi risultati. Nell’ultima fase della mia ricerca professionale, insieme ad un ampio gruppo di ricerca, ho studiato i meccanismi d’azione dei farmaci omeopatici antinfiammatori e contro l’ansia a livello di biologia molecolare, e questo è ciò che ha dato al gruppo veronese la notorietà maggiore a livello internazionale.
Quali medicinali omeopatici ha testato per questi studi?
I due principali sono stati Gelsemium sempervirens sui modelli di ansietà e sui neuroni, e Arnica montana sui modelli antinfiammatori, prima su modelli animali e poi su cellule “in vitro”.
Lo studio sull’arnica è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Plos One, cosa ci può dire di questa ricerca?
Per lo studio sono state utilizzate delle preparazioni solubili in gocce che abbiamo molto diluito in acqua (per neutralizzare l’eventuale presenza di minime dosi di alcol nel prodotto) e poi somministrato alle cellule nella provetta. Abbiamo testato queste preparazioni in varie diluizioni osservando che sono in grado di modificare l’espressione di determinati geni che producono molecole che regolano l’infiammazione; queste sono in parte le citochine e in parte la fibronectina, una sostanza che facilita la guarigione delle ferite, la cicatrizzazione. E questo avviene già nelle prime fasi della reazione infiammatoria: dobbiamo sapere che la reazione infiammatoria, che è un passaggio fondamentale per la guarigione, necessita già nelle primissime fasi del movimento delle cellule che dal sangue passano nei tessuti, e questo movimento viene favorito dalla presenza di fibronectina, che garantisce l’adesione tra le diverse cellule.
Con questa ricerca, riteniamo di avere individuato una proprietà straordinaria dell’Arnica montana: finora si pensava avesse solo un effetto antinfiammatorio e contro i dolori, invece dalle nostre ricerche emerge che potrebbe essere anche capace di promuovere la guarigione. È difficile, forse impossibile, trovare un farmaco di tipo convenzionale che abbia in sé entrambe queste capacità: possiamo magari avere dei farmaci che facilitano la guarigione però non hanno anche un effetto antinfiammatorio antidolorifico. L’Arnica montana pare che possa averli tutti e due. Racchiude tanti principi attivi al suo interno ed è in grado di agire a vari livelli. Rispetto all’Arnica in gel o in pomata, che si usano con beneficio a livello locale in caso di traumi, l’ambizione dell’Arnica omeopatica è di agire anche per via generale, per via sistemica regolando in maniera molto più fine tutti i vari sistemi di guarigione. I nostri studi di laboratorio ed alcune ricerche cliniche, condotte da altri soprattutto nel periodo post-chirurgico, hanno avvalorato questa capacità.
Quali saranno le prossime ricerche?
Attualmente stiamo lavorando a un progetto che esamina l’effetto di vari medicinali omeopatici su modelli della tosse, sulle cellule bronchiali in laboratorio, per vedere come modulare questo tipo di risposta. Un ambito completamente nuovo che abbiamo cominciato ad indagare da poco. Al momento stiamo facendo lo screening di tanti medicinali su questo modello molto rigoroso di attivazione in laboratorio. Porteremo i primi risultati nel prossimo anno in un convegno internazionale.
Che sistemi di controllo utilizzate nelle ricerche?
Lo studio si svolge in questo modo: nella coltura cellulare poniamo varie dosi di diverse diluizioni del medicinale omeopatico e confrontiamo da una parte con quello che noi chiamiamo il controllo negativo, ovvero il solvente, dall’altra con un farmaco convenzionale che si presume possa agire in maniera positiva sullo stesso modello, in modo tale da essere sicuri che quando un effetto c’è si faccia notare. Per l’Arnica montana non è stato possibile il confronto con il farmaco convenzionale perché non esiste nessuna sostanza che abbia le sue stesse proprietà, ma abbiamo comunque dimostrato che il nostro modello risponde agli antinfiammatori convenzionali come il desametazione; invece lo abbiamo fatto con il Gelsemium, che abbiamo paragonato ai principi attivi diazepam e buspirone, presenti negli ansiolitici convenzionali, scoprendo che il medicinale omeopatico ha la stessa potenza di quei farmaci, ma meno effetti collaterali. Va precisato che in base ai miei studi non è possibile raccomandare direttamente il Gelsemium come farmaco ansiolitico, perché quello che è stato testato è il meccanismo d’azione a livello di laboratorio e questo non significa ancora che la stessa medicina sia efficace nell’uomo. Questo concetto vale sempre in farmacologia, ma è ancor più importante in omeopatia, in particolare nelle malattie croniche dove la cura deve essere comunque individualizzata in base alle caratteristiche del paziente. Studi di questo tipo sono però in corso in varie parti del mondo e mi auguro che presto venga dimostrata l’efficacia clinica di quanto da noi riscontrato in laboratorio.
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