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Stabilizzare le concentrazioni di CO2 favorirebbe l’aumento delle precipitazioni nelle aree a clima mediterraneo, sempre più colpite da siccità.
Al momento sono presenti nell’aria 413,64 ppm (parti per milione) di CO2, mai nella storia si era raggiunta una concentrazione così elevata, e le emissioni, anziché diminuire, continuano ad aumentare. Il decennio appena concluso è stato il più caldo mai registrato, caratterizzato da temperature eccezionali ed eventi climatici estremi. L’abnorme quantità di CO2 riversata nell’atmosfera ha diversi impatti diretti sul clima, tra questi, diminuisce sensibilmente la quantità di precipitazioni.
È quanto avviene nelle aree a clima mediterraneo secondo lo studio Time-evolving sea-surface warming patterns modulate the climate change response of subtropical precipitation over land, condotto da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna (Cnr-Isac) insieme all’università di Reading e all’Imperial college di Londra. Gli scienziati hanno analizzato come i cambiamenti climatici influenzino regioni caratterizzate da clima mediterraneo, quali la California, il Cile e la stessa area mediterranea.
Le zone a clima mediterraneo, caratterizzate da estati calde e secche, sono particolarmente vulnerabili ad un calo delle precipitazioni invernali. Lo studio, pubblicato sulla rivista Pnas, rivela nuovi modi in cui i cambiamenti climatici influenzano le regioni caratterizzate da tali climi.
“Ogni volta che della CO2 viene immessa in atmosfera, questa inizia immediatamente ad influenzare il clima, ma la risposta climatica che ne consegue evolve su diverse scale temporali – ha spiegato il ricercatore che ha condotto lo studio, Giuseppe Zappa del Cnr-Isac -. Questo significa che ci sono aspetti del cambiamento climatico che si manifestano in modo lento e continueranno a svilupparsi per secoli, come per esempio l’innalzamento dei mari. Altri, invece, sono rapidi e possono essere controllati rapidamente stabilizzando le concentrazioni di CO2 in atmosfera.”
Uno studio #Cnr-Isac, Università di Reading e Imperial College di Londra, mostra che il controllo della concentrazione di #CO2 in atmosfera ridurrebbe il #calo delle #precipitazioni nelle aree a clima mediterraneohttps://t.co/PeNxXha9PQ pic.twitter.com/QsosAu6sLo
— Ufficio Stampa Cnr (@StampaCnr) February 18, 2020
La CO2 agisce pertanto rapidamente sulla riduzione delle piogge nel Mediterraneo e in Cile, riducendone la concentrazione si potrebbe quindi, in un breve lasso di tempo, stimolare le precipitazioni in alcune regioni a clima mediterraneo contrastando siccità e desertificazione.
“Ridurre le emissioni di gas serra – si legge nel comunicato del Cnr-Isac – ha quindi un effetto anche nell’immediato, oltre che nel lungo termine, per le precipitazioni delle regioni Mediterranee. Questo si aggiunge ai benefici di una rapida riduzione delle emissioni di CO2 discussi nel rapporto speciale dell’Ipcc del 2018”.
Gli oceani, ad oggi, hanno assorbito oltre il 90 per cento del calore in eccesso presente nel sistema climatico e stanno diventando sempre più caldi, con gravi conseguenze per l’intero pianeta. I modelli climatici elaborati dai ricercatori mostrano che il riscaldamento superficiale dell’oceano non è omogeneo, alcune aree si scaldano più rapidamente di altre.
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“Gli aspetti più rapidi del riscaldamento oceanico favoriscono una variazione nella circolazione atmosferica invernale che rende i climi Mediterranei meno piovosi”, hanno affermato gli autori della ricerca.
Contrariamente a quanto si riteneva, gli scienziati hanno dunque dimostrato che la riduzione delle precipitazioni nel Mediterraneo e nel Cile centrale è una conseguenza diretta dell’aumento delle emissioni di gas a effetto serra e si manifesta rapidamente, nel giro di pochi anni.
“I nostri risultati implicano che le risorse idriche in queste regioni trarrebbero quasi immediatamente beneficio dalla stabilizzazione delle concentrazioni di gas a effetto serra, poiché ciò interromperebbe il rapido calo delle precipitazioni”, ha concluso Paulo Ceppi, ricercatore del Grantham institute for climate change dell’Imperial college, tra gli autori dello studio.
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